Intervista a
Peter Frame (1999)

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di Beppe Colli
Aug. 12, 2003



Spiccata curiosità per il particolare unita a forte bisogno di sistematizzazione sono motivi sufficienti a spiegare l'apprezzamento di chi scrive per i Rock Family Trees, notissimo formato inventato dal critico inglese Peter Frame. Quello di Frame era comunque un nome già noto - ed estremamente rispettato, anche se limitatamente all'allora ristretto mondo degli "addetti ai lavori": era stato infatti proprio Frame a fondare Zigzag, il periodico "Made in UK" che costituì ottimo esempio di giornalismo "fuori dalle righe" per i nomi trattati, unitamente a una passione per il lavoro "investigativo" in grado di produrre ritratti di musicisti di maniacale complessità. Ed è fatto ampiamente riconosciuto che Zigzag fu la prima - e per molti versi la più importante - fucina di giornalismo musicale d'Inghilterra.

A fronte di tutto ciò, non ci era mai capitato di leggere un'intervista con Frame - fatto molto strano, soprattutto qualora considerato che in Italia qualcuno con molto spazio e inchiostro a disposizione aveva sovente citato proprio Frame quale maestro e nume tutelare. Forse Frame era uno di quegli orsi ringhiosi che praticano lo sport di terrorizzare i visitatori.

Invece contattare e intervistare Frame si rivelò estremamente semplice. La raccolta più recente di Family Tree metteva in copertina interna un numero di fax. Mandammo, e dopo un giorno o due ricevemmo un numero di telefono. Dopo una breve - e cordialissima - conversazione, inviammo le nostre domande via lettera. Qualche giorno dopo - era il 3 giugno 1999 - ricevemmo le risposte via e-mail. Il risultato apparve in lingua italiana su Blow Up # 14/15, luglio/agosto 1999: per Frame era la prima intervista in italiano!

In vista dell'apparizione in Rete della nostra vecchia conversazione abbiamo cercato di ricontattare Frame, ma l'indirizzo di posta elettronica risulta essere non più valido, mentre al vecchio numero telefonico ci viene detto che Frame ha traslocato da circa due anni. Nessuno dei suoi colleghi da noi interpellati sa dove sia finito.

Ah! Anche se è apparso in televisione, Frame non ha mai amato farsi fotografare.



"Ho incontrato Dan Penn e Spooner Oldham, fatto colazione con Maria Elena Holly, pranzato con John Lydon, cenato con Pete Seeger, preso il caffè con Paul McCartney, il tè con Robert Plant, mi sono ubriacato con Marc Bolan, ho bevuto Jack Daniels con Keith Richards, fatto una canna con Arthur Lee (...), scambiato lettere con John Lennon e Tom Rapp e incontrato un uomo che portava la pistola per Elvis" (e continua...). Così Frame nella scherzosa - ma veritiera - introduzione a un suo recente libro. Citato dai critici di mezzo mondo, inventore di un formato (il Rock Family Tree), autore di diversi volumi, fondatore di quella fucina di giornalismo che fu Zigzag, ospite mensile di Mojo con il suo Family Twig - un ramoscello tratto dal grande albero - Frame è un gigante nella storia del rock "scritto" e un esempio imprescindibile per chi odia sciattezza e cialtroneria. Buona lettura per quella che è - Frame conferma - la sua prima intervista italiana (!).


Innanzitutto vorrei chiederti quando - e perché - hai iniziato a interessarti di musica, e com'è avvenuta la tua transizione da fan a persona che ne scrive...

Divenni un teenager lo stesso mese (novembre 1955) in cui Rock Around The Clock di Billy Haley & The Comets arrivò al primo posto in Inghilterra. A molti quel disco sembrò una trovatina, ma io rimasi affascinato dal ritmo, dal testo, dal sound, dallo stile, dall'esuberanza. Era diverso da qualunque cosa avessi mai sentito alla radio. Prima non mi ero mai interessato di musica pop, ma cominciai a comprare il NME e rimasi conquistato, in particolar modo dalla classifica dei singoli americani e dai dischi americani.

La BBC (allora l'unica emittente radio nazionale) odiava il rock'n'roll e lo passava di rado, ma io ascoltavo Radio Luxemburg e nel '56 ascoltai Elvis Presley, Gene Vincent, Chuck Berry, Fats Domino... i dischi si impadronirono della mia vita. Li trovavo più interessanti dei compiti. Molti dei miei compagni preferivano il jazz tradizionale - che io odiavo. Il rock'n'roll era considerato una musica per babbei, nessuno lo prendeva sul serio... ma io lo amavo e pensavo fosse culturalmente importante.

