Intervista a
Joseph Byrd

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di Beppe Colli
Aug. 26, 2004



Quella che segue - e che vede quale interlocutore Joseph Byrd: compositore, arrangiatore, polistrumentista, sintetista e quant'altro - è forse l'intervista fonte di maggiore soddisfazione personale per chi scrive, per i motivi che saranno evidenti tra breve. La qual cosa potrebbe lasciare del tutto indifferente chi ci legge - non fosse per il fatto che Byrd è stato la vera (e unica) ragion d'essere di due album (giustamente) celebrati, anche se (ahimè) da un'esigua minoranza: il più volte ristampato The United States Of America, emanazione nominale del gruppo omonimo; e The American Metaphysical Circus. Tanto basterebbe per consegnare Byrd alle enciclopedie della musica rock "che conta". E a dire il vero tanto è bastato a dei colleghi d'oltremanica, che in una di quelle retrospettive che sono tipiche di quelle terre e che - almeno nelle intenzioni di chi le scrive - si vorrebbero trendy a tanto si fermarono, anticipando di quasi un decennio la "scomparsa" di Byrd. In realtà c'erano stati anche due album di sintesi applicata a materiali in buona parte tradizionali: A Christmas Yet To Come (1975) e Yankee Transcendoodle (1976), entrambi pubblicati dalla Takoma. E successivamente un lavoro di coproduzione e arrangiamento su Jazz di Ry Cooder (1978). Dopo di che Byrd sembrò effettivamente scomparire.

Per molti anni ci chiedemmo che fine avesse fatto. Dato il suo background accademico non era difficile immaginarlo intento a insegnare musica in qualche college, magari in California. Tentammo, ma era come cercare il classico ago nel pagliaio. I nostri peggiori presentimenti sembrarono però trovare conferma il giorno in cui ricevemmo (per errore!) una copia di Unknown Legends Of Rock 'n' Roll, il volume di Richie Unterberger pubblicato nel 1998: sì, davanti ai nostri occhi c'era un capitolo dedicato a The United States Of America; però gli unici intervistati erano Dorothy Moskowitz, la cantante; e David Rubinson, il produttore. Byrd veniva citato, ma soltanto al passato.

Il lettore è a questo punto invitato a immaginare la faccia di chi scrive quando - durante la lettura mattutina dei quotidiani in Rete - ci trovammo a leggere su Salon un articolo di Damien Cave intitolato Musician To Napster Judge: Let My Music Go (April 23, 2002). Laddove si diceva di un musicista degli anni sessanta, Joseph Byrd, adesso professore di music history al College di Redwoods, in Northern California. Nel giro di pochi secondi partiva una lettera per Damien Cave, e poco tempo dopo ci giungeva risposta da parte di Byrd.

La presente conversazione è avvenuta via e-mail durante la prima settimana di agosto.


Per prima cosa vorrei chiederti qual era il modo in cui percepivi la "scena rock" nel 1967 - il 1967 essendo naturalmente l'anno che è convenzionalmente considerato quello in cui il rock divenne stilisticamente più aperto a influenze sia "esterne" che "colte". Parlando in generale, pensa a Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band dei Beatles, Frank Zappa, i Cream e a gruppi inglesi "non ortodossi" quali i Pink Floyd e i Traffic. Anche un gruppo come i Doors integrava nella sua musica molte componenti stilistiche. Percepivi il tuo lavoro come (in qualche modo) facente parte di quel paesaggio? Quali erano i tuoi scopi coscienti nel fondare un gruppo come The United States Of America?

Sgt. Pepper ha influenzato assolutamente tutti, e in effetti era uno degli argomenti che adoperavo per mantenere il gruppo sul binario giusto (il mio binario, naturalmente). Zappa non era affatto influente in un modo lontanamente paragonabile, qualunque cosa i suoi fan amino credere. A quei tempi gli piaceva soprattutto essere volgare e offensivo, e così il gruppo (durante il breve periodo in cui era ancora un "gruppo", a differenza dalle cose successive che vedevano la presenza di diversi ensemble di musicisti) non aveva molta voce in capitolo. D'altra parte, il suo tipo di satira, più ampio, era più accessibile del mio, che era più insidioso (o almeno così mi piace pensare).

