Intervista a
Mark Jenkins (2005)

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di Beppe Colli
Sept. 11, 2005



Ricordiamo perfettamente le circostanze che ci hanno fatto conoscere What Goes On, la rubrica quindicinale firmata da Mark Jenkins che appare sul sito del Washington City Paper: quel giorno stavamo effettuando una ricerca in Rete a proposito di Lost In Translation, il film diretto da Sofia Coppola che allora era appena uscito negli Stati Uniti. Intitolato Knowing The Score, il pezzo di Jenkins (estremamente ben scritto) offriva una percettiva analisi del film, e sosteneva che era stata la sottovalutazione del ruolo giocato dalla musica - e la scarsa conoscenza della musica stessa - a costituire il maggiore ostacolo per una corretta interpretazione del film da parte dei critici. Non è che tutte le argomentazioni ci vedessero d'accordo, ma è certo che l'articolo offriva una prospettiva originale.

Non è difficile immaginare la nostra sorpresa quando scoprimmo che Knowing The Score era una puntata di una rubrica che non trattava di cinema, ma di musica. Fu così che ebbe inizio la nostra esplorazione degli archivi di What Goes On. Ovviamente non mancammo di tenerci aggiornati visitando il sito a intervalli regolari.

Tutte le puntate di What Goes On offrono una prosa chiara, meditata. Un punto di vista personale che non teme l'essere poco popolare ma che non sceglie mai l'essere impopolare quale suo scopo principale. Dai Television ai Velvet, dalle bustarelle della payola alla catena Starbucks, da Lollapalooza a The Hives, la rubrica copre molto terreno.

E così, ritenendo di aver raggiunto una certa familiarità con la rubrica, abbiamo deciso di rivolgere alcune domande a Mark Jenkins. Jenkins ha acconsentito, e il testo della nostra recente conversazione, avvenuta tramite e-mail, compare qui di seguito.


Per prima cosa vorrei chiederti del tuo retroterra. Tutto quello che so di te è quanto hai scritto in una puntata della tua rubrica (07 21 00, Who Wants Yesterday's Blurtings?): "Sì, sono stato un Bangsiano, il che vuol dire che sono stato anche un Meltzeriano". (...) "Bangs ha pubblicato alcuni miei pezzi su Creem, e io ho pubblicato outtakes sia di Bangs che di Meltzer in una fanzine che ho diretto". Vuoi dirmi di più?

Ho iniziato a leggere Creem durante i primi anni settanta, quando ero al liceo. Ho mandato delle recensioni a Creem e a Fusion (un mensile rock oggi poco ricordato che aveva sede a Boston) e ambedue i giornali me ne hanno pubblicate alcune.

A quel tempo c'era davvero poca distanza tra le riviste rock "professionali" e le "fanzine" amatoriali. Io pubblicavo una fanzine chiamata Hype ed ero in corrispondenza con un sacco di fanzine e di gente che scriveva per professione. (In quei giorni ciò avveniva soprattutto per lettera, sebbene Bangs fosse solito telefonarmi di tanto in tanto.) A quel tempo sia Bangs che Meltzer erano molto prolifici nello scrivere, e a volte mi mandavano dei loro outtakes perché venissero pubblicati su Hype. Tra i pezzi che ho pubblicato ci sono il resoconto di Meltzer del suo viaggio con il produttore/artista/artista della truffa Kim Fowley durante un tour promozionale e la proposta di Bangs di rinchiudere le rock star in campi di concentramento. (Questo è successo molto tempo prima che il recupero computerizzato delle informazioni diventasse una cosa comune, ma è possibile che io ne abbia delle copie su carta da qualche parte.)

Man mano che Hype diventava più grande e ambizioso cominciava ad apparire meno di frequente. L'ultimo numero fu pubblicato intorno al 1975. Da allora ho scritto per sacco di pubblicazioni su un mucchio di argomenti.


Non so quasi nulla del giornale su cui scrivi, il Washington City Paper. E' in qualche modo paragonabile al Village Voice?

