Intervista a
Phillip Johnston
(The Microscopic Septet)

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di Beppe Colli
Oct. 22, 2006



"Troppo scorrevoli per l'avanguardia, troppo intricati per le masse"? Quale che sia la ragione, il Microscopic Septet è sembrato passare gli anni ottanta sulla soglia di un successo commerciale che purtroppo non si è mai materializzato. Ma la recente ristampa di tutto il loro catalogo - fuori stampa da moltissimo tempo - dovrebbe invitare a una più attenta valutazione della loro musica.

Abbiamo scritto a (l sassofonista soprano e alto) Phillip Johnston - il co-leader dei Micros, e il principale compositore del gruppo insieme al pianista Joel Forrester - chiedendo un'intervista. Avevamo già intervistato Johnston a proposito dei Fast 'n' Bulbous, il progetto beefheartiano del quale è co-leader con il chitarrista Gary Lucas. E avevamo già avuto la possibilità di parlare a lungo con lui agli inizi di quest'anno, quando il suo Transparent Quartet si era trovato a suonare nella città dove abitiamo.

Johnston aveva appena finito di rispettare una scadenza per la colonna sonora di un film. Si è detto disposto a rispondere alle nostre domande. L'intervista - condotta via e-mail - ha avuto luogo la scorsa settimana.


Devo confessare che l'unico articolo sui Microscopic Septet che ho mai letto è quello scritto da Francis Davis ora contenuto nella sua seconda raccolta di scritti, Outcats, con il titolo di Band Of Outsiders. Qui viene detto che hai incontrato Joel Forrester - il pianista del gruppo, e l'altro compositore - nella Bowery durante i primi anni settanta, poco dopo aver smesso di frequentare la New York University. La tua frase virgolettata è "Ho accettato la borsa di studio perché mi consentiva di uscire da Queens". Dato che le mie idee a proposito delle municipalità in cui è divisa New York sono decisamente vaghe, con nomi come la Bowery e Queens che mi richiamano alla mente soprattutto Patti Smith e i Ramones - beh, ti dispiacerebbe parlarmi di questa parte della storia?

All'epoca in cui ho finito il liceo ero un perfetto teenager ribelle, gasato da Abbie Hoffman, Antonin Artaud, The Fugs, Tristan Tzara, Frank Zappa, Jack Kerouac & Timothy Leary. Non provavo molto entusiasmo per l'università, ma non ero ancora sufficientemente coraggioso da abbandonarla del tutto; come soluzione di compromesso andai alla NYU perché volevo vivere a Manhattan. Durante il primo semestre compresi che non avevo bisogno dell'università per giustificare il mio vivere lì e di lì a poco smisi di frequentare i corsi. (Ironicamente, anni dopo sono andato a insegnare nel Dipartimento di Composizione della Steinhardt School of Music della NYU, e l'ho fatto per cinque anni.) Volevo andare a San Francisco, essere un hippy e suonare musica pazza con il sassofono, ed è quello che ho fatto.

Come ho incontrato Joel Forrester (metà anni settanta)

Mi stavo esercitando al sassofono nel mio appartamento sulla East 10th Street nell'East Village. La porta si aprì e un tizio entrò e si sedette. Diedi per scontato che fosse un amico della persona con cui dividevo l'appartamento e continuai a esercitarmi. Dopo un considerevole lasso di tempo mi fermai e dissi "Nemo sarà di ritorno tra circa un'ora e mezza." Il tipo disse "E chi è Nemo?" Io dissi "Non stai aspettando Nemo?" Lui disse "No, ho sentito che stavi suonando un pezzo di Monk e ho pensato di salire". Chiacchierammo per un po' e decidemmo che avremmo dovuto suonare insieme. Sfortunatamente il giorno successivo mi sarei trasferito a San Francisco. Quella mattina mi alzai presto (una cosa che a quei tempi non succedeva spesso), andai all'appartamento di Joel (viveva nell'isolato successivo) e suonammo una grande session totalmente improvvisata alle nove del mattino, e poi ho preso un autobus della Greyhound per San Francisco.