Non ho mai incontrato nessuna di queste persone, sebbene ovviamente ne ascoltassi la musica. Se mi hanno influenzato, è stato in modo inconscio. Mi è già capitato di fare i nomi dei gruppi che ero cosciente di emulare: gli Airplane, i Fish (Country Joe) e i Blue Cheer; c'è stato un gruppo interessante anche se poco conosciuto chiamato The Great Society (Grace Slick con il suo allora marito Darby) che mi ha influenzato, e mi piacevano molto i Red Crayola, sebbene non cercassi davvero di prendere roba da loro.

Quello di esplorare nuovi territori era un mio obiettivo intenzionale. No, non c'era una "scuola" della quale pensavamo di fare parte. Come mi è già capitato di dire altrove, quello che consideravo essere il mio gruppo di pari era la comunità artistica avant-garde.


Mi piacerebbe farti una domanda a proposito di The American Metaphysical Circus, il brano che apre l'album - e dato che non ho un'eccessiva familiarità con il patrimonio musicale americano temo che ci saranno altre domande come questa. Ti dispiacerebbe identificare i motivi musicali presenti all'inizio e alla fine del pezzo? Come gesto compositivo le "orchestre in movimento" mi ricordano Charles Ives. Ma perché proprio questi pezzi?

Senza andarlo a riascoltare, credo che le fonti siano (più o meno in quest'ordine) National Emblem (una marcia degli inizi del XX secolo, che ho suonato sulla calliope), At A Georgia Camp Meeting (una "coon song", e uno dei primi pezzi di ragtime), The Red, White, and Blue (una canzone patriottica conosciuta anche come Columbia, the Gem of the Ocean), e Marching Through Georgia (una canzone del dopo Guerra Civile composta da Henry Clay Work). Sono quattro. Se trovi un altro pezzo fammelo sapere, me lo vado a risentire e ti faccio sapere.

Sì, certo, il tributo a Ives, ma anche per dichiarare che eravamo fermamente nel solco della tradizione americana di radicalismo artistico e politico mescolato a patriottismo, e per rendere così evidente una "distanza" psichica dai Beatles.

Perché proprio questi pezzi? Beh, avevo fatto un album sulla Guerra Civile per Time-Life, e mi sentivo molto a mio agio a lavorare nello stile delle bande e dei circhi e della musica da saloon... A parte ciò, sono state delle scelte del tutto personali. Ho arrangiato e diretto in prima persona tutti i pezzi per banda, e ho fatto il piano ragtime in due tentativi, dato che come suonatore di fisarmonica non avevo mai avuto molta possibilità di suonare tanta sinistra sul piano. La calliope risulta facile per un fisarmonicista (ce n'è una nella Humboldt County che suono un paio di volte l'anno), così me la sono cavata con una parte semplice per la mano sinistra, un'ottava che fa toot-toot.


Mi è sempre piaciuto il fatto che - nonostante sia spesso stratificato - il materiale registrato non suona mai "confuso" - in questo senso specifico l'album mi ricorda molto i Beatles o Strange Days, il secondo album dei Doors (e il loro primo su otto piste). Do per scontato che hai dovuto fare un sacco di premissaggi. Ne vorresti parlare?

Apprezzo il fatto che citi la qualità non "confusa", dato che per me era qualcosa di decisamente intenzionale. Per prima cosa, avevo studiato con (e diretto) Cage e Feldman (e anche Mauricio Kagel and Sylvano Bussotti). Poi, ritenevo che l'approccio in stile "wall of sound" fosse orribile, destinato a produrre una poltiglia che non aveva né maestosità né un fuoco. Che è proprio dove i Beach Boys erano diretti. In effetti è dove i Beatles sarebbero potuti finire senza la mano ferma di George Martin. Il che non vuol dire che io ritenga che noi fossimo migliori di questi due gruppi.

