Intervista a
Roscoe Mitchell (1999)

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di Beppe Colli
Jan. 26, 2003



Chi scrive ha iniziato ad apprezzare la musica dell'Art Ensemble of Chicago con l'acquisto di Fanfare For The Warriors: vinile americano già fuori catalogo nonostante l'album fosse di uscita alquanto recente. Motivi geografici hanno fatto sì che un concerto del 1984 sia l'unico da noi visto della formazione classica; un gran bel concerto, tra l'altro: la summa di Urban Bushmen con abbondanti spruzzate da The Third Decade, allora fresco d'uscita.

A distanza di quindici anni, la possibilità di vederli nuovamente, in formazione piuttosto atipica. Da cui l'intervista/ritratto che segue, apparsa in italiano sul # 17 (ottobre 1999) del mensile Blow Up. Abbiamo qui lasciato sostanzialmente inalterato l'impianto dell'articolo, operando qualche doveroso aggiornamento nella discografia e reintegrando alcuni particolari nell'intervista.



Chi è Roscoe Mitchell? Per un verso la risposta è semplice: uno dei grandi della musica degli ultimi trent'anni. Ma quale musica? Proviamo a usare un criterio "pratico": se andiamo a comprare un suo disco lo troveremo nel settore "jazz". Se però diamo un'occhiata alle formazioni da lui adoperate qualche perplessità potrebbe sorgere: accanto a cose tipiche (quintetto jazz; sax e piano; quattro sassofoni;otto percussionisti) troviamo dialoghi elettronici con un software interattivo; un trio formato da due fiati e un tenore (proprio quello operistico); un quartetto d'archi; un duo sax - bull roarers (uno strumento preistorico aborigeno, per l'occasione suonato tramite un congegno a pedali); un gruppo che sfoggia un contrabass sarrusophone e una viola gigante che si suona salendo su un trespolo - e deve ancora uscire il disco con l'orchestra di flauti barocchi… Insomma, se è indubbiamente vero che Mitchell è da collocare tra i grandi del jazz siamo altresì convinti che se fosse stato bianco gli sarebbe toccata l'etichetta di "musicista totale". Proviamo ad andare a ritroso nel tempo.

Trent'anni fa i quattro dell'Art Ensemble ("of Chicago" venne aggiunto sul manifesto che ne annunciava un concerto, e poi mantenuto) giungono a Parigi col conterraneo Anthony Braxton. Sono tempi di passioni politiche, riscoperta dell'Africa, infocati dibattiti sul terzomondismo. Il gruppo che Braxton ha messo su con Leo Smith e Leroy Jenkins (sax, tromba e violino) viene rifiutato come "poco africano e troppo intellettuale". Va meglio all'Ensemble, che sfoggia costumi pittoreschi, un elaborato trucco facciale da maschera africana, percussioni e sonagli, e una musica dalle mille componenti, ora pacata ora aggressiva ma sempre di notevole spessore. Ed è la musica documentata sui dischi del periodo (su tutti: People In Sorrow) che a distanza di tanti anni ci conferma l'impostazione innovativa e sincera del gruppo, per il quale lo slogan "Great Black Music: Ancient To The Future" era una rivendicazione di continuità nel segno dell'innovazione e non una proposta furba di elementi esotici ad uso di un pubblico ben disposto. Semplificando al massimo: Joseph Jarman era un ottimo polistrumentista con interessi nel campo della poesia e del teatro; Lester Bowie un trombettista originalissimo, sempre in bilico tra l'omaggio alla tradizione e il suo sberleffo; Malachi Favors, essenziale pulsazione al contrabbasso, la presenza più "africana". E Mitchell? La struttura.

La cosa era iniziata proprio a Chicago alcuni anni prima. I nomi sono oggi noti: Muhal Richard Abrams, Henry Threadgill, Braxton, Mitchell, Smith... Sperimentazione collettiva di strumenti e linguaggi, un'associazione non-profit (la AACM) che riceverà fondi per organizzare concerti e progetti artistici (niente più il ricatto dei club per i giovani jazzisti) diventando un esempio influente. I "chicagoani" cominciano una ricerca consapevole e sottile lontano dal "centro" del jazz, New York. I loro risultati creativi verranno notati con incredibile ritardo; non è solo un fatto geografico: i linguaggi che questi musicisti vanno elaborando sono quanto di più distante dalla "energy music" newyorkese - Albert Ayler, Cecil Taylor, John Coltrane. Non è un rifiuto dei risultati (Braxton adorava Coltrane, e l'Ensemble dedicò un brano ad Ayler); piuttosto, la consapevolezza che una insufficiente riflessione sulla forma avrebbe lasciato la musica in secca una volta esauritasi la spinta del momento. Sound è il titolo rivelatore del primo album di Roscoe Mitchell: il rapporto tra il suono e il silenzio indagato in maniera consapevole. Ornette il riconoscimento di un'affinità col padre del free jazz, a quel tempo molto appartato.

