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Intervista a
Michael Cuscuna

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di Beppe Colli
Nov. 2, 2008


Sebbene il giudizio a posteriori li abbia sovente voluti periodo di secca creativa (e di vuota autoindulgenza), buono tutt'al più per essere recuperato alla luce "ironica" del "fa tanto schifo da risultare divertente", gli anni settanta costituiscono invece un lungo momento di enorme creatività e di quasi imbarazzante sovrabbondanza di (ottimi) risultati. E questo è tanto vero del jazz che del rock.

E se è vero che fu solo alla fine di quel decennio che si dispiegò la (cosiddetta) "Punk-Jazz Connection" (qualunque cosa ciò voglia dire), ci sentiamo tranquillamente di affermare che - a fronte di un fenomeno che era "urbano e statunitense", e che di per ciò stesso si vide dedicare un numero enorme di pagine in un tempo in cui le pagine a stampa ancora contavano - fu nel periodo precedente che il rock e il jazz raggiunsero vette di elaborazione formale per molti versi mai più eguagliate (o per lo meno, non con la stessa freschezza).

E sebbene comprensibilissimi motivi di ordine culturale abbiano contribuito a far cadere nell'oblio questo (innegabile) dato di fatto, fu soprattutto il pubblico rock dell'Europa Continentale - uso all'ascolto di Frank Zappa, King Crimson, Faust e Henry Cow - ad accogliere con favore le più ardite sperimentazioni dei musicisti jazz statunitensi e a coglierne senza scandalo le affinità con antecedenti jazzisticamente "non ortodossi".

Di quel periodo Anthony Braxton è una stella di prima grandezza. Unico per talento, ma anche per quella fortunata combinazione di eventi che lo vide incidere per una mini-major dell'epoca: la Arista di Clive Davis. Sono grosso modo i sei anni che vanno dalle session di New York, Fall 1974 (dove a un quartetto jazz già ardito si affiancano un quartetto di sassofoni e un duo clarinetto/sintetizzatore) alla composizione che appare su For Two Pianos. In mezzo, i quartetti di Five Pieces 1975 e di The Montreux/Berlin Concerts, la cangiante Creative Orchestra Music 1976, il rapporto con Muhal Richard Abrams di Duets 1976, il difficile da descrivere (ma non da ascoltare) For Trio, le Alto Saxophone Improvisations 1979 e la monumentale For Four Orchestras. Tutto materiale contenuto nel cofanetto recentemente pubblicato dalla Mosaic Records e prevedibilmente intitolato The Complete Arista Recordings Of Anthony Braxton.

Cofondatore della Mosaic Records insieme allo scomparso Charlie Lourie, Michael Cuscuna è stato il produttore il cui nome ogni appassionato di jazz che si rispetti avrà visto una volta o l'altra (e spesso insieme al Produttore Esecutivo Steve Backer) sulla copertina di un disco amato: Fanfare For The Warriors dell'Art Ensemble Of Chicago, gli album di Lester Bowie su Muse, quelli della Arista Novus (con Air e Muhal Richard Abrams), i Braxton su Magenta... e quelli su Arista.

Gli abbiamo proposto di fare due chiacchiere, ha accettato, e lo scambio si è svolto via e-mai la scorsa settimana.


Innanzitutto mi piacerebbe che mi parlassi di come hai iniziato a sviluppare un interesse per il jazz e per la musica in generale, e anche delle circostanze che hanno favorito la tua transizione da "fan" a giornalista e critico.

Più o meno all'età di dieci anni ho iniziato a prendere lezioni di batteria. Amavo il R & B - Jackie Wilson, Ray Charles, The Coasters e così via, ma poi ho iniziato ad ascoltare gli album di Gene Krupa-Buddy Rich e Art Blakey per gli assolo di batteria, e in seguito ho cominciato ad apprezzare anche la musica che veniva prima e dopo quegli assolo.