La cosa interessante è che nell'album successivo mi sono messo a "produrre in eccesso", con molte tessiture che suonano troppo dense perché la musica possa cantare. Un esempio molto chiaro di ciò è dato dalla versione inedita di You Can't Ever Come Down fatta dagli United States Of America paragonata a quella che ho poi fatto sull'album per la Columbia Masterworks. La prima è pulita e tersa, la seconda densa e fiacca. Qui ho imparato delle dure lezioni, una delle quali è che autoprodursi è di solito un errore. Ovviamente, dopo aver lavorato a una mezza dozzina di album fu impossibile trovare qualcuno che avesse sufficiente esperienza, così ho prodotto tutto io. Un buon esempio di produzione nitida è l'album che ho scritto e prodotto per Ry Cooder - puoi vedere che avevo imparato la lezione.


Alcune cose sull'album - la prima parte di I Won't Leave My Wooden Wife For You, Sugar è un ovvio esempio - mi ricordano non poco Frank Zappa. Sbaglio?

Molte persone hanno fatto quel paragone, quindi non sbagli. Ma in termini di averlo copiato, sì, è del tutto erroneo. Non mi piaceva affatto quello che faceva - a mio parere suonava sciatto e messo assieme alla meno peggio, e i sentimenti espressi erano immaturi, sciocchi ed eccessivamente semplici. Ritenevo che Zappa scegliesse bersagli facili; mentre io affrontavo tutta la cultura. Ovviamente questo non è un esame critico di tutto il suo lavoro, solo quel che ho visto a quel tempo. Devo dire che neppure lui aveva un'alta opinione di me.


A proposito: com'è che la nuova edizione non ha i testi? Eppure erano stati inclusi nella precedente ristampa su CD...

Il mio input nella riedizione della Sundazed è stato meno dell'1%, che è più di quanto prendo in diritti! Mi hanno mandato un'e-mail chiedendomi se fossi interessato a scrivere delle note di copertina, e ho ritenuto che questa fosse una possibilità di fare sentire la mia voce - sia Dorothy che Rubinson avevano fatto delle lunghe interviste nelle quali mi tiravano in ballo in modo poco piacevole (immagino come giustificazione per il loro "colpo di stato"). Ho chiesto - e ottenuto - $300. Ti ho già scritto di come la Sundazed abbia eliminato tutti i riferimenti che ha ritenuto controversi, compreso uno su Bill Graham.

Ma non sono stato interpellato a proposito di quello che hanno fatto, e neppure avevo visto prima molte di quelle foto.


Ancora a proposito di I Won't Leave My Wooden Wife For You, Sugar: c'è una sezione fiati non accreditata alla fine del pezzo, che suona...

Precious Lord è come l'ho intitolato. Anni dopo mi sono imbattuto in un pezzo assolutamente uguale in un libro metodista giapponese di inni religiosi. Proprio quello che ogni compositore teme! Ed è la stessa melodia di Gospel Music For Abraham Ruddell Byrd, sull'album seguente. Così l'ho copiato due volte!


Riascoltando l'album ho pensato che qualcosa del pezzo Coming Down ricordava la "musica californiana" di quel periodo - la combinazione batteria/tamburello mi ricorda qualcosa che Hal Blaine avrebbe suonato a quei tempi. La tua opinione?

Mi fa molto piacere che tu l'abbia notato. In seguito ho lavorato con Hal Blaine (e in effetti ho una registrazione molto interessante con Blaine sulla West Coast e Bernard Purdie sulla East), ma lui era il vero e proprio metro di paragone della batteria rock, e ho lavorato con Craig Woodson per catturare quell'effetto. Craig è il tipo che UNCUT ha creduto fossi io.


Nelle tue note di copertina ho letto che quando suonava dal vivo il gruppo usava partiture su leggii. Perché non memorizzare le parti? (E' solo una semplice curiosità personale.)