Come ho incontrato John Zorn (metà anni settanta)

A quei tempi ero solito andarmene in giro, soprattutto facevo avanti e indietro tra New York e San Francisco. Vivevo a San Francisco, doveva essere il 1975 o il 1976, e stavo attraversando il Golden Gate Park per recarmi a un concerto dei Jefferson Starship (credo che fossero appena cambiati da "the Airplane" a "the Starship"). Ho sentito qualcuno che suonava un incredibile sassofono, un po' come un bebop free molto veloce e intenso, in un sottopassaggio. Ci andai e ascoltai per un po' e quando fece una pausa mi avvicinai e gli parlai. Dissi: "Suoni in modo incredibile". Lui rispose: "Non stavo suonando, mi stavo esercitando. Vuoi sentirmi suonare?". "Certo!". E allora suonò la sua musica, in un certo qual modo più vicina per stile al modo di suonare di Roscoe Mitchell, ma essenzialmente più o meno lo stesso modo in cui suona oggi.

Cominciammo immediatamente a suonare insieme, e suonavamo spesso in strada su Telegraph Avenue a Berkeley, suonando un urlante free jazz (con una tazza per le offerte) finché non venne la polizia.

Tutti e due ci muovevamo regolarmente avanti e indietro per gli Stati Uniti, e suonavamo insieme su ambedue le coste. Il nostro primo concerto al chiuso è stato all'Ontological Hysteric Theater di Richard Foreman (ho partecipato a un paio dei suoi primi lavori teatrali). Durante questo periodo ho anche conosciuto, suonando con lui, Wayne Horvitz a Santa Cruz, e Dave Sewelson mi dice che gli ho dato un passaggio mentre faceva l'autostop a Berkeley, ma io non me lo ricordo.

Retrospettivamente, sia Joel che John erano più avanti di me in modo considerevole, e sebbene siano stati tanto gentili da trattarmi come un loro pari ho imparato moltissimo da tutti e due; in modi diversi, tutti e due sono stati dei maestri per me.


Al tempo in cui ci hanno suonato i Microscopic Septet, posti come The Kitchen e Roulette godevano di uno status davvero mitico sulla stampa (internazionale), che descriveva "la scena" come un ambiente creativo in cui artisti come Robert Fripp, Laurie Anderson, George Lewis, Fred Frith e molti altri "producevano la loro arte" al cospetto di un pubblico estremamente colto e altamente ricettivo. "Avanguardia per le masse", per così dire. Mi piacerebbe che tu mi dicessi come stavano le cose. Anche: in che modo la situazione differiva da quella dei primi anni settanta, un periodo in cui tu frequentavi già i concerti?

Per quanto riesca a ricordare, i Micros non hanno mai suonato né al Roulette né al Kitchen (sebbene in un periodo successivo io abbia suonato in entrambi i posti, sia in qualità di sideman che di leader). All'inizio facevamo parte di una scena diversa, imperniata su un sotterraneo situato sotto un negozio di animali su Morton Street chiamato Studio Henry. Era un posto prove che in origine era stato preso in affitto da Wayne Horvitz & Robin Holcomb, e dai membri del loro gruppo, e che poi veniva usato la sera come spazio per fare concerti. Il nostro "gruppo di pari", quelli che provavano e suonavano lì, comprendeva Wayne e Robin, John Zorn, Elliott Sharp, Bobby Previte, Shelley Hirsch, Charley Noyes, Lisa Sokolov, Dana Vlcek; tra quelli che hai menzionato prima, Fred Frith era, credo, parte di ciò, e molti, molti altri musicisti incredibili. I Micros hanno fatto lì le loro prime prove, e hanno suonato lì i loro primi concerti. (Ignoro se qualcuno abbia già scritto di questo periodo e di questo posto, ma se nessuno lo ha fatto, lì c'è del grande materiale.)

Per quanto riguarda "un pubblico estremamente colto e altamente ricettivo" (e credo che l'implicazione fosse che si trattava di un pubblico di grandezza ragguardevole) - wow. Se una tale cosa è mai esistita, allora l'ho mancata. New York è sempre stata una città che è servita da punto focale per tutte le arti; la gente viene da tutte le parti del paese, e del mondo, per far parte di quella scena e per diventare famosa. E' un posto incredibile per lo sviluppo di un artista - se si riesce a sopravvivere. Se solo guardi alla popolazione, è ovvio che c'è un pubblico istruito e partecipe numericamente tutt'altro che esiguo, è una semplice questione di aritmetica. Ma da un punto di vista demografico si tratta sempre di una piccola minoranza, e la competizione per l'attenzione rende l'attirare e mantenere un pubblico altrettanto difficile che in altri posti, se non di più. All'interno di questa cornice mi è sempre sembrato che ci sia un continuo alternarsi di alti e bassi. In certi momenti un panorama molto ricco si sviluppa intorno a un locale come Kitchen, Knitting Factory, Studio Rivbea, e avrà una certa durata. Alcuni posti hanno molte ere, e pochissimi hanno una vita molto lunga, come Roulette (o CBGB). Ma c'è sempre del lavoro stupefacente che viene fatto da qualche parte.