Ampliamento della strumentazione (percussioni, sax basso e contrabbasso, oboe, tuba, soprano ricurvo). Recupero di forme desuete, dal ragtime in poi - non come revival ma quale riflessione sul concetto di composizione. Indagine sulle microstrutture del linguaggio sassofonistico e creazione di una grammatica delle componenti. Consapevolezza che la presenza del passato su disco, dove il materiale è stato suonato quando gli stili erano coniugati al presente, rende superflua l'orchestra di repertorio. A riprova dell'esattezza delle intuizioni di questi musicisti si confrontino i loro lavori del periodo, ancor oggi così freschi, e i prodotti di quelle correnti che hanno operato un recupero calligrafico delle forme anteriori al free (a proposito: mai etichetta fu più disgraziata; ancor oggi non pochi lo intendono non come libertà dalle vecchie strutture ma come assenza di qualunque struttura).

E' forse inutile, e sicuramente noioso per chi legge, passare al microscopio una discografia tutt'altro che esigua. Se molto di quel che resta dell'Ensemble classico è senz'altro da consigliare, e se il periodo ECM rinuncia alle novità ma offre sistematizzazione delle idee e incisioni perfette, Fanfare For The Warriors è forse il titolo da suggerire a chi voglia prendere confidenza col gruppo. Occhio ai brani di Mitchell - e non sembrerebbe il "white noise" di Tnoona un'esplorazione di elettronica/contemporanea? E' "solo" jazz acustico - quello di Chicago.

Mitchell ha ovviamente continuato il cammino, sviluppando le premesse con coraggio pari ai risultati. Sebbene bisognoso di rabberciamenti il tanto vituperato sistema americano in fondo ha tenuto: l'università ha accolto parecchi sperimentatori, risparmiando ad alcuni di loro - nel caso di Braxton (che si andava a cercare la legna nella neve) letteralmente - una brutta fine. Mitchell, Lewis, Braxton hanno dei lavori all'università. Coleman, Taylor, Abrams e Braxton hanno ricevuto dalle classiche fondazioni (Guggenheim in testa) dei "genius grants" di notevole entità - Braxton ci ha finanziato un'opera. I più, certo, non sono stati così fortunati. Ma i dischi, bene o male, vengono pubblicati e si trovano. Ora tocca a noi, se vogliamo, ascoltarli.



L'intervista

I quattro dell'Art Ensemble giungono in albergo dopo alcune ore passate in autostrada in orario non felicissimo. Giacca rossa, buffo cappello, occhiali dalla montatura multicolore, Mitchell ci porge la mano e ci invita a sederci; se è stanco non lo dà a vedere. Ordina un toast senza prosciutto e una bevanda analcolica. L'intervista inizia in modo cortese ma non proprio esaltante: Mitchell deve avere un paio di rospi sullo stomaco - e solo riascoltando la cassetta ci accorgeremo che la frase a proposito di Brötzmann significava più o meno "dovunque viva non sposta nulla." Ma a poco a poco le cose si mettono per il giusto verso; e superato lo shock di sentirlo parlare con un timbro vocale che ci ha spesso ricordato quello di Gil Scott-Heron riusciamo anche a godere della sua mimica irresistibile.


Ho notato che nella formazione dell'Art Ensemble Of Chicago che suonerà stasera c'è un nuovo membro, Ari Brown.

Non è un nuovo elemento, ma uno "special guest": Lester Bowie è malato.


Mi spiace saperlo; l'ultima volta che ho visto il gruppo c'era ancora Joseph Jarman… non ho mai ascoltato dal vivo la formazione in quartetto. Vorrei dirti innanzitutto che ho molto apprezzato il tuo ultimo lavoro, Nine To Get Ready.

Grazie.


Qual è la direzione in cui il gruppo è diretto? Nel solco della tradizione della Great Black Music che vi è solita, immagino.

Beh, credo che questo sia il momento migliore per la musica - in assoluto - perché separerà quelli che sanno quel che fanno da quelli che non lo sanno. Il momento migliore per chi ha continuato a lavorare su questa musica nel corso degli anni; perché se ci rifletti stiamo parlando di un lavoro di quasi quarant'anni. Ed è questa la direzione (ride): un bel momento per chi sa quel che fa, e per gli altri…non molto bello. Quel che ho notato è che gli europei negli anni sessanta hanno sostenuto la musica, ma poi tutto è diventato commerciale; e chi nel fare la propria musica si è impigrito non sarà all'altezza della situazione. Qui in Europa mi vedete solo con l'Art Ensemble, ma ci sono così tante cose che faccio...e forse il motivo per cui non mi viene mai chiesto di venire con altre formazioni è perché il mio approccio alla musica è rimasto molto sperimentale.