Non c'era tempo, non c'era tempo! Avevamo già memorizzato discretamente le parti quando abbiamo fatto il "tour" della East Coast, ma in effetti nel nostro primo concerto a The Ash Grove avevamo suonato della roba che avevamo provato per la prima volta quel pomeriggio, così dovevamo per forza avere dei leggii.


In tutto l'album è presente un forte elemento collagistico. Credi che questa strategia compositiva abbia oggi lo stesso "significato"?

Era mia intenzione integrare l'elettronica e i nastri nelle performance dal vivo. (E se leggi la recensione sul gruppo fatta da Barry Hansen vedrai che eravamo in grado di suonare dal vivo tutto quello che c'era sull'album.) Era parte del mio concetto il fatto che non fossimo solo un gruppo, ma un evento avant-garde. Nelle nostre performance c'erano anche altri aspetti di arte performativa che cambiavano con il mutare dei posti dove suonavamo.

Ciò detto, non trovo molto collage nella musica americana, ma sembra avere preso piede nelle band inglesi che ho citato - i Portishead, i Broadcast e i Radiohead, e se quella è la mia influenza mi fa molto piacere.


Se non vado errato hai studiato sia musica elettronica che concreta. Ritieni che - sebbene ci siano stati notevoli avanzamenti pratici e teorici nella sintesi (per esempio la "physical modeling") - il campionamento sia oggi l'unica tecnica praticata?

Credo che moltissimo venga perso nel campionamento. Per quei rari casi in cui vuoi un effetto speciale che suona accordato, o per ridurre trentaquattro secondi a trenta, è una benedizione, ma sembra produrre una "confusione sonora", e questo non va bene.

Credo anche che molto sia andato perso con la scomparsa della sintesi analogica: per esempio, non molto tempo fa ero in uno studio e il compositore ha prodotto un suono, e io gli ho detto: "Questo potrebbe essere davvero notevole se tu modulassi le armoniche superiori con un'onda a dente di sega rovesciata", e lui... non lo poteva fare (ed è una cosa davvero elementare). Così il digitale ha avuto quale conseguenza quella di cedere il controllo delle decisioni artistiche a conglomerati come la Yamaha. A questo punto della storia dovremmo avere un numero infinito di opzioni, invece ne abbiamo di meno!

Bravo! Sei riuscito a lanciarmi un'esca, e così faccio la figura di un vecchio all'antica. Spero che adesso tu sia contento.


Reputi che oggi esista ancora un'avanguardia?

Da qualche parte ci sarà sempre qualcuno che fa qualcosa che sfida il modo prevalente di pensare. Però uscire fuori dal seminato è rischioso. Così perché esistano artisti che possono continuare a lavorare sul limite, a produrre arte che non è in grado di sostenerli materialmente, bisogna che essi siano o ricchi come Yoko o asceti come Cage. Questo tende a cambiare l'equazione. Ho lasciato quel mondo perché avevo trent'anni, ed era venuto il momento che io mi guadagnassi da vivere. (Ciò detto, ho vissuto in povertà per più di un decennio.)


Se non ti dispiace vorrei farti qualche domanda sul tuo secondo album, The American Metaphysical Circus. Prima che io lo dimentichi: chi è il bassista non accreditato?

Harvey Newmark. Non so perché non sia accreditato. E' diventato un musicista brillante, e ha registrato, con l'ensemble di David Sherr, musica tra la più stimolante che mi sia capitato di sentire di recente.


Devo confessare che anche se l'album degli United States Of America mi piace molto il secondo album mi piace altrettanto, se non di più. Credo che il non avere una tavolozza fissa - uno specifico gruppo di persone - ti abbia reso possibile avere una maggiore varietà timbrica. (Ma sospetto che tu non sia d'accordo.)