Successivamente ho iniziato a suonare il sassofono, ma non ero in grado di improvvisare. E così quando sono arrivato al college ho iniziato a trasmettere musica jazz alla stazione radio dell'università a Philadelphia, a lavorare in un negozio di dischi, a incontrare musicisti, per poi infine scrivere per riviste quali Jazz & Pop, Down Beat, Rolling Stone ecc. grazie a dei contatti che mi ero fatto. Ho anche incominciato a organizzare qualche concerto e ho cercato di dare una mano a dei gruppi che non avevano un manager - il trio di Paul Bley e il sestetto di Joe Henderson.

Ma a dire il vero quello che volevo fare era produrre dischi, e per fortuna Buddy Guy - di cui ero diventato amico - mi chiese se volevo produrre il suo ultimo album per la Vanguard. Poi ne abbiamo fatto un altro per la Blue Thumb. Ho prodotto dei cantautori, Chris Smith e Bonnie Raitt, ma mentre ero al college, e anche dopo, mi sono stati offerti dei lavori ben pagati come disc jockey in stazioni radio "underground" in FM del tipo "free form".

Alla fine del 1971 la radio "free form" cessò di esistere, e tutte le stazioni in FM introdussero "formati" e liste di dischi da trasmettere. Così ho smesso con la radio. Non era più una cosa divertente o creativa. Un mio vecchio amico di Philadelphia, Joel Dorn, stava cercando un assistente e così entrai alla Atlantic Records come "staff producer". Ho lavorato con una grande varietà di artisti - da Dave Brubeck a Oscar Brown Jr. - e sono riuscito a convincere la Atlantic a mettere sotto contratto l'Art Ensemble Of Chicago.


Sono certo che la prima volta che ho visto il tuo nome è stato quale produttore di un album dell'Art Ensemble Of Chicago, Fanfare For The Warriors (un album fantastico, tra parentesi, e uno dei primi album di jazz che io abbia mai acquistato). Mi piacerebbe sapere come hai conosciuto la musica di Anthony Braxton. Che impressione ti ha fatto?

Ero in contatto con Bob Koester e Chuck Nessa della Delmark Records, e mi hanno mandato i primi album della AACM che hanno pubblicato. Tutto questo mi ha affascinato, e nell'estate del 1968 ho persino fatto un viaggio a Chicago per incontrare e ascoltare un mucchio di musicisti come Joseph Jarman, Roscoe Mitchell e Muhal Richard Abrams. In quell'occasione non ho incontrato Anthony, ma ho amato i suoi primi album su Delmark. Tutti quei musicisti di Chicago avevano una concezione musicale e un suono personali, erano così nuovi e diversi rispetto all'avanguardia di New York. Sono diventato un fan di tanti di quei musicisti.


Credo proprio che il primo album su Arista che ho comprato sia stato The First Minute Of A New Day, il primo inciso per quell'etichetta da Gil Scott-Heron e Brian Jackson. In seguito ho acquistato il primo album di Patti Smith e uno di Lou Reed. Il mio primo album di Braxton su Arista è stato Five Pieces 1975. Mi è sempre parso strano che qualcuno come Clive Davis desse il via a una sottosezione jazz di un'etichetta il cui primo scopo era ovviamente quello di essere "commerciale", e che venisse messo sotto contratto qualcuno la cui musica era tanto non commerciale quanto quella di Braxton. Parlamene.

Clive Davis stava cercando di costruire una grossa casa discografica in breve tempo. E questo voleva dire mettere sotto contratto artisti che avevano già un nome come i Kinks o i Grateful Dead e artisti con qualcosa di nuovo da dire e che avevano del potenziale commerciale come Patti Smith e Gil Scott-Heron. Significava anche avere un'ampia gamma di musica, così fece un accordo con Steve Backer perché fondasse una "divisione jazz". I Brecker Brothers divennero rapidamente un successo, e Clive permise a Steve di mettere sotto contratto artisti come Anthony Braxton, almeno finché avevano delle buone recensioni e portavano prestigio all'etichetta. Avevo convinto Anthony a tornare a New York, dato che avevo delle offerte per lui sia dall'Atlantic che dalla Arista e sentivo che queste opportunità sarebbero potute svanire se non ne avesse approfittato immediatamente. Scelse la Arista perché Steve era onesto, credeva in quello che faceva e si impegnava molto.