Ma ricordo che hai fatto degli album dal vivo in Europa, ad esempio in Germania al Festival di Moers, con una grossa formazione; quindi intendi dire che è adesso che non vieni invitato...

... è così, dato che si pensa che ci siano persone in grado di fare quel che faccio io.


Intendi artisti residenti in Europa?

Sì - come Peter Brötzmann...che è in grado di suonare solo un po' di quel che suona Frank Wright... e basta. E ce ne sono tanti altri che sanno fare solo...


... una piccola parte?

... una piccola parte.


Peter Brötzmann... abita a Chicago?

Sì. "Vive lì. Ci vive? Non lo so..."


Neanch'io...

(ride di gusto) Neanch'io... "keep upputy, mummy" (???)... è qualcosa che ho visto all'Atlanta Arts Festival...una canzone.


Ma il mercato americano, stando a quello che leggo su Down Beat, ripaga le direzioni più commerciali...

...
lo so, lo so...


... penso, per fare solo un nome, a Wynton Marsalis e alle rassegne da lui organizzate al Lincoln Center, a New York; e ricordo che fu proprio un critico americano, Francis Davis, a definire Marsalis un musicista che credeva di essere un rivoluzionario ma che, nel suo ribellarsi a una rivoluzione, era di fatto un controrivoluzionario.

E' esatto: un controrivoluzionario. Vedi… ci sono musicisti che creano, e musicisti che ri-creano. Wynton Marsalis è uno di questi, dato che suona la musica di Duke Ellington e non quella di Wynton Marsalis. John Coltrane suonava la musica di John Coltrane. Charlie Parker suonava la musica di Charlie Parker. Lester Young quella di Lester Young. Tutti quelli che suonano la musica di altri musicisti non sono musicisti creative, ma re-creative.


Ho molto apprezzato due collaborazioni elettroniche da te intraprese: quella con George Lewis e il suo software interattivo sull'album Voyager e il rapporto improvvisatore-nastro sull'album di Tom Hamilton Off-Hour Wait State.

Ma per me non è una cosa nuova. E' da tanto che lo faccio; per molto tempo ho collaborato con David Wessel, il più prestigioso esponente della computer music: lo conosco sin da quando impiegava due o tre giorni per ottenere una nota dal computer; è colui che organizza le Computer Music Conferences negli Stati Uniti, e qui in Europa il Computer Music Festival a Parigi e a Den Haag. Come vedi, non è una cosa nuova per me.


Sì, ma direi che c'è una differenza nell'approccio col software interattivo di Lewis...


Col programma di George imparo sempre di più; sai che ci sono certe cose che puoi fare per avere una certa risposta dal computer - ed è questo che mi risulta interessante: vedere quello che il computer può fare; ci sono cose che puoi fare che causano certe classi di risposte da parte del computer: non è sempre la stessa risposta. Puoi davvero quasi comunicare col computer...grazie al software di George...


... dato che è interattivo... e quindi non puoi prevedere la risposta del...

... quasi... in un certo senso... voglio dire, se suoni poche note fa qualcosa... con molte note hai una diversa risposta... a basso volume un'altra... a volume sostenuto, un'altra ancora... e così con note singole, plurime... e così via.


Ti ho fatto questa domanda perché sul tuo primo album, nel '66, c'è un brano chiamato Sound: tu hai sempre esplorato questa dimensione della musica - anche se a quel tempo era una dimensione acustica - e quindi non mi pare, in un certo senso, tanto differente da allora.

No, non lo è. E poi ho passato tanto tempo a costruire un vocabolario per fare queste cose; per molto tempo ho cercato di non suonare una melodia - tutto ciò che mi sembrava una melodia cercavo di non suonarlo; per tanto tempo ho anche suonato melodie... cose che erano molto dense... altre a bassa densità... ho studiato a lungo ritmi molto complicati, cosicché quando suonavo in solo sembrava ci fosse più di uno strumento; molti tipi di studio nel corso degli anni. E ora tutto quel che voglio fare è studiare... per me. Mi piace studiare - continuamente.


Dato che hai nominato Den Haag, conosci un musicista che vive lì, Luc Houtkamp? Suona il sassofono, compone e sperimenta con l'elettronica.

No.


Tra i musicisti più giovani che lavorano a Chicago che opinione hai, ad esempio, di Ken Vandermark?

Non so nemmeno se lo conosco...


Tra gli altri ha suonato anche con John McPhee...

Non lo conosco tanto bene.


E Rob Mazurek? Suona la cornetta...

Non conosco la loro musica.
(Da moltissimo tempo Mitchell non vive più a Chicago ma nel Wisconsin - n.d.i.)