Beh, mi piacerebbe aver avuto più soldi, migliori risorse con cui lavorare (mi dispiace aver usato quei cantanti solisti, me compreso), più tempo per scrivere le canzoni e un collaboratore con cui scriverle. Come ho avuto modo di dire altrove, Dorothy non era innovativa ma aveva senso dello stile e una musa fluente, cosicché coglieva immediatamente il senso di una canzone e suggeriva la direzione nella quale poteva andare.

Credo che la diversa tavolozza sarebbe stata più efficace se il gruppo avesse avuto un polo coerente. Intendo un centro a partire dal quale suonare. A dire il vero non c'era alcun gruppo, solo Harvey, Pot, Ted Greene e alcuni musicisti di studio.

No, non mi dispiace aver scritto quello che ho scritto, ma se mi fossi potuto permettere dei veri cantanti di studio per The Sing-Along Song... In teoria doveva suonare come il Roger Wagner Chorale.


Cos'è "Pelog" - il nome di una scala?

Sì, è una delle due scale base del gamelan.


Di nuovo a proposito della mia mancanza di conoscenza di quelle fonti: nella canzone intitolata Patriot's Lullaby a un certo punto sembra ci sia un disco che suona in sottofondo - come un coro che canta... cosa? (America The Beautiful?)

Buon orecchio, Beppe! E' quello che cantano, solo che l'ho leggermente modificato per adattarlo all'armonia della canzone. E' possibile che io abbia anche cambiato un po' le parole.


L'album era dedicato a Ruddell Byrd - ma nella ristampa su CD la dedica è incompleta. Come mai?

Mio fratello minore, ora uno stimato medico a Tucson. Era un contestatore della guerra del Vietnam che ai tempi in cui il disco fu pubblicato era in prigione. Non ho contatti con la casa discografica, e loro fanno quello che vogliono.


Potresti dirmi qualcosa del pezzo chiamato Leisure World? Sospetto sia basato su un motivo che non ho mai sentito.

Il jingle della pubblicità è basato sulla melodia di Auld Lang Syne, la sentimentale canzone folk scozzese che parla del ricordare i bei tempi. E' costume cantarla la notte di Capodanno. Leisure World (http://home.earthlink.net/~jmartin/history.html) (che io consideravo un orrore) era la prima comunità per pensionati, un posto dove non era ammesso nessuno che non avesse compiuto cinquantacinque anni. Adesso di posti così ce ne sono a migliaia, posti che all'età di sessantasei anni considero altrettanto orribili di allora: una nave da crociera per gente che ha abbandonato la vita reale.


Vogliamo parlare di affari? Com'è che dopo quel secondo album non ce ne sono stati altri?

Beh, sicuramente non c'è stata alcuna richiesta da parte della Columbia! Chi pensi avrebbe potuto pubblicarmi un album? Il mio "angelo" per quel secondo disco fu John McClure, un tipo molto intelligente e gentile che mi offrì di farlo uscire per la sua divisione, la Masterworks, la divisione di musica classica della Columbia. Fatto interessante, vendette molto bene per un album di "classica", ed è l'unico album "rock" che abbiano mai pubblicato. E' rimasto in catalogo per più di quindici anni!


Ho letto da qualche parte che hai avuto a che fare con i giocattoli parlanti della Mattel e con la creazione di effetti sonori per qualche personaggio di Star Wars.

Ho fatto qualunque cosa pagasse, e la Mattel era uno dei miei clienti. La storia di Star Wars è troppo lunga per essere raccontata qui.


Ho comprato i tuoi due album per la Takoma al tempo in cui sono stati pubblicati. Ti spiacerebbe chiarirmi quali erano le tue intenzioni musicali quando hai registrato questo materiale?

A dire il vero ce ne sono stati tre, l'ultimo era un album contenente canzoni sentimentali della metà del XIX secolo.