Credo si possa dire che vista all'interno di una "cornice jazz" quella di Anthony Braxton appariva una figura bizzarra: aveva studiato matematica e filosofia, giocava a scacchi, fumava la pipa e come titoli dei pezzi usava strani diagrammi. Ritieni che il fatto che fosse una figura così "poco usuale" per il jazz abbia giocato una parte non secondaria per la quantità di attenzione che gli ha dedicato la stampa? O è stato merito dell'ufficio pubblicità dell'Arista?

Credo sia stata una combinazione di tutt'e due le cose. Anthony stava cominciando a essere conosciuto negli ambienti del jazz e della classica contemporanea e aveva ben chiaro fin dall'inizio quello che voleva realizzare. Ritengo gli sia stato d'aiuto anche il fatto di essere uno dei primi musicisti dell'AACM ad aver suonato con musicisti di jazz già conosciuti e affermati in ambito nazionale invece di limitarsi a formare gruppi con altri membri dell'AACM. La visibilità ottenuta con i Circle (Chick Corea, Dave Holland e Barry Altschul) gli è stata davvero d'aiuto.

Steve credeva fermamente che la sua musica potesse essere accettata molto più di quanto non fosse e ha lavorato sodo per promuoverla e per provare che poteva vendere bene.


Non ho un'idea molto chiara del modo in cui Braxton fosse considerato nella "stampa jazz" propriamente detta, ma ho l'impressione che i suoi (tre) album in quartetto e quello intitolato Creative Orchestra Music 1976 siano stati accolti con un certo entusiasmo. Sbaglio?

Sì, i suoi tre album per quartetto e il suo album Creative Music Orchestra sono stati accolti con grandi lodi. I critici ai quali non piaceva la sua musica, o che non la capivano, non scrivevano di lui.


Se consideriamo il materiale che ha registrato per la Arista, credo si possa dire che il suo album intitolato For Trio rappresenta il momento in cui le cose sono cambiate. Venendo da un retroterra "rock", l'unico problema che mi ponevo quando ascoltavo For Trio era se mi piaceva o no, non se aderiva o meno a una nozione accettata di quello che "il jazz" doveva essere. Qual è stata la tua percezione del modo in cui ha reagito la stampa jazz?

Non ricordo come fossero le recensioni di quest'album. Non sono mai stato interessato a ciò che pensano quelli che scrivono, e - anche oggi - raramente leggo recensioni. Ritengo che profili, articoli e interviste diano molto di più al lettore.


Fu solo per caso che venni a sapere della pubblicazione dell'album For Four Orchestras, e la stessa esistenza dell'album For Two Pianos mi rimase ignota fino a quando non comprai il libro di Graham Lock, Forces In Motion, alcuni anni dopo. Quindi ritengo che a quel punto alla Arista la cosa non interessasse più tanto, giusto?

Le vendite di Anthony stavano calando ma questo accadeva perché il pubblico del jazz aveva una chiusura nei confronti di lavori come questi, completamente composti. Finché Steve Backer era lì, la Arista era interessata. Quando ha lasciato l'etichetta, quello era anche grosso modo il momento in cui il contratto di Anthony era in scadenza. Così Anthony non ha rinnovato il contratto, e anche altri artisti che Backer aveva messo sotto contratto sono andati altrove.


Sono sempre stato curioso di sapere che tipo di contratto avesse firmato Braxton. Dapprima ritenevo che lui potesse incidere solo per la Arista, ma poi ho comprato degli album su Moers Music e Hat Art - quando lui incideva ancora per la Arista. Puoi parlarmene?