Il nuovo disco con la Note Factory è il secondo sotto questo nome - mi era molto piaciuto il primo, This Dance Is For Steve McCall; il primo album, tra l'altro, su cui ho ascoltato Matthew Shipp. Ne è passato di tempo prima di farne un altro...

Tanto tempo per tutto... ho dovuto lottare... non so nemmeno il perché... solo per tenere insieme il gruppo - e l'ho tenuto in piedi per venticinque anni; me ne hanno fatte tante, come ad esempio prendere i miei musicisti e inserirli in altre formazioni. E' stato un miracolo che la Note Factory abbia fatto qualcosa. Un miracolo.


Ma pensi che la musica della Note Factory sia percepita come più difficile rispetto a quella, ad esempio, dell'Art Ensemble Of Chicago?

Non lo so, non so cos'è. Vedi, tanto tempo fa c'erano tante piccole case discografiche, e individui con una visione di ciò che volevano registrare, e così via, e ci sono ancora persone così. Purtroppo le cose non vanno molto bene per loro - rispetto alle case discografiche che fanno parte di grossi conglomerati. E le banche e i conglomerati si stanno impadronendo di tutto. Un tempo Down Beat era un giornale di jazz, mi segui? Il mercato si è impadronito dell'arte - non solo nel campo della musica: le arti, la scrittura, tutto.


Il cinema.

Il cinema? Sì... Nessuno è più in grado di fare nulla. Tutto quello che si fa è solo un remake di una cosa che è stata già fatta. Ma se pensi a quali sono le cose che ti piacciono sul serio, beh, la gente che le produceva non era così. Per quanto mi riguarda sono arrivato al punto in cui non voglio essere coinvolto in ciò che non mi interessa, non voglio sprecare il mio tempo con gente che non lo merita; ci sono cose più interessanti da fare. Ma ho notato che questa musica sta diventando sempre più popolare anche negli Stati Uniti, e non avrei mai creduto che sarebbe arrivato il momento in cui...


... scusa, quale musica?

La musica più avant-garde, free o come la vuoi chiamare… contemporanea, adesso è molto popolare negli Stati Uniti; ciò che la gente vuol sentire sono artisti che salgono sul palco e sanno il fatto loro, è una diretta comunicazione mentale, che è ciò che interessa chi pensa, no? E quindi io non so in che direzione andranno gli altri, ma per ciò che mi riguarda non ho tempo per le cose scontate. Tutti quelli che ammiro hanno fatto così. E l'Art Ensemble è rimasto un gruppo valido nel tempo. Tanti si sono lanciati a fare questa musica con troppa precipitazione - pensavano di avere capito come funzionava, ma non era così. E ora risultano noiosi.


Hai parlato di "sprecare il mio tempo", e ciò mi ha ricordato You Wastin' My Tyme, una canzone che hai cantato su un album del Sound And Space Ensemble. Che importanza ha la voce nella tua musica?

La voce umana è lo strumento. In tanti la pensano così. Ho collaborato con Thomas Buckner per molti anni - molto di recente abbiamo fatto un concerto per orchestra sinfonica, voce baritono e io al sax alto. La prima è stata lo scorso anno a New York alla Alice Tully Hall, e forse il mio prossimo disco per la ECM sarà con un'orchestra sinfonica, e avrà un brano per solo piano e uno per violino e piano; sto lavorando anche con la Early Music Orchestra, nel Wisconsin: flauti, viola da gamba, viola e così via - ho trascritto tanti miei lavori per quel tipo di orchestra.


Vuoi dirmi qualcosa in proposito?

Avevo tre brani per voce e piano con testi del poeta e. e. cummings, fatti da Tom Buckner su Full Spectrum Voice; uno di questi si chiama This, e l'ho adattato per questa strumentazione del periodo rinascimentale. C'è poi una mia composizione del 1978, dedicata a Don Oropio Gerit (???), un musicista e costruttore di strumenti, basata su un flauto che costruì per me molto tempo fa e chiamata Variations On Sketches From The Bamboo - alcune parti puoi sentirle sul disco del Sound And Space Ensemble. L'avevo adattata per orchestra, e ora l'ho trascritta per flauti, triple viols (nell'estensione della viola), viola da gamba, violoncello, chitarra (che svolge la funzione dell'arpa) e un basso. E un brano chiamato Because It's, dove nella prima parte il flauto assume il ruolo della voce, per flauto barocco, clavicembalo, viola, violoncello e basso.