La Takoma mi contattò proponendomi di fare un album natalizio di sintesi imitativa nel 1974, dicendo che non erano in condizioni di pagarmi ma che mi avrebbero dato i diritti. Avevo delle attrezzature alquanto primitive, ma a quei tempi lavoravo con Don Buchla, e ricorderai che ho dato a Tom Oberheim la spinta per partire nel campo del suono elettronico, così presi in prestito alcuni moduli e registrai quell'album, cui fece seguito nel 1976 un album di canzoni patriottiche. Ai tempi del secondo LP ero molto migliorato al riguardo, ma non avrei mai avuto il tipo di attrezzature che aveva Walter Carlos, né avrei avuto più di un registratore a quattro piste a 1/4".


Prima hai fatto riferimento a una registrazione con Hal Blaine e Bernard Purdie. Ti dispiacerebbe dirmi di più?

Nei miei primi lavori per la radio avevo ancora un atteggiamento avant-garde; in effetti alcune delle mie cose più interessanti sono state le pubblicità per la radio. Almeno finché non ho incominciato ad avere la fama di essere un anticonformista, il che non è esattamente quello che le agenzie chiedono ai loro fornitori.

A quei tempi mi muovevo su ambedue le coste, e capii subito che avrei potuto ingaggiare musicisti di grosso nome per la stessa somma di danaro, dato che le pubblicità - che pagano "diritti differiti" - erano meglio degli LP. Così quando avevo bisogno di un batterista prendevo Hal Blaine a Los Angeles e Bernard Purdie a New York. Il pezzo di cui sto parlando era qualcosa che ho fatto come una "trovata" per The Great American Radio Show, un convegno di gente che trasmetteva che si tenne a Manhattan per festeggiare i cinquant'anni di pubblicità radiofonica. Una cosa per cui ho fatto un certo numero di pezzi strani, tra cui la mia "Radio Cantata," una omofonia nello stile di Handel su

Glory to the unseen voice
That changed the world in fifty years,
That makes the Great Unclean rejoice,
And sells them soap to wash their ears.

seguito da una fuga su

Glory be to radio!

Ma torniamo alla mia storia. Ho scritto una parte di batteria per un inesistente brano rock strumentale, poi ho fatto una click track. Il che non era tanto raro, dato che quelli erano i primi tempi del multitracce a otto piste su nastro da 1". La parte aveva delle pause, una rullata in solo, e una conclusione. Allora ho fatto ascoltare la click track a tutti e due i batteristi separatamente e ho fatto registrare loro le rispettive parti senza che nessuno sentisse l'altro. E' un eccellente contrasto tra lo stile "loose" della West Coast in perfetto sincrono con lo stile "tight" di New York. A dispetto di ciò, è davvero eccellente. Hal e Pretty non le hanno mai ascoltate suonate insieme.


Se non sbaglio tieni un corso universitario sullo scrivere canzoni. Qual è la tua prospettiva sul modo in cui melodie personali ed elaborate e progressioni di accordi intricate sembrano aver lasciato il posto al minimo comun denominatore quale ideale consciamente perseguito? Vedi delle tendenze chiare in proposito? (A mio parere Paul Zollo ha scritto cose molto interessanti nella sua antologia intitolata Songwriters On Songwriting.)

Personalmente non mi mancano "il personale, l'elaborato e l'intricato". Laura Nyro e Stevie Wonder non erano i miei eroi. Non mi è piaciuta la maggior parte della gente degli anni settanta, anche se la mia ex mi ha fatto apprezzare l'abilità dei testi di Cat Stevens, che ho ritenuto accattivante, molto accessibile. Ho molto rispetto per Paul Simon e Joni Mitchell, ma sono due autori di canzoni molto atipici, e certamente non credo che altri autori di canzoni debbano imparare da quello che hanno fatto. Anche Elliott Smith proveniva da quello stampo. E' un loop solipsista. In qualità di narcisista in remissione riconosco la sindrome, e credo che non sia per niente romantica.

Permettimi di citare alcuni autori di oggi, e forse questo ci condurrà a quello che trovo fonte di speranza e - all'opposto - scoraggiante nelle canzoni di oggi. I miei preferiti di questo mese sono Tom Waits, Eleni Mandell e Nellie McKay, nessuno dei quali è nel solco di Simon/Mitchell.