Quello a cui fai riferimento sembra un po' un'esagerazione romantica. Ma dove saremmo senza il romanticismo? E' parte dell'eterna mitologia di New York, che contiene sempre qualche elemento di verità.


Ricordo di aver visto una foto del Microscopic Septet - forse la copertina dell'LP Let's Flip! - e di aver pensato "Ah, un gruppo-copia dei Lounge Lizards". Li conoscevate? E: non temevate che il modo in cui i Micros si vestivano potesse essere visto come una trovatina?

Conoscevamo i Lounge Lizards, ma non ritenevamo che quello che facevamo noi fosse simile a quello che facevano loro. A volte ci capitava di essere accomunati a loro sulla stampa, ma più spesso il riferimento era al Willem Breuker's Kollektief, che io ammiravo, ma che neppure reputavo avesse a che fare con noi. Gruppi con cui eravamo amici, e con i quali sentivo maggiori affinità musicali, erano The Ordinaires, Kamikaze Ground Crew, The Jazz Passengers, Les Miserables Brass Band, e molti di noi erano attirati da e coinvolti nella scena esistente attorno a gruppi come Mofungo, Information e le formazioni in seguito derivate da loro.

Quando i Lounge Lizards indossavano giacca e cravatta avevano un aspetto cool, hip e distaccato; quando i Micros erano in giacca e cravatta avevano l'aspetto di un gruppo di venditori di aspirapolvere disoccupati.

Riguardo al fatto che le cravatte fossero una trovatina, non indossavamo solo cravatte, indossavamo il fez, avevamo i leggii davanti come le vecchie "swing band", facevamo pezzi cantati nonostante nessuno di noi sapesse cantare, marciavamo intorno alla sala, eravamo pieni di trovatine. Dave Sewelson veniva sempre fuori con delle idee pazze, come quella di fare un concerto in cima all'Empire State Building, che inevitabilmente non si realizzavano mai. Se si fossero realizzate probabilmente avremmo avuto un successo commerciale di gran lunga superiore. Adoravamo le trovatine. Un altro elemento che riporta alle prime band di jazz, prima che il jazz diventasse troppo serio e consapevole di se stesso.


Mi piacerebbe molto che tu mi parlassi degli strumentisti/compositori la cui influenza consideri decisiva per la tua crescita creativa nel periodo che conduce ai Micros.

Questa potrebbe essere una risposta davvero lunga... Ci sono tantissimi grandi compositori e strumentisti che amo e che hanno fornito delle piccole parti a tutta la mia musica, compresa la mia parte nei Micros.

Direi che le due cose più importanti proprio all'inizio sono stati il jazz degli anni venti e degli anni trenta e la musica dell'AACM, che ho scoperto tutt'e due mentre ero al liceo. Ho ascoltato For Alto di Anthony Braxton e il periodo "jungle music" di Duke Ellington, e in un certo senso potresti dire che i Micros sono stati il mio tentativo maldestro di suonare ambedue queste musiche allo stesso tempo. Inoltre mentre ero al liceo ho conosciuto Thelonious Monk (la mamma della mia ragazza del liceo aveva scattato quella pazza foto della copertina dell'LP di Monk, Underground), e Pharoah Sanders, John Coltrane, Archie Shepp.

Inoltre ero solito ingoiare LSD con una certa regolarità, e questo sicuramente è stato una grossa influenza. Ascoltare Fletcher Henderson & Duke Ellington in acido, e ricordo anche di aver visto Cecil Taylor mentre ero fatto e di stare sdraiato sotto il pianoforte mentre suonava...

In seguito, man mano che la mia comprensione tecnica si accresceva, ho cominciato davvero a interessarmi di arrangiatori: Gil Evans, Tad Dameron, il John Kirby Sextet, Raymond Scott, Carl Stalling.

La Top Ten delle possibili influenze sulla musica del Microscopic Septet

1. Jelly Roll Morton, per le sue strutture sofisticate.
2. Thelonious Monk, per la sua unica visione del mondo.
3. Charles Mingus, per i suoi cambiamenti di tempo.
4. Duke Ellington, per il suo essere onnivoro.
5. Charles Ives, per il suo amore di ciò che chiamiamo "Americana".
6. Steve Lacy, per la sua originalità.
7. The Art Ensemble of Chicago, e Sun Ra, per la loro teatralità.
8. John Kirby per il suo "jazzare i classici".
9. Raymond Scott, per i suoi non-sequitur musicali.
10. Carla Bley, per il suo essere onnivora.