Sì, somiglia molto al Village Voice. E' un tabloid settimanale "alternativo" del tipo che viene pubblicato nella maggior parte delle grandi città americane e anche in molte delle città più piccole e più sveglie, in primo luogo quelle che sono sede di facoltà universitarie. Nel corso degli anni ottanta e novanta queste pubblicazioni sono diventate sempre più simili tra loro e hanno cominciato a essere acquistate da due catene, New Times e Village Voice Media. (Quest'ultima, ovviamente, è la proprietaria del Voice.) In questo momento ci sono voci che le due catene si fonderanno. Il Washington City Paper è posseduto dal Chicago Reader, uno dei più grossi settimanali alternativi, che non fa parte delle due catene più grandi.

Il Voice ha iniziato negli anni cinquanta ed è il giornale più anziano in questo tipo di pubblicazioni. Negli anni sessanta è stato seguito dai cosiddetti giornali "underground", che erano collegati al movimento contro la guerra nel Vietnam, alla cultura delle droghe, alla liberazione sessuale e, ovviamente, al rock psichedelico. (A Washington DC c'erano il Washington Free Press e il Quicksilver Times.) Nei primi anni settanta queste pubblicazioni divennero più professionali e meno ideologizzate, e vennero ribattezzate con il nome di "alternative". Dopo che molti settimanali alternativi di DC aprirono e chiusero, il Washington City Paper fu fondato nel 1981, e in seguito diventò solido e profittevole.


Se non vado errato, What Goes On, la tua rubrica quindicinale, ha avuto inizio nel 1996. Si trova solo online? Vuoi dirmi qualcosa in proposito? Pubblichi anche altre cose sul Washington City Paper?

Ha avuto inizio come rubrica online quando il City Paper ha deciso di mettere materiali originali sul suo sito. Come notavi, questo è avvenuto nel 1996. Per un periodo di circa un anno all'inizio di questo decennio è stata pubblicata anche sul giornale, ma poi è tornata a essere solo online.

Scrivo settimanalmente recensioni di film per il City Paper. Meno frequentemente scrivo per il giornale anche di musica, arte, libri e altri argomenti. Una volta scrivevo molto anche a proposito di argomenti che riguardavano lo sviluppo urbano e il design, ma ora non più (sebbene mi piacerebbe scrivere ancora di quelle cose).

La mia rubrica in Rete è un diverso tipo di scrittura rispetto alle recensioni su carta, e mi capita di frequente di non essere davvero pronto per scrivere la puntata successiva - perché non ho abbastanza informazioni o perché non ho riflettuto a sufficienza sull'argomento. Questo è il motivo principale per cui la cadenza quindicinale spesso slitta.

E' sempre mia intenzione aggiungere brevi recensioni di CD, cosa che non riesco a fare quasi mai. L'ho fatto diligentemente per un po', e ho visto che ci voleva un tempo incredibilmente lungo.


Al momento collabori ad altri giornali e riviste?

Scrivo regolarmente per il Washington Post, il più importante quotidiano della città, principalmente ma non esclusivamente di musica, e di tanto in tanto recensisco musica per Blender (un mensile musicale nazionale) e per Time Out New York (un settimanale di New York). Recensisco CD di artisti locali per WAMU-FM, una stazione radio "pubblica" di Washington DC. Molta di questa roba è disponibile sui rispettivi siti Web: www.washingtoncitypaper.com; www.washingtonpost.com; e www.wamu.org. Purtroppo sia il City Paper che il Post fanno pagare l'accesso ai loro archivi. (Questo vuol dire tutto quanto è più vecchio di due settimane per ciò che riguarda il Post, un mese per il City Paper.)


Visto che abbiamo nominato sia Bangs che Meltzer: qual è stata la tua impressione di Almost Famous?

Spero che non ti dispiaccia se riciclo qui la mia recensione apparsa sul City Paper. Potrei parafrasarla o rivederla, ma ritengo che la recensione originale presenti meglio la mia opinione:

Almost Famous di Cameron Crowe dovrebbe sconcertare solo due gruppi: quelli a cui non piace la musica rock; e quelli a cui piace.

Il film più solare mai girato a proposito di abuso di droghe, degradazione sessuale e suicidio rock'n'roll, Almost Famous è il racconto un po' frutto di fantasia e in buona parte comico del primo viaggio di Crowe quale corrispondente quindicenne per Rolling Stone. E' ambientato nel 1973, anno che il film dipinge sia come spartiacque personale che come delizia musicale. E tuttavia lo scrittore-regista è abbastanza insicuro della sua storia culturale da introdurre l'anti-Crowe, il critico rock "gonzo" Lester Bangs, quale irritante coscienza della storia.