C'è tanto di quel lavoro da fare che non ha proprio senso occuparsi delle cose più commerciali. Guarda Muhal Richard Abrams: è un grande, già negli anni sessanta aveva una grossa band, ma tanti preferiscono sprecare il tempo con gente che fa la musica di Duke Ellington; mentre gente come Muhal, Anthony Braxton, Leo Smith ed io protremmo contribuire all'evoluzione della big band. E la gente che fa Ellington non lo fa bene come Ellington. Ma ci troviamo ad avere a che fare con questa gente, e quando la storia si occuperà di loro come li vedrà? Come coloro che hanno arrestato lo sviluppo della musica. E' quello che hanno fatto. Nient'altro. Vedi, la nostra musica non è mai stata così. Non è mai stata una musica che veniva costantemente rifatta. Guarda alla sua storia. Perché, tutto d'un colpo, è così? Mi sembra una cosa del tutto insensata. Anthony Braxton ha appena terminato la sua opera. Ha speso 200.000 dollari per farla. Non vedo l'ora di essere a casa, perché è lì che mi aspetta, e dall'aspetto del disco, la copertina, il libretto, sembrerebbe che l'abbia fatto la Sony o un'altra major. Queste sono le cose che vale la pena di fare, non suonare qualcosa come Take The A Train per l'ennesima volta.


Su che etichetta verrà pubblicata?

La sua.


Braxton House?

Braxton House.


Alcuni anni fa erano stati annunciati dei suoi dischi per questa etichetta, ma non sono mai riuscito a trovarli. Non so se siano veramente stati pubblicati. Posseggo alcuni dischi di Braxton per coro e orchestra, su Leo, credo, ma questa è proprio un'opera?

Sì, è un'opera.


Procedendo per grandi linee, Anthony Davis è un musicista che mi piaceva molto come pianista e compositore, e che dopo i dischi con l'orchestra su Gramavision si è dedicato all'opera - ne ha fatte un paio: X...

... X, Malcom X, sì...


... ma le cose che fa sono sovvenzionate?

Le sue sì. Ma vedi, lui fa cose che sono maggiormente per il popular market... X... a tutti interessa Malcom X.


Pensi che oggi sia più facile, negli Stati Uniti, avere sovvenzioni per cose del campo classico piuttosto che per una musica sperimentale che non ha l'etichetta di "classica"?

Dipende da chi sei. A Philip Glass danno un sacco di soldi. A tanta gente danno parecchi soldi, e non è che ci facciano poi queste grandi cose. Ho visto Glass, e alcune delle sue cose mi piacciono, ma a mio parere fa sempre le stesse cose. Non ho visto l'ultima cosa che ha fatto, ma chi c'è andato mi ha detto che non era molto interessante. Forse non dovrei pronunciarmi, dato che non c'ero personalmente; ma vedi, c'è un'altra cosa che il tempo determina: non puoi fare di qualcuno un eroe. Bisogna diventare eroi per i propri meriti. I media ci provano continuamente, ma non basta.


L'anno scorso ho visto un lavoro nuovo di Glass e Wilson; visivamente non era male, ma musicalmente erano le stesse cose di trent'anni fa...

Molta gente cerca di convincerti che sta facendo cose grosse… e non è così; ma succede in tutti i campi, nell'istruzione; è tutto il sistema che va riformato. Uno dei miei eroi era Telemann, che una settimana pubblicava un giornale - vuoi essere parte della conversazione? Vuoi il resto dell'articolo? Compra il giornale la prossima settimana. Mozart, nelle strade col suo quartetto. Schubert. Beethoven. E così via. Dall'altra parte gente come Charlie Parker, Fats Navarro. Duke Ellington. Se c'è qualcosa che dobbiamo fare è riconoscere un debito di gratitudine nei confronti della gente che ha fatto qualcosa di veramente valido, perché le cose devono andare avanti.


Parlavi delle case discografiche; ho recentemente intervistato un batterista inglese, Chris Cutler, che dirige un'etichetta indipendente, e si parlava di problemi simili. Le majors, a volte, quando fiutano un trend, lo sostengono, ma sempre per breve tempo - vedi la Elektra/Nonesuch con John Zorn negli anni ottanta.

Credo che oggi John Zorn abbia un club a New York - ma è solo uno studente di Anthony Braxton; studiava con Braxton - lui e Tim Berne. A mio avviso non sono degni nemmeno di portargli la custodia dello strumento. Nemmeno la custodia. Ma si parla molto più di loro che di Anthony, il che è totalmente ridicolo. Anthony è un artista che produce idee a getto continuo, e la gente lo copia. Ma la musica si è sviluppata a tal punto che perfino il pubblico se ne sta accorgendo.


Due bei dischi dell'Art Ensemble sono stati ristampati da poco: Bap-Tizum e Fanfare For The Warriors...

... e stiamo ancora cercando di farci pagare dalla Atlantic - che ignora le nostre telefonate. Non ci hanno dato nemmeno un soldo per queste ristampe. Sono in ritardo... (ride)


In ritardo, o potremmo chiamarle "strane procedure contabili"?

"Procedure contabili molto strane" direi.


Chi c'è ora all'Atlantic?

Neanche lo so.


E' parte della Warner?

Oggi non sai mai chi possiede chi... potrebbe essere chiunque.