Waits è progredito moltissimo. Ha iniziato in modo più oscuro e simile a un poeta, ma con l'età è diventato più accessibile e "autentico". L'opposto di Dylan, che era l'autore più importante degli anni sessanta (e quello è un decennio decisivo) ma che è diventato la caricatura di se stesso. Waits è come Dylan sarebbe dovuto diventare. Ti ho scelto una delle sue strofe:

In a land there's a town,
and in that town there's a house
And in that house there's a woman
And in that woman there's a heart I love
I'm gonna take it with me when I go.

Occorre aver vissuto molto per essere in grado di scrivere un testo così diretto, di eliminare tutto il mestiere e tutte le cose in più, e andare al sodo.

Eleni Mandell è un'autrice che non se la passa bene, a stento riesce a sbarcare il lunario, deve girare con solo un bassista (non può permettersi un gruppo), dato che non scrive pezzi di successo, non è carina e non ha un contratto discografico. Ma anche lei scrive testi intensi, e a volte pazzi:

When it rains I throw up my windows
On a cold, dark day I run in the street
I'm OK when the howling wind blows
Yes, it's alright with me

When it's hot like the devil laughing "Ha!"
I will pull on my hat and coat and see
That I'm always happy keeping up
With the man just a step ahead of me

He thinks he's in love with this girl
But I know that he can't be in love with her
He's in love with me

Nellie McKay è un fenomeno, una ragazza perfetta per i media: diciannove anni, molto attraente, con una vena sarcastica e una bocca birichina. Ovviamente la Sony l'ha agguantata e le ha dato Geoff Emerick, il tecnico dei Beatles, come produttore del suo primo album. Non m'importa. Lei è brillante. E anche se consiglio a tutti di stare lontani dal predicare, dai "messaggi", dal mostrare eccessivamente il proprio credo politico, lei se la cava benissimo:

I feel bad
not bad enough really
I feel angry and upset
I could write you a small check
look I wish you luck
and here's your buck
it's just that I'm a yuppie fuck
yes indeed I am
really

OK, se questi sono i segni di ciò che dà speranza nel songwriting, cos'è che hanno in comune? Innanzitutto sono colloquiali. In secondo luogo dicono qualcosa, non si preoccupano solo di trovare una frase da fare diventare un "gancio". Qui di seguito, per contrasto, ci sono due canzoni pop "fabbricate" (Avril Lavigne e Hilary Duff):

Is it enough to love, is it enough to breathe
Somebody rip my heart out and leave me here to bleed
Is it enough to die somebody save my life
I'd rather be anything but ordinary please

e

If it's over let it go and
Come tomorrow it will seem
So yesterday
So yesterday
I'm just a bird
That's already flown away

Qui non c'è niente di "reale", e nulla che duri più dello zucchero filato. Ma non sono neppure un fan della roba con il "messaggio", fatta eccezione per Randy Newman. (In verità è una delle mie influenze, solo che fu prima che qualcuno lo avesse sentito; un produttore mi fece ascoltare il suo demo di Simon Smith e So Long, Dad, che non sono tipiche delle sue canzoni successive.)

Quello che cerco sono canzoni che abbiano risonanza nei confronti del presente e che suonino come se qualcuno avesse davvero detto quelle parole. Qualcosa che spinge a riflettere - e ci sono molti modi per arrivarci, ma sempre la stessa destinazione. Qualcosa di semplice. Qualcosa che sta comoda nel suo stile, proprio come un buon paio di scarpe. Le scarpe possono essere stivali da lavoro, o scarpe con il tacco alto o scarpe Spectator bicolori (i miei tre autori). Lo stile per me è sempre stato importante. Ritengo sia il furgoncino che porta le ciambelle.


© Beppe Colli 2004

CloudsandClocks.net | Aug. 26, 2004