Sia Bangs che Crowe crebbero nell'area di San Diego, e in effetti si conobbero. Ma Bangs (impersonato energicamente anche se in modo poco convincente da Philip Seymour Hoffman) andò a Est, prima a Detroit e al giornale "anti-corporate-rock" Creem e poi a New York e al radical-chic Village Voice. Mentre Bangs diventava un brontolone pieno di passione, Crowe rimaneva in California a fare una carriera di cortigiano del rock. Nel film Bangs appare periodicamente per avvertire il giovane William Miller (Patrick Fugit) che le ambiziose rock star "non sono i tuoi amici". Ma ovviamente la carriera di Crowe nel giornalismo rock dipendeva dalla finzione che lo fossero.

Durante il loro primo incontro, Bangs informa Miller che il ragazzo ha iniziato a scrivere di rock giusto in tempo per il suo "rantolo dell'agonia''. E però Crowe ha detto che una delle motivazioni del film era di rintuzzare i detrattori della musica pop dei primi anni settanta. Il film ha quasi altrettanti stacchi musicali di High Fidelity, da The Chipmunk Song e Oogum Boogum di Brenton Wood a Paranoid dei Black Sabbath e a Feel Flows dei Beach Boys senza Brian. Alcuni di questi pezzi sono usati ironicamente, ma molti di più dovrebbero esserlo. Forse il momento maggiormente ridicolo del film ha luogo sull'autobus del tour, quando William si unisce ad affabili roadies, a groupies dal volto fresco e ai membri del quartetto heavy-rock Stillwater nel cantare dietro alla sdolcinata Tiny Dancer di Elton John. Crowe deve sapere la verità, ma insiste nel dipingere il pop dei primi anni settanta come una grande e felice famiglia, come se il rock in FM non avesse già permanentemente frantumato il consenso.

Stillwater è un composto dei gruppi di cui Crowe era l'ombra nei suoi primi anni a Rolling Stone, inclusi gli Eagles, gli Allman Brothers e i Led Zeppelin. La band è essenzialmente ridotta al carismatico chitarrista Russell Hammond (Billy Crudup), con il litigioso cantante Jeff Bebe (Jason Lee) a fornire un lato leggero. Crowe ha detto che il film parla di fama e dell'adulazione dei fan, ma non si direbbe mai guardando gli Stillwater o Miller. Il gruppo è dipinto come davvero "quasi famoso", degno solo di appena un po' più rispetto degli Spinal Tap, e se Miller è un fan non lo fa mai capire. E' contento di essere parte del circo viaggiante, ma non sembra veramente curarsi di chi è nel riflettore.

Infatti, William adora non gli Stillwater ma Penny Lane (Kate Hudson), la groupie straordinariamente benevola che ama Russell quando la moglie del chitarrista non c'è. Questa premessa mette il regista su un terreno familiare. Come Say Anything, Singles e Jerry Maguire, Almost Famous presenta la storia di un giovane serio che è follemente affascinato da una donna di cui è in qualche modo non degno. (Nella vita reale, un Crowe dall'aspetto medio è sposato alla bellezza hard-rock Nancy Wilson, chitarrista del gruppo Heart.) William è così incantato che una scena in cui osserva Penny ricevere una lavanda gastrica in seguito a un tentato suicidio è presentata come un momento di rapimento romantico

Il che è sia divertente che dolce, le due emozioni più forti che questo film gioviale può mostrare. Almost Famous sembra quasi disinteressato al rock'n'roll, eccetto che come sfondo che il regista può rendere con qualche accuratezza, ma il giornalismo servile è un'altra storia: Crowe offre non solo Bangs ma la propria madre quali nemici del sensazionalismo del corporate-rock; la sinistrorsa e puritana Elaine Miller (Frances McDormand, stridula persino per gli standard del suo lavoro precedente) combatte furiosamente per proteggere suo figlio dalla grande truffa del rock'n'roll. A dispetto di questi omaggi, però, la vera musa di Crowe è Jann Wenner, l'editore di Rolling Stone che appare in un breve cammeo a offrire una silente benedizione alla versione edulcorata che il film presenta della depressione pre-punk del rock.