Quindi non siete stati pagati...

... non per le ristampe. E per l'ultimo disco, hai visto forse pubblicità?


Solo una recensione su Down Beat.

Ed è tutto.


E' tutto. La ECM ha fatto di meglio per il CD dei Note Factory; c'è anche qualcosa sul sito..

Ho una rassegna stampa spessa così su quel disco, hanno fatto un buon lavoro di promozione. Ma ora i musicisti hanno i loro siti, dove il pubblico può comprare dischi, spartiti… puoi bypassare le case discografiche, che cominciano a preoccuparsi di non avere più il controllo totale del mercato.


Prima parlavamo di Glass. Negli anni sessanta Braxton lo ha apertamente citato quale influenza su una parte del proprio lavoro, per essere precisi la serie Kelvin. Personalmente non ho mai considerato le tue cose quali la serie Nonaah come collegate al minimalismo. Vuoi dirmi la tua in rapporto a ciò?

Vedi, alcune cose che il minimalismo ha prodotto erano buone. Ho visto una produzione di Glass di The Photographer ed era un grosso lavoro, con telecamere, luci e tutto quanto, e il modo in cui ha combinato gli elementi era molto interessante, e tutto si ripeteva costantemente, come la musica. In uno spazio sulla scena c'era un cerchio, alcuni che ballavano, e i passi si ripetevano e poi cambiavano gradualmente, come la musica. Quel lavoro mi piacque. Ed anche certe cose di Steve Reich. Non ho mai pensato che il minimalismo fosse l'unica direzione in musica, niente affatto. Ma alcune cose mi piacevano. C'è un mio pezzo, Chant, che potrebbe essere considerato vicino al minimalismo; è sulla serie Wildflowers, che Sam Rivers incise nel suo studio, Rivbea.


Posseggo quel disco, ricordo che Chant prendeva tutta una facciata...

Davvero? Per me il minimalismo era solo una parte, non certo il tutto.


Ma se consideriamo la serie Nonaah, la vedi collegata al minimalismo o no?

No. No, affatto. Ebbe inizio come un pezzo per solo sax, in una situazione in cui un solo sassofono potrebbe essere percepito come due strumenti a causa degli ampi salti tra le due melodie. Tante cose che faccio sono materiale cui fare riferimento per generare molti brani; quest'ultima serie che sto componendo adesso, Fallen Heroes, beh, ne ho già fatte tante, compresa una per orchestra sinfonica; ed è così che l'ho ideata, in maniera tale da essere in grado di ritornarci e generare da essa molti brani.


Una struttura generativa?

Esatto, una struttura generativa; esatto. E' una fonte, una fonte materiale per generare composizioni. E anche Fallen Heroes è così, in modo che quando voglio comporre posso sedermi e comporre, invece di ...(si gratta comicamente la testa, come qualcuno che non sappia cosa fare).


Ne ho una versione sul CD dei Note Factory, ne hai pubblicato altre?

Ce n'è una su Sound Songs.


Già! Il doppio su Delmark.

Quello. Tante cose su Sound Songs erano cose che mi sono venute in mente, e che ho poi sviluppato; c'è anche uno sketch di Leola, su Sound Songs.


Visto che parliamo di strutture: c'è molta resistenza, credo, perfino adesso, a concepire la musica in modo "obiettivo", per usare la parola migliore che mi viene in mente adesso, perché molti sembrano percepire questo approccio come "freddo e calcolatore"...

... non ci vedo nulla di mal... (ride divertito) continua, continua... scusa l'interruzione.


... sembra quasi che se "viene fuori" è ok, ma se concepisci qualcosa ragionandoci sopra non lo sia, il che mi pare un punto di vista molto strano.

E' strano, ma vedi: devi sapere quello che fai. Ed è questo il motivo per cui molti improvvisatori non sono dei buoni improvvisatori: perché non conoscono la composizione; non ragionano come un compositore. Quando un compositore si siede, pensa, diciamo, trecento misure. Molti improvvisatori salgono sul palco, suonano due misure e stanno a vedere che fanno gli altri, e quando fai così è come essere indietro in un pezzo di musica scritta, hai lo stesso effetto: tu conosci bene la tua parte, io meno bene, suono e sto a sentire quello che fai, tu fai qualcosa ed io salto molto velocemente - ti seguo. E' tutto qui: molti improvvisatori non sanno cosa fa di una composizione una buona composizione. Ma i migliori lo sanno. E i migliori hanno studiato musica in tanti tipi di situazioni. Sanno come suonare una nota ogni cinque minuti, e sanno come far sì che quella nota assolva la giusta funzione. E sanno come suonare... perfino quando suonano il silenzio puoi sentire lo schema di pensiero proseguire. Quelli meno bravi, invece, tendono continuamente a suonare risoluzioni. Mentre un buon improvvisatore non le usa mai, dato che esse mettono la musica in tanti piccoli quadratini. Quel che un buon improvvisatore persegue è un pensiero esteso, estesi modelli di pensiero. Ed è questo che fa di un'improvvisazione una buona improvvisazione.