A scuola mi avevano insegnato l'importanza di un lavoro sicuro e così andai a lavorare per una società di assicurazioni, la Prudential. Ci rimasi otto anni, ma il mio interesse per la musica rock era soverchiante. Andavo a quanti più concerti potevo. Tutt'intorno a me gli anni sessanta erano in crescendo... e sapevo che dovevo "drop out and do my own thing, man." A quel tempo non c'era nessun giornale che si occupasse della musica che amavo, così decisi di fondarne uno: Zigzag. Il primo numero uscì nell'aprile del 1969. Non avevo nessuna esperienza di giornalista - tutto quello su cui potevo contare era il mio entusiasmo.


Qualche mese fa ho acquistato il nuovo libro di John Platt sui Cream; a un certo punto Platt elenca gli artisti che era possibile vedere a Londra in una sola settimana del giugno '66 - beh, i nomi sono pazzeschi! All'epoca vi rendevate conto che quelli erano tempi speciali? (Che è quello che ogni ragazzo di sedici anni pensa... però...) Tra l'altro ho appena riletto l'articolo che hai scritto in seguito per Zigzag, "The Year of Love, including the birth of Pink Floyd" - ottimo!

(John Platt era un lettore di Zigzag; lo incoraggiai a fare un giornale - Comstock Lode. Ora vive a New York.)

Negli anni cinquanta l'Inghilterra era tetra e povera, e ancora sofferente per la guerra, ma con l'arrivo del rock'n'roll tutto divenne a colori e la vita diventò eccitante. Mi sono goduto ogni momento degli anni sessanta e mi considero molto fortunato ad averli vissuti - e ancora più fortunato per il fatto che me ne ricordo la maggior parte! C'era continuamente qualcosa di nuovo e di stupefacente che accadeva. Ho visto così tanti gruppi... gli Stones, Dylan, i Doors, Hendrix, i Beatles, gli Everlys, Little Richard, gli Who, Sam Cooke, i Cream, gli Yardbirds, i Floyd, Led Zeppelin, Janis Joplin, i Byrds con Gram Parsons - tutti. La maggior parte in posti piccoli, dove li vedevi da vicino. I settanta mi sembrarono eccitanti, dato che ero molto più coinvolto, ma a ripensarci adesso non così meravigliosi come i sessanta. Avendo detto ciò, se ora fosse un teenager direi che i novanta sono il decennio più bello.


Abbiamo nominato Zigzag: vuoi parlarne, dato che la maggior parte dei lettori non l'avrà mai sentito nominare?

Nessuno dei giornali musicali inglesi parlava della musica che mi piaceva. Si occupavano dei gruppi famosi, ma a me interessava la scena sotterranea. Decisi di fare un giornale per quelli che amavano la stessa musica che amavo io. Lo chiamai Zigzag in omaggio al pezzo di Beefheart Zigzag Wanderer - e anche per le cartine che venivano usate per fare i joint. Mi interessai di layout, stampa, distribuzione ecc. e lasciai il lavoro. John Tobler, che avevo incontrato alla Prudential nel '62, salì a bordo e fu bravo a raccogliere pubblicità, così andammo avanti. I primi cinque numeri avevano in copertina Sandy Denny, Bob Dylan, Frank Zappa, Edgar Broughton e Jeff Beck, e durante il primo anno intervistammo Captain Beefheart, Zappa, Robert Fripp, Jeff Beck, Arthur Lee, gente di tutti i tipi. Rimasi fino al n. 30, poi mi occupai d'altro, ritornai per i nn. 59-74 e me ne andai di nuovo col punk. Pensavo di essere troppo vecchio per dirigere un giornale al passo coi tempi e lo passai a Kris Needs, che era un amico punk. Il giornale durò, mi pare, fino al n. 135.

Zigzag fu un giornale davvero pionieristico - un modello per l'attuale Mojo.


Mi piacerebbe sapere come ti venne l'idea dei Rock Family Trees - il primo che hai fatto era su Al Kooper, giusto? Quello che mi piace delle tue cose è che sono piene di informazioni e al tempo stesso piacevoli da leggere...