Tutti i sopracitati per il loro senso dell'humor.

Joel Forrester darebbe sicuramente una lista diversa di influenze (sebbene io immagini che ci sarebbero alcune sovrapposizioni).


Immagino che durante la loro vita i Micros abbiano suonato un bel po' di concerti. In che tipo di posti avete suonato? Inoltre: facevate anche altri tipi di concerti - per ragioni sia musicali che monetarie?

Nel periodo in cui siamo venuti fuori c'erano due modi di fare carriera nel jazz; o andare in una delle università jazz che stavano appena iniziando a esercitare la loro egemonia sul jazz: North Texas State, Berkeley, Indiana U., NEC; oppure fare parte del gruppo di Art Blakey o di Horace Silver. Preferibilmente tutt'e due. Noi non facevamo niente di tutto ciò, e la nostra musica non si inquadrava in nessuna delle categorie accettate di quel periodo. Quindi all'inizio non riuscivamo a ottenere concerti nei club di jazz propriamente detti. Così trovavamo un bar dove il lunedì sera non andava assolutamente nessuno, proponevamo al padrone di suonare lì, chiedevamo a un amico di prendere i soldi all'ingresso, portavamo clienti, e suonavamo lì ogni lunedì per quanto più tempo possibile potevamo.

Suonavamo anche nei club rock, dato che a quel tempo (i primi anni ottanta) la scena rock era molto più avventurosa della scena jazz, e la gente ci gradiva, dato che eravamo divertenti e in un certo senso fuori dalle righe e teatrali. Ci siamo fatti questa reputazione di essere la jazz band per la gente alla quale non piaceva il jazz. Suonavamo al Mudd Club, CBGB, Danceteria, the Peppermint Lounge. Ma eravamo disposti a suonare ovunque: un negozio di pianoforti, un negozio di mobili, la passerella a Coney Island, matrimoni, Club Med, questi sono alcuni dei posti che mi vengono in mente adesso; la cosa importante era quella di continuare a suonare regolarmente.

L'abbiamo fatto per anni, e la cosa si è diffusa tramite il passaparola. Però con il passare del tempo, mano a mano che diventavamo più famosi e facevamo dei dischi, abbiamo cominciato a essere invitati nel giro che conta, e abbiamo suonato al Blue Note, al Sweet Basil, al Village Gate e al JVC Jazz Festival (tre volte!).

Però, all'inizio degli anni novanta, non so come, eravamo ritornati a cercare di trovare un club che fosse silenzioso e a suonare il lunedì sera per il solo incasso della serata...

Non solo perché non venivo da un retroterra musicale tradizionale, ma anche perché ho iniziato a suonare il sassofono tardi, e quindi non possedevo ancora tutta l'abilità tecnica necessaria, per tutto il corso dei miei vent'anni ho fatto spesso dei "lavori diurni", di solito del tipo decisamente umile (la lista completa si trova nelle note di copertina del mio pezzo Slave Labor su Normalology), perfino mentre nel frattempo avevo dei lavori da musicista professionista e facevo il mio mestiere. Però per molti musicisti tracciare la linea di confine tra un "lavoro diurno" e un "lavoro d'arte" non è sempre una faccenda così semplice. Durante gli ultimi dieci o quindici anni mi sono guadagnato da vivere tanto - o forse più - in veste di compositore che di strumentista. Se da un lato ho composto musica per alcuni film davvero buoni, film muti, balletti e lavori teatrali, ho anche fatto un bel po' di jingle (compresa una canzone per un pappagallo cantante), un "exercise video" per Mary Tyler Moore, arrangiamenti di fiati per delle rock band, "lavoretti, signora, darò la biada al cavallo...". E' un'area nebulosa, e come tante cose è una faccenda di prospettiva.


Mi piacerebbe che mi parlassi di come la tua idea del "comporre" è cambiata - o no - durante il periodo in cui i Microscopic Septet erano attivi.