Ricordo che quando ho letto il libro di Graham Lock su Anthony Braxton, Forces In Motion, è stato bello vedere su carta gli elementi della sua grammatica musicale; non sono strutture che è facile percepire mediante il solo ascolto.

E' vero. C'è bisogno di gente più avanzata nelle scuole. Vedi, negli Stati Uniti c'è tanta gente nelle scuole che fa sempre le stesse cose, non sono per nulla aperti nei confronti delle cose nuove. Questo, per me, è l'opposto dell'insegnare. L'istruzione concerne l'imparare. E se tutto d'un colpo qualcuno pensa di sapere tutto, e non può imparare più niente, beh, non è interessante. Molti studenti sono stanchi di questo stato di cose, perché pagano tanti soldi per essere messi in una situazione nella quale devono continuamente essere all'altezza di qualcun altro, invece di essere presi in considerazione in quanto singoli individui. L'unica cosa che si può insegnare a uno studente è come imparare. Tutto qui. Io non devo farti diventare come me, ma incoraggiarti ad essere te stesso. E' questo l'insegnamento. E se non è questo, allora non è interessante. Per essere un buon insegnante e un buon allievo devi essere umile. Devi capire che non sei nulla - e allora puoi crescere. Ma finché non lo fai non potrai crescere.


Le amministrazioni Reagan e Bush hanno tagliato i fondi alle scuole. Secondo te è un problema politico o culturale?

Un po' tutt'e due le cose. La prima cosa che si taglia è l'arte - e la musica. Nelle scuole nere è quello che hanno fatto. Per questo è nato il rap: gli studenti non avevano strumenti, e quindi dovevano fare qualcosa, allora hanno preso i dischi e li hanno usati per fare lo scratching e così via, perché non si può sopprimere la creatività, e se la tua vocazione è di essere creativo troverai un modo per esserlo. Ma io credo che l'arte ci tocchi tutti in un modo molto speciale, e tutti dovrebbero essere esposti all'arte; per me è un'idea assurda quella di eliminare l'arte dalle scuole, com'è stato fatto. Ci sono scuole in rovina, che cadono a pezzi... c'è stato un banchiere bianco, nello stato di New York, che ha comprato una scuola per rimetterla in sesto, e la maggior parte degli studenti di quella scuola sono neri; sono stato toccato da questa notizia, mi ha quasi fatto piangere; e in quattro anni questi studenti hanno ottenuto i voti migliori in assoluto, gli insegnanti fanno a gara per andare ad insegnare lì... L'istruzione è una cosa molto importante. E' molto importante che la gente riscopra l'importanza dell'imparare, concetto che adesso è molto offuscato, bisogna che lo recuperino, che vedano le cose chiaramente e focalizzino cosa vuol dire imparare.


Cosa pensi del rap come forma d'arte?

Ci sono delle cose che mi piacciono, proprio perché esso rappresenta quello che ti ho appena detto: l'energia creativa. Alcuni hanno da ridire su certe cose del rap, ma queste sono le reali condizioni nelle quali la gente vive. Gli altri non capiranno mai finché non vivranno in quelle condizioni. Molti non devono mai preoccuparsi di cose come il danaro - mai! Non sanno com'è quel tipo di vita; non lo sanno proprio. E così da un punto di vista mi piace e anche da un altro, perché ha segnato un cambiamento nei confronti delle rock band... li ha resi diversi da chi aveva una chitarra; tutti hanno una chitarra. E quindi sono due le cose che mi piacciono. E il rap ha reso valida un'altra direzione per la musica che viene dalla tradizione.


Pensi che la "direzione chitarristica" fosse ad un punto morto?

Beh, questi dicono: tanti suonavano solo il blues, e adesso non vogliamo più suonare il blues - perché il blues è morto, capisci? E in un certo senso è vero. Quelli che suonavano il vero blues - la maggior parte sono morti. Morti sul serio. E tanti che fanno il blues in modo scadente… beh, non sono affatto interessanti. Preferirei ascoltare un disco...


... che era valido e lo è ancora.

Lo è, certo, lo è. E' questa la caratteristica della vera arte. E' l'unica cosa che resta, non resta nient'altro. Ed io sto diventando vecchio, e non mi rimane più molto tempo (ride) perché io lo perda ad avere a che fare con gente che non si impegna a migliorarsi e a crescere mentalmente.


L'intervista sembra essere giunta molto naturalmente alla propria conclusione. Spento il registratore Mitchell si accende una sigaretta ("ho ancora tutto il fiato che voglio; posso suonare anche per un'ora di seguito" - non sa quanto le sue parole si riveleranno profetiche); e c'è anche il tempo per ricordare l'album degli Air, Air Lore (noi) e per lodare Henry Threadgill, musicista creativo (lui). Appuntamento al concerto.