Mi piacerebbe rivolgerti alcune domande di carattere generale usando quale punto di partenza alcune citazioni tratte dalla tua rubrica. Parlando della serie The Beatles Anthology e del cofanetto dei Velvet Underground hai scritto: "Molto del contenuto di questi dischi non è essenziale, ma non certo il loro messaggio fondamentale: che ascoltare musica pop e ragionarci sopra sono attività complementari". (02 21 97, Know Too Much About History) Ritieni che oggi questo sia un atteggiamento comune da parte degli ascoltatori?

La risposta sincera è che non lo so. I miei amici non-critici che sono molto coinvolti dalla popular music ci ragionano su davvero tanto, ma probabilmente non sono persone tipiche. Sospetto che molti appassionati di musica si interessino solo ad aspetti della musica che io troverei superficiali. La musica pop è oggi show-biz in quantità maggiore di quanto essa non sia stata dagli anni cinquanta, e la sensibilità critica che si era sviluppata insieme al rock degli anni sessanta è certamente diminuita. Ma è anche vero che la maggior parte dei consumatori di musica pop non ha mai provato molto interesse per la teoria e la storia, e la percentuale di persone che si interessano di queste cose probabilmente non è cambiata. Quello che è accaduto - almeno negli Stati Uniti - è che la macchina del marketing è diventata molto più efficiente, perfino spietata. E così la critica rock è stata a tutti gli effetti marginalizzata. Alla fine degli anni sessanta e nei settanta perfino combinaguai come Bangs e Meltzer venivano accettati quale parte del processo. Oggi i giornali americani mainstream (sia musicali che di interesse generale) evitano quel tipo di scrittura, e la critica rock che è considerata troppo irriverente o troppo intellettuale è confinata alle fanzine o ai siti web. Ci sono più voci critiche che mai, ma è molto poco probabile che esse possano raggiungere il mainstream.


Credo che non poche persone - per non parlare di quelli che scrivono di musica - sarebbero in disaccordo con quanto hai scritto qui: "Come gli scrittori successivi all'incredibilmente inventivo inizio del XX secolo, i rocker di oggi procedono non tanto come se nulla fosse mai accaduto ma come se nulla dovesse mai più accadere. A volte funziona. Ma non è certamente un buon punto di partenza per una saga eccitante". (11 28 00, What's the Story, Modern Rock?) Vuoi parlarmi di questo?

Nel corso del XX secolo molte forme d'arte sono arrivate a un punto di crisi: la pittura è divenuta pura astrazione e si è poi totalmente dissolta nell'arte concettuale; la musica del conservatorio è stata dettata da teorie arcane che gli ascoltatori non iniziati non erano assolutamente in grado di comprendere; i romanzi sono diventati densi e illeggibili - più codici da decifrare che storie da godere. In un suo modo meno rigoroso anche il rock ha fatto la stessa cosa: partendo da canzoni semplici che avevano le loro radici nel blues, nel country e nel pop è pervenuto a forme sperimentali che attingevano dalla musica classica, dal jazz, dall'avanguardia e dal rumore puro. Questo tipo di roba radicale esiste ancora, ma non è riuscita a cambiare quello che la maggior parte delle persone ascolta - proprio come James Joyce non ha ucciso il romanzo o Marcel Duchamp distrutto la pittura di paesaggi. E quindi i gruppi di "modern rock" di oggi fanno musica che suona quasi esattamente uguale a quella che i loro predecessori suonavano negli anni sessanta e settanta. I musicisti che suonano "emo", punk-funk, nu-metal, o perfino electro-lounge-worldbeat-trip-hop possono usare la tecnologia in un modo leggermente diverso, ma non stanno ridefinendo la musica pop, o allargando i suoi confini. Oggi lo scopo del mainstream è quello di scrivere canzoni accattivanti, non di espandere, evitare o distruggere la forma. L'idea che il rock possa diventare qualcosa che non ha precedenti è essenzialmente dimenticata.

Forse ho solo ascoltato troppa musica. E' possibile che i fan che non ricordano gli anni sessanta e settanta possano percepire un senso di "progresso'' nella popular music di oggi che io non riesco a sentire.