Non sono sicuro che sia cambiata, anche se spero di essere diventato più bravo. I miei primi pezzi probabilmente erano in uno stile più decisamente "swing", non nel senso dell'"Era Swing" ma nel senso che "swingavano", dato che questo era il nocciolo di quello che facevamo; i miei pezzi successivi hanno esplorato un più ampio ventaglio di generi. Ho cominciato a desiderare di fare molte cose decisamente diverse, e questo è uno dei motivi per cui ho dato inizio ai Big Trouble mentre i Microscopic Septet erano ancora attivi, volevo usare una strumentazione diversa, e delle idee compositive differenti.


E' tempo di parlare di case discografiche: tutti gli album che il gruppo ha pubblicato sono stati realizzati da piccole etichette - e questo in un periodo in cui sia le "mini-major" che le "big indie" cercavano facce nuove. Vuoi parlarne?

E' tempo di parlare di case discografiche, take 2: dopo la pubblicazione del primo CD del gruppo ci sono stati dei "quasi-contratti" che non si sono conclusi. Cosa è successo?


Questo è un argomento che, a mio modo di vedere, non trovo davvero molto utile investigare.

Sì, ci sono state molte pene e tribolazioni, e per buona parte degli ultimi cinque anni in cui siamo stati insieme e non abbiamo registrato abbiamo avuto quasi costantemente la sensazione che stessimo per firmare un contratto discografico grosso o piccolo che fosse; per un motivo o per l'altro questo non si è verificato. Ma non vedo l'utilità di rivangare i vari incidenti, tradimenti e inganni.

Un argomento che viene fuori spessissimo nelle interviste e negli articoli su di me è: perché non sono maggiormente famoso? Da un lato il mio senso critico/analitico può citare varie cose della cultura in cui viviamo, i capricci dell'industria discografica in un tempo preciso, le macchinazioni e le beghe interne del mondo degli affari musicali. Una spiegazione spesso citata è che la mia musica (quella per i Micros e tutte le altre) cade "tra le categorie" - non corrisponde ad alcuna nicchia facilmente identificabile in senso promozionale/di marketing/e critico.

E però, d'altro canto, per me è ancora un mistero. La musica dei Micros è melodica, ritmica, accessibile, e non capisco perché non sia stata abbracciata da un pubblico più vasto. Quando suonavamo dal vivo riuscivamo sempre a entusiasmare i pubblici più diversi. Non conosciamo mai il vero motivo per cui accadono le cose della vita: la cosa importante è far pace con essa. Provo interesse per il cinema/il teatro/la musica per balletto e una quantità considerevole dei miei sforzi nel corso degli anni è stata deviata in quella direzione; forse se io avessi perseguito una carriera puramente musicale in modo più determinato... beh, chi può dire se le cose sarebbero state diverse? Gli inevitabili "cosa sarebbe accaduto se..." non sono di alcun aiuto. Ma dopo dodici anni di fare i Micros mi sembrava chiaro che le cose non sarebbero diventate migliori per noi, e quindi ho preso un'altra direzione.


So che i Micros faranno dei concerti quest'anno. E' una cosa occasionale? Parlamene.

Faremo dei concerti nel Nordest degli Stati Uniti (New York, Philadelphia e Northampton, MA). Dapprincipio avevo pianificato soprattutto di fare un tour europeo, ma per vari motivi al momento attuale mi sono visto costretto a posporlo. Forse ritenterò l'estate prossima.

Ma dato che adesso vivo a Sydney, in Australia, qualcosa di maggiormente duraturo probabilmente non sarebbe molto pratico. Direi che vedremo quanto ci divertiremo in questo giro.


Consideri la situazione corrente per quanto riguarda i media, il pubblico e così via più - o meno - favorevole per un gruppo come i Microscopic Septet? Voglio dire, credi che le cose fossero più difficili la prima volta - o che adesso sarebbero ancora peggio?

Questa è una domanda molto interessante. Ma intanto è impossibile separare la tua musica dalla tua vita. Quando ho dato inizio ai Micros avevo venticinque anni, erano i primi anni ottanta, ero all'inizio di tutto. Ora ho cinquantun anni, ho una famiglia, ho delle aspirazioni diverse. Allora tutto sembrava possibile; ora ho un'idea diversa delle cose che mi piacerebbe realizzare con il resto della mia vita, di quali sono i miei valori, e conosco un po' di più di com'è fatto il mondo.

Ma alla fine, la cosa importante è: ho una vita molto soddisfacente, una famiglia davvero bella, sono riuscito a guadagnarmi da vivere facendo l'artista per molti anni, continuo a fare uscire la mia musica nel mondo, per quel poco che riesco a fare, continuo a scrivere e a suonare, e ad andare in tour di tanto in tanto, e mi piace pensare che mi sto continuando a evolvere e a crescere come compositore.