Live: Acicastello 3/7/'99

Il concerto dell'Art Ensemble Of Chicago costituisce il clou della manifestazione "Jazz al Castello": posto suggestivo, buona amplificazione, pubblico rispettoso (e alcuni hanno fatto parecchia strada). Mancando Lester Bowie, l'elemento più entertainer, melodico e realista del gruppo, ci chiediamo quale sarà il compito di Ari Brown. L'inizio del concerto fornisce subito le coordinate: è Leola, proprio il brano posto in apertura dell'album a nome Note Factory; pianoforte, respiro lungo e melodico, "afrocameristico". Dove i conti saltano è nel giorno della settimana capitato in sorte: sabato. Un fiume di teenager dediti all'eterno rito dello struscio circonda la piazza, annegando nel vocìo le sottili trame del gruppo. Con comprensibile disappunto Mitchell deve cambiare registro; ferma il gruppo ("Cut it, Ari") e si lancia in un incandescente assolo in respirazione circolare di cinque minuti buoni: siamo in territorio Nonaah, per intenderci. Lo sconcerto di buona parte dei presenti è palpabile; ci viene in mente Bill Bruford, che diceva i King Crimson più potenti dei Megadeath, non per il volume ma grazie al rapporto armonico tra gli strumenti. Qui siamo oltre. Seguono settanta minuti in cui ne succedono di tutti i colori: assolo di sax soprano rigorosissimi e contemporaneamente da trance sciamanica; un tradizionale solo di Brown al tenore che, ricontestualizzato, pare nuovissimo; scene da mercato africano; i classici Moye e Favors sempre efficaci e asciutti; un pianismo a tratti quasi tayloriano che nasconde nelle pieghe del suono un sottile dialogo melodico coi sassofoni; Mitchel lucidissimo e fluido, coinvolgente senza mai concessioni all'effetto. E la vita riserva sempre delle sorprese: dopo il trascinante brano conclusivo (una versione strumentale di Big Red Peaches) l'applauso è incontenibile. Una signora vicino a noi pone la domanda fatidica: "Hanno già finito? Così presto?"


Discografia selezionata

Per la serie "l'ottimo è nemico del bene" abbiamo privilegiato, tra gli album a nostro avviso maggiormente validi, quelli (ri)stampati su CD. Solo qualche eccezione, per titoli fondamentali - il mercato delle ristampe è in continua evoluzione.


Art Ensemble Of Chicago

1967/68 (5 CD) (Nessa)
People In Sorrow ('69) (rist. insieme a Les stances à Sophie come 1969-1970) (Emi Jazztime)
Bap-Tizum ('72) (Atlantic)
Fanfare For The Warriors ('73) (Atlantic)
Nice Guys ('78) (ECM)
Full Force ('80) (ECM)
Urban Bushmen ('80) (ECM)


Roscoe Mitchell

Sound
('66) (Delmark)
Solo Saxophone Concerts ('73/'74) (Sackville) (fuori catalogo)
Nonaah ('77) (Nessa) (f.c.)
L-R-G/The Maze/S II Examples ('78) (ristampato Chief)
Snurdy McGurdy And Her Dancing Shoes ('80) (Nessa) (f.c.)
3X4 Eye ('81) (Black Saint)
New Music For Woodwinds And Voice ('81) (1750 Arch, rist. Mutable Music)
And The Sound And Space Ensembles ('83) (Black Saint)
An Interesting Breakfast Conversation ('84) (1750 Arch, rist. Mutable Music)
Four Compositions (87?) (Lovely Music)
Duets And Solos (with Muhal Richard Abrams) ('90) (Black Saint)
This Dance Is For Steve McCall ('92) (Black Saint)
Pilgrimage ('94?) (Lovely Music)
Hey Donald ('94) (Delmark)
Sound Songs ('94) (Delmark)
First Meeting (with Borah Bergman) ('94) (Knitting Factory)
In Walked Buckner ('98) (Delmark)
Nine To Get Ready ('98) (ECM)
8 O'Clock: Two Improvisations (with Thomas Buckner) (2001) (Mutable Music)
Song For My Sister (2002) (PI Recordings)


Partecipazioni

Anthony Braxton - Creative Music Orchestra ('76) (rist. RCA Bluebird)
George Lewis - Shadowgraph ('77) (Black Saint)
George Lewis - Voyager ('93) (Avant)
Tom Hamilton - Off-Hour Wait State ('95?) (O O Discs)
Matthew Shipp - Duo ('96?) (2.13.61)


© Beppe Colli 1999 - 2003

CloudsandClocks.net | Jan. 26, 2003