In quanto giornalista rock trovavo difficile scrivere di tutti i cambiamenti di formazione e dei collegamenti tra i gruppi - e un giorno, dopo aver intervistato Al Kooper nell'estate del '72, pensai che sarebbe stato più facile se avessi raccontato la sua storia utilizzando lo schema dell'albero genealogico. Apparve sul n. 21 di Zigzag e anche sul mio libro More Rock Family Trees. Come puoi vedere era molto primitivo... ma cominciai a farne sempre di più per Zigzag - Jack Bruce, Stoneground, Fairport Convention ecc. - e li feci sempre più dettagliati. Jac Holzman, il boss della Elektra Records, voleva farne un libro ma poi lasciò la Elektra e così feci un accordo con la Omnibus Books di Londra e sono con loro dal 1980.

I miei family tree sono apparsi anche su Rolling Stone, su tutti i giornali inglesi, su svariati album e programmi di tour, dappertutto. Ci sono stati anche due cicli per l'emittente televisiva inglese BBC - ne stiamo preparando un terzo. Ho fatto un family tree della squadra del Manchester United, che divenne un programma televisivo, e uno dei Monty Python, che sarà un programma televisivo il prossimo ottobre.

La cosa bella dei miei family tree è che posso scrivere quanto voglio - e nessuno può tagliarli! Ho tutta questa roba in testa ed è bello trasmetterla a chi fosse interessato.

Ripensandoci, quand'ero a scuola mi sarebbe piaciuto essere un architetto, un romanziere, un musicista o un pittore - ma sapevo di non essere brillante o bravo abbastanza da farcela in nessuno di questi campi... ma credo di aver trovato un'area al confine tra tutte queste cose.


Una qualità che ho molto apprezzato nel tuo lavoro è il fatto che tu ti sia occupato di personaggi e stili molto diversi, non rimanendo fermo a un'epoca - cosa non molto comune, direi, tra le persone che hanno vissuto i sessanta...

La mia musica preferita è quella degli anni cinquanta e sessanta, ma c'è roba che mi piace degli anni settanta, ottanta e novanta. Anche se la musica di un gruppo non mi piace molto, spesso mi piacciono loro come persone e così mi appassiona investigare sul loro background. Incoraggerò ogni nuova band che ci prova. Non mi piacciono i gruppi prefabbricati, mi piacciono le band vere. E ce ne sono sempre di nuove - e buone - che vengono fuori.


In Italia consideriamo l'Inghilterra la patria dei settimanali (NME, MM, Sounds...) il cui principale problema, a mio avviso, è sempre stato quello di trovare un trend ogni due settimane! Credo che Mojo sia il primo mensile dopo Zigzag a offrire informazioni accurate e approfondite e buone interviste. Il tuo parere?

Mojo, come tu dici, è una versione moderna di Zigzag - ma Mojo è posseduto da una società che è quotata in borsa e ha dietro grossi soldi. E la stessa cosa vale per i settimanali. Oggi è tutto diverso. Ai tempi di Zigzag eravamo indipendenti, e c'erano pochissime persone che scrivevano di musica rock. Da allora è diventata una professione accettata. Adesso ci sono troppe persone che lo fanno, troppi giornali. Li leggevo tutti, fino a dieci anni fa, ma ora non ho il tempo per leggerli tutti. La maggior parte li trovo merdosamente noiosi. Un sacco riciclano cose che abbiamo fatto decenni fa.


Parliamo di interviste. Ho da poco riletto quella che hai fatto a Jimmy Page nel '72 per Zigzag: molto interessante. Qui la mia domanda è di tipo generale: credi che essendo la musica diventata un grosso business sia cambiato il rapporto tra gli artisti e i media? (Questo è sicuramente avvenuto per ciò che riguarda le foto: pensa a quelle di Jim Marshall e altri come lui e confrontale con quelle di oggi.) Ciò che non manca mai di colpirmi quando rileggo le (migliori) interviste di una volta è quanto poco "cauto" fosse l'atteggiamento di persone quali Hendrix, Page, Dylan, Lennon, che già sapevano di essere "grandi" - e quanto "normali" (insomma...) essi fossero. Voglio dire, oggi è diverso con gente come Madonna o Prince...