A ogni buon conto, detto ciò, la risposta breve è che non vedo alcuna prova che le cose sarebbero meglio per i Micros ora, e forse sarebbero considerevolmente peggio. Come ha scritto Monk, who knows?


Sarei anche curioso di sapere qualcosa sul modo in cui consideri quello che il gruppo ha pubblicato - e anche le composizioni che non sono mai state registrate - dalla tua prospettiva corrente.

Sono molto affezionato alla musica dei Micros - dato che non è stata mai al passo con i tempi di allora, non mi sembra "vecchia", e neppure nuova.

Questa è una cosa che naturalmente apre tutta la questione dell'innovazione e della creatività. Molta della nuova musica che sento oggi sia nel jazz che nel rock mi suona molto "old-fashioned" - il che non è necessariamente una brutta cosa, solo che copia musica precedente che per la maggior parte è stata già fatta meglio. La sola cosa che sembra "nuova" (e che vale la pena di fare) è un'arte che è intensamente personale, cioè a dire, che riflette la visione del mondo che è unica a una persona. Dato che ciascun essere umano è unico (sebbene alcuni siano chiaramente più unici di altri), essa può sempre potenzialmente (sebbene non necessariamente) essere "nuova" e interessante.

Solo alcuni esempi che mi vengono in mente sono Mikel Rouse, One Ring Zero, Plunderphonics e un gruppo australiano chiamato The Fantastic Terrific Munkle, e anche i Necks. (Mi accorgo che nessuno di loro è un gruppo jazz - beh, solo i Munkle lo sono, quasi. C'è molto nel jazz di oggi che ammiro moltissimo - solo che c'è molto poco che è tanto originale quanto questi nomi.)

Dunque. I Micros lo sono sicuramente - una visione personale. Mi piace tutta la roba registrata dai Micros. A un certo punto, dopo che il gruppo si era sciolto, sono tornato indietro e ho registrato i miei migliori pezzi dei Micros che non erano mai stati registrati con una formazione che era una combinazione Micros/Big Trouble in un CD chiamato Normalology, che è già andato fuori catalogo due volte. (Aspetto il momento in cui riavrò i diritti per cercare di arrivare a tre.)

Comunque, dato che ci siamo sciolti con più di 180 composizioni per la maggior parte originali nel nostro repertorio, io lamento i molti pezzi eccellenti che non sono mai stati registrati, la gran parte di Joel, dato che lui è estremamente prolifico e dato che nel corso degli ultimi anni io ho destinato una quota crescente delle mie composizioni a progetti esterni.

Per me un risultato da "scenario favorito" di queste ristampe sarebbe la possibilità di registrare alcuni dei pezzi di Joel per i Micros che non sono mai stati registrati: ne abbiamo tanti da riempire parecchi CD. Abbastanza stranamente, quando ho menzionato questo a Joel, lui è parso essere abbastanza indifferente alla cosa; in proposito io sono più coinvolto di lui. Ma forse cambierebbe idea. A ogni modo, date le circostanze presenti, probabilmente è una possibilità alquanto remota.

Mi piacerebbe anche fare un CD con i pezzi di Bob Montalto, ne abbiamo sicuramente abbastanza per fare un CD. (E' stato il compositore esterno più suonato dai Micros - ci sono tre dei suoi pezzi nei CD di materiale ripubblicato.)

Una volta Guy Klucevsek mi disse che praticamente tutto quello che aveva composto fino a quel giorno era stato registrato. Rimasi stupefatto da ciò, dato che la maggior parte di quello che ho composto o eseguito non è stato registrato e/o pubblicato in modo appropriato. (Questo è ancora più vero per Joel Forrester.) E' chiaro, non ho avuto tutta questa fortuna nel mondo degli affari musicali. Mi sento fortunato per essere stato in grado di realizzare i dischi che ho realizzato - ho almeno dieci CD, o più, a mio nome, il che in un certo senso sembra essere miracoloso. Ma questo in una carriera che abbraccia trent'anni, componendo e suonando con continuità per tutto il tempo, e molti, per non dire la maggior parte, di essi sembrano destinati ad andare fuori catalogo tra non molto. Ma molti artisti che meritano di più non hanno nemmeno questo. Pensa a quello che ha pubblicato in vita Herbie Nichols.

Beh, chi lo sa, domani è un altro giorno.


© Beppe Colli 2006

CloudsandClocks.net | Oct. 22, 2006