Questi album su altre etichette che sono stati registrati mentre Anthony era alla Arista sono usciti dopo che il contratto con la Arista era scaduto. Il suo era un contratto in esclusiva. Il materiale su Moers o Hat Art viene da occasioni in cui le etichette hanno contattato Anthony in seguito con dei nastri già registrati e hanno fatto degli accordi con lui per pubblicare la musica.


Sono venuto a sapere dell'esistenza della Mosaic Records grazie al primo cofanetto di Thelonious Monk (ma troppo tardi per procurarmelo!), e sono un fiero possessore del secondo cofanetto di Monk e dei due di Mingus. Anche se la storia della Mosaic è ormai ben nota, ti chiederei lo stesso di riassumerla brevemente.

Beh, all'inizio degli anni ottanta l'industria discografica era davvero messa male. Il mio amico Charlie Lourie - che aveva lavorato alla Blue Note e alla Warner Bros. - e io eravamo disoccupati. Abbiamo fatto alla EMI la proposta di rilanciare la Blue Note ma loro non erano ancora pronti ad aggiungere una divisione di jazz. Una parte della proposta era di fare dei cofanetti, in modo specifico The Complete Blue Note Recordings Of Thelonious Monk. A un certo punto ho capito che se avessimo fatto noi queste "limited editions" e le avessimo vendute direttamente solo per posta, questi cofanetti avrebbero potuto costituire di per sé un business. Così fondammo la Mosaic Records.


Se ben ricordo, anni fa mi è stato chiesto quale box set mi sarebbe piaciuto vedere (e comprare!) su Mosaic. Immediatamente ho scritto "Braxton su Arista", dato che a mio modo di vedere questo era materiale di prim'ordine che in un certo senso definiva un'era. Ma allo stesso tempo ero consapevole del fatto che - vista nel contesto di quello che è considerato "accessibile" - questa musica è davvero bizzarra, e decisamente difficile. Francis Davis ha parlato di una "Ornette Coleman's Permanent Revolution". Quindi sono stato davvero sorpreso di vedere questo cofanetto prima annunciato, e poi in vendita. Quant'è rischiosa questa scelta? E' cambiato il mainstream?

Non è rischiosa, nel senso che andremo in pareggio anche se vendiamo solo mille cofanetti. Ma ovviamente abbiamo bisogno che ogni set realizzi un profitto dato che dobbiamo pagare dei salari e dei costi. Credo che questo cofanetto andrà bene. Per molto tempo ho cercato di ottenere in licenza questo e altro materiale della Arista. Ma non ho mai avuto risposta da parte di chi si occupava di queste cose alla RCA, che aveva comprato l'Arista. Poi la Sony e la BMG si sono fuse. Io avevo un buon rapporto con la gente della Sony, e loro sono stati in grado di organizzare l'accordo per ottenere in licenza il materiale Arista. Quindi non credo che il mainstream sia cambiato. Si trattava solo di trovare gente che rendesse possibile stipulare un accordo!


Quale ultima domanda mi piacerebbe chiederti qualcosa sulla memoria. Quello che la Mosaic fa è preservare "importanti prodotti culturali" in un formato "fisico". Ma come ben sai, lo "spirito del tempo" va in direzione opposta: volatilità e mancanza di memoria, con l'eccezione della "nostalgia". Scrutando l'orizzonte, cosa vedi?

C'è così tanto jazz registrato nel XX secolo che non saremo mai a corto di lavori provenienti da tutte le età del jazz. Continueremo a produrre importanti documenti fisici di questa musica. Stiamo per iniziare anche una serie di LP, anche se gli LP e i cofanetti di LP non somiglieranno ai grossi cofanetti di CD.

Sono sicuro che c'è un piccolo pubblico jazz interessato al download, ma la maggior parte dei fan di jazz vuole documentazione, fotografie e informazioni. Ritengo che i formati fisici rimarranno con noi ancora per molto tempo.


© Beppe Colli 2008

CloudsandClocks.net | Nov. 2, 2008