Quando ho fondato Zigzag anche le band più importanti giravano col furgoncino e suonavano in posti piccoli... ma col crescere del pubblico crebbero anche le dimensioni del business. Aerei privati, posti enormi, catene di negozi di dischi, grossi affari. Una volta i dischi venivano pubblicati, e poi andavano fuori catalogo... erano rari e preziosi, e non molti li conoscevano. Oggi una grossa fetta di mercato è costituita dal catalogo. Ho sempre saputo che il rock era una parte importante della cultura popular - e avevo ragione. I "quotidiani di prestigio" non si occupavano mai di rock, oggi ne sono pieni. Ad esempio, la recente morte di Skip Spence è stata su tutti i quotidiani d'Inghilterra - ma nessuno di loro se ne occupò mai quando era vivo. Zigzag sì, naturalmente.

Quando andavo a intervistare i musicisti essi erano stupiti di quante cose sapessi, del fatto che volessi conoscere tanti dettagli... e così tendevano ad aprirsi a causa del mio entusiasmo. Succede ancora: in anni recenti ho fatto interviste con David Bowie (5 ore), Paul Simon (6 ore), Frank Zappa (4 ore, la sua ultima intervista estesa) e altre per programmi radio, e tutti sono stati molto aperti. Non ho mai incontrato Madonna o Prince. Di questi tempi sono tornato a intervistare artisti di interesse "minoritario". Vivo in campagna (abito nello stesso posto da 29 anni) e vado a Londra (a 50 miglia) il meno possibile.


Hai incontrato/intervistato proprio tutti. Qualche aneddoto?

Troppi per ricordarli tutti! Il progetto più bello cui ho lavorato è stato "La storia dell'Atlantic" - un serial di 14 ore per la BBC radio nel 1988. Il produttore (Kevin Howlett) e io girammo l'America - intervistai Ray Charles, Ruth Brown, Jerry Wexler, Robert Plant, Steve Cropper, i musicisti degli studi Muscle Shoals, Ahmet Ertegun... in tutto 76 interviste.

Il mio momento più imbarazzante fu nel '73, quando andai con John Tobler a Los Angeles per delle interviste. Fumai troppa erba messicana e svenni nella cucina di Michael Nesmith.

Quando andai negli Stati Uniti per intervistare Paul Simon ci trovammo a volare con lui e la band nel suo aereo privato. C'è una legge per cui al momento del decollo devi dare istruzioni che potrebbero servire in caso di pericolo... e Paul stava lì, come una hostess, mostrandoti come usare il giubbotto e le uscite di sicurezza.

Una delle cose più belle fu stare seduto con Frank Zappa a guardare dei video che aveva registrato dalla televisione e che mostravano quant'era stupida la maggior parte degli americani. Morì non molto tempo dopo.


L'informazione oggi è diventata onnipervasiva - qualcuno direbbe sovrabbondante. A volte penso che la scarsità di notizie in tempi passati facesse sì che ogni cosa tu trovassi fosse "importante e preziosa" - quelle copie import! Oggi, per molti versi, il livello di coinvolgimento medio mi appare sul tiepido... Sbaglio?

Hai perfettamente ragione. Oggi ci sono libri su ogni aspetto della storia del rock, e non era così nei sessanta. Allora c'erano solo pochi libri. In quanto pionieri del campo impiegavamo tempo ed energie a scoprire la musica che amavamo e le persone che facevano quella musica. Pochissimi tra quelli che oggi scrivono hanno quella filosofia. Un'eccezione è Johnny Rogan, diligente e perseverante. Naturalmente ha cominciato a scrivere su Zigzag!


E parlando di accuratezza vorrei farti una domanda sul Web. La proliferazione di siti e la diffusione delle informazioni sono state considerate un progresso per lo sviluppo del "processo democratico". Ma da quel che vedo il livello di esattezza per ciò ce riguarda le informazioni musicali è estremamente basso. In tal senso credo che la rivista specializzata, come posto dove trovare informazioni "speciali" e "garantite per vere", rimarrà con noi per molto tempo ancora... o no?

Internet permette a chiunque di scrivere delle proprie passioni, ma hai ragione: molte cose nel campo del rock sono scritte male o riciclate. Io sono all'antica: mi piace leggere su carta. Quando uso Internet penso sempre che sto buttando un sacco di tempo, dato che devi farti strada in mezzo all'immondizia. La cosa buona della stampa specializzata è che gli standard sono più alti che in passato e che puoi conservare i giornali per un uso futuro. Sono sorpreso di quanto valgano le vecchie copie di Zigzag.

Non ho mai voluto essere ricco e famoso. In realtà odierei essere famoso. Ma sono contento che il mio lavoro abbia incoraggiato qualcuno a godersi di più la musica.


© Beppe Colli 1999 - 2003

CloudsandClocks.net | Aug. 12, 2003