Credo che questa sia un'idea con la quale è impossibile essere in disaccordo: "Al giorno d'oggi l'idea di un "artista fiore all'occhiello" è quasi bizzarra. (...) Pubblicare album che potrebbero coinvolgere un pubblico mainstream (ma che non lo coinvolgono) sembra nel migliore dei casi una forma obsoleta di filantropia". Ma cosa intendi dire esattamente quando dici: "La maggior parte dei critici di oggi sta cercando o di escogitare dei buoni motivi per riuscire a trovare di proprio gusto la pappetta per giovani che vende molto e il thug-hop o di scovare le più oscure specie di "pop" che non vende"? (01 16 01, Last of the Prestige Rock Stars)

Ritengo che la critica rock, almeno negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, si sia divisa tra gli oscurantisti e i populisti-sociologi. Il desiderio più acceso dei primi, che popolano prevalentemente le fanzine e i siti web, è di essere davanti a tutti, perfino se questo vuol dire abbracciare musica la cui unica attrattiva è la sua mancanza di attrattiva. L'altro campo, i cui appartenenti vanno dai molto cinici ai davvero sinceri, insiste nel trovare di proprio gusto tutto quello che vende in grandi quantità, dato che essi credono in un certo qual modo che il gusto popolare sia infallibile. (Anche se la musica non è buona il fatto che alla gente piaccia fornisce a essa valore.)

Una cosa interessante dello scrivere di popular music (e delle forme di pop-art, specialmente il cinema) è che uno può passare dall'artistico al sociologico - o mescolare i due. Puoi scrivere solo delle qualità formali di una canzone, o solo del suo significato sociale, o di tutt'e due. Non respingo automaticamente nessuno dei due approcci. Cerco di trattare tanto il poco comune che il sovraesposto, ma oggi c'è così tanta musica in giro che non è possibile occuparsi adeguatamente né dell'uno né dell'altro.

Ma credo fermamente che musica che vende in grandi quantità può essere insignificante. Per prima cosa, il gusto popolare viene facilmente manipolato. (Negli Stati Uniti c'è appena stato un altro giro di casi di corruzione.) Inoltre, la pop music che non ha venduto ai suoi tempi può rimanere influente - l'esempio ovvio è quello dei Velvet Underground - mentre la roba che va in testa alle classifiche può svanire nel nulla. Nel lungo periodo, sospetto che Britney Spears (per esempio) non conterà nulla. Ma non ho mai capito il motivo per cui tutti quegli accademici fossero interessati a Madonna.


Parlando di un disco di Angus MacLise - il primo batterista dei Velvet Underground - hai scritto: "Si rischia poco a dire che una registrazione perduta per tanto tempo, per esempio, del primo batterista dei Franz Ferdinand non avrà lo stesso impatto nel 2040". (Non credo che qui molti sarebbero in disaccordo.) Poi scrivi: "Ma è anche vero che il rock degli anni sessanta e settanta - e in special modo il rock sotterraneo degli anni sessanta e settanta - possiede delle qualità di cui i suoi predecessori sono privi: l'urgenza di inventare qualcosa da zero, la tensione di combattere una società ostile, la forza di andare in luoghi dove nessun altro gruppo era andato prima". (10 01 04, A Night to Reconsider) E poi, che cosa è successo? E qual è la tua opinione dei Franz Ferdinand?

La risposta alla domanda #7 più o meno può andar bene anche qui. Ritengo che il rock degli anni sessanta e settanta abbia potuto godere di un contesto unico. I musicisti stavano definendo lo stile per la prima volta, espandendolo in modo esponenziale rispetto alle sue fonti e aggiungendo un ampio raggio di influenze esterne. (Un esempio: prima dei Beatles e dei Byrds pochi americani o britannici avevano mai ascoltato musica indiana.) Inoltre, stavano trasformando lo studio di registrazione da apparecchio per documentare a un tipo di strumento musicale. E questa è stata l'epoca in cui la generazione del dopoguerra detta baby-boom generation divenne adulta, e fu formata in modo significativo dai fermenti studenteschi, dalla sperimentazione sessuale, dalle droghe psichedeliche e (specialmente negli Stati Uniti) dal movimento per i diritti civili e da quello contro la guerra. Questa combinazione di cambiamento musicale e sociale ha dato alla musica una qualità febbrile che i rocker contemporanei hanno molta difficoltà a raggiungere.

Ho recentemente intervistato Andy Gill dei Gang of Four, e abbiamo discusso di quanti gruppi di oggi siano influenzati dallo stile dei Gof4, ma nessuno dalla loro visione politica. Non è che ogni gruppo dovrebbe cantare "fuck Bush," ma i revivalisti punk-funk e new-wave mancano del senso di impegno della musica che imitano.

Quindi ritengo che i Franz Ferdinand siano bravi, ingegnosi e abbastanza noiosi. Preferirei che il gruppo prendesse in prestito dai suoi predecessori meno riff e più atteggiamento mentale.


Credi che in un'epoca in cui tutti sono in grado di scaricare MP3 di qualsiasi gruppo leggere l'opinione di un critico possa ancora essere considerata un'occupazione degna di questo nome? E: in un'epoca fortemente caratterizzata in senso visivo in cui una scarsa padronanza del linguaggio è detta essere caratteristica sempre più diffusa, può l'analisi musicale scritta essere ancora considerata rilevante?

Ovviamente ritengo che la critica rock sia ancora valida e rilevante. Ma la critica soddisfa due funzioni contemporaneamente, perfino se le due sono talvolta l'una in contrasto con l'altra: pubblicizzare e descrivere nuovi lavori - album, film o quel che vuoi - e analizzarli. Sono sicuro che la maggior parte dei lettori è (ed è sempre stata) più interessata alla descrizione che all'analisi. Per decenni la Gran Bretagna ha avuto più (e più influenti) pubblicazioni musicali degli Stati Uniti dato che aveva una radio molto limitata. La gente aveva bisogno di leggere di musica che non aveva modo di ascoltare (a meno di non comprarla). Quando il Regno Unito ha avuto un numero maggiore di canali radio, e poi di siti musicali Internet, i settimanali di musica hanno perso rilevanza. La maggior parte di essi, infatti, è fallita.

La questione della "scarsa alfabetizzazione" - o della "aliteracy", la crescente tendenza da parte degli alfabetizzati a non usare le abilità in loro possesso - è troppo grossa per essere discussa qui. Ma in quanto critico di cinema e di arte non ritengo che le immagini possano rimpiazzare le parole. La capacità di costruire argomenti verbali/letterari è essenziale.

Se però vuoi solo sapere come fa una canzone allora dei sound clip saranno sempre più efficaci delle descrizioni scritte. Forse le due cose possono funzionare insieme, come si suppone facciano in webzine come Slate (www.slate.com), per il quale ho scritto di tanto in tanto. Comunque, finora questa sinergia non si è sviluppata molto. Forse funziona meglio alla radio. Io faccio delle recensioni di circa cinque minuti che di solito comprendono cinque spezzoni audio di durata che va dai venti ai trenta secondi. Il formato non è perfetto, ma almeno sono sicuro che gli ascoltatori sapranno come suona la musica.


Chi, a tuo parere, sta facendo oggi del lavoro rilevante se parliamo di critica musicale?

Ci sono moltissimi critici di pop music intelligenti e informati oggi al lavoro, ma la maggior parte di loro non è in grado di mostrare quello che è in grado di fare - almeno sulle testate che leggo io. Direttori ed editori continuano a spingere perché i pezzi di critica siano brevi, diretti e non ambigui - il che va bene solo per gli entusiasmi evidenti o per le stroncature totali (e raramente queste ultime vengono pubblicate).

Moltissimi critici rock che ero solito leggere con piacere sembrano non scrivere più, e alcuni che scrivono ancora sembrano essere andati fuori di testa. Alcuni nomi di scrittori che lavorano oggi il cui lavoro trovo di solito interessante: Douglas Wolk, David Fricke, Sasha Frere Jones, RJ Smith, Dennis Lim, Richard Gehr - ma è davvero difficile capire quello che sanno fare, dato che la maggior parte di loro è di solito intrappolata in formati che concedono loro da cinquanta a forse duecento parole. (Perché non ci sono donne in quella lista? Ha qualcosa a che vedere con il fatto che di questi tempi ci sono così poche donne che scrivono critica di pop music, almeno nelle testate statunitensi che vedo.) Ero solito leggere la stampa musicale britannica, ma è una cosa che oggi faccio di rado, quindi non so chi stia scrivendo lì.

Quella lista di scrittori non è definitiva, ed è probabile che ci siano degli ottimi critici pop il cui lavoro non conosco. Ma è certo che non ce n'è nessuno il cui lavoro io segua nello stesso modo in cui seguivo quello di Meltzer e Bangs.


© Beppe Colli 2005

CloudsandClocks.net | Sept. 11, 2005

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