Intervista a
Barney Hoskyns (2012)

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di Beppe Colli
Mar. 14, 2012



Dobbiamo confessare che sempre più spesso ci interroghiamo su quale sia il reale stato delle cose per quanto riguarda il mondo della musica nelle sue molteplici accezioni e ci chiediamo se la nostra visione "apocalittica" corrisponda a verità.

In cerca di una "prospettiva interna" abbiamo pensato di interrogare Barney Hoskyns, critico britannico di lunga esperienza e lungo curriculum sia come giornalista della carta stampata e autore di numerosi volumi di carattere musicale che in quanto direttore dell'archivio di giornalismo musicale online che prende il nome di Rock's Backpages.

Nonostante fosse come d'abitudine decisamente occupato, Hoskyns ha gentilmente accettato di rispondere alle nostre domande, che abbiamo provveduto a inviare tramite posta elettronica la mattina di lunedì scorso. Le risposte sono pervenute la sera dello stesso giorno.


Nella nostra ultima conversazione abbiamo parlato quasi esclusivamente del ruolo del critico musicale avendo quale punto di partenza la tua introduzione all'antologia The Sound & the Fury: A Rock's Backpages Reader, da te curata. In quell'occasione ti ho rivolto solo una domanda a proposito di Rock's Backpages, e cioè se tu fossi soddisfatto del successo da esso ottenuto in termini di riscontro e anche in termini puramente commerciali. Questa la tua risposta di allora: "No. Abbiamo gettato le fondamenta perché RBP possa essere un archivio digitale - e forse anche una rete di contenuti - della storia del rock. Ma anche noi come tutti abbiamo dovuto faticare per avere degli incassi e dobbiamo continuare a cercare nuovi modi per ingrandire l'azienda e vendere i nostri contenuti."

Se non vado errato Rock's Backpages ha festeggiato nel 2011 il suo decimo compleanno, quindi ritengo appropriato iniziare la nostra conversazione discutendo alcuni punti specifici. Innanzitutto, la sua crescita. Dieci anni sono un periodo lungo, e suppongo che in questo lasso di tempo abbiate dovuto ridisegnare i vostri scopi, tenere conto delle frequenti crisi di mercato e così via. Sei soddisfatto del responso ottenuto fino a oggi in termini commerciali se parliamo di "clienti paganti", e qui intendo dire: i lettori?


Sì. Mi piace pensare che abbiamo raggiunto un giusto equilibrio tra RBP quale risorsa accademica e RBP quale centro di fan rivolto al pubblico. Qualche anno fa abbiamo spostato il nostro focus sul primo di questi aspetti, prendendo come bersaglio privilegiato le università quale base primaria per gli abbonamenti e aumentando in misura notevole le tariffe per gli abbonamenti individuali, al punto che oggi, ragionando in maniera realistica, solo i professionisti (come giornalisti, gente di cinema e via dicendo) possono affrontare la spesa. Ma abbiamo anche adottato un modello "freemium", in modo tale che anche un lettore occasionale  possa avere accesso a una quantità decente di materiale in funzione di "assaggio".


Ho cercato Rock's Backpages su Wikipedia, che scrive che Rock's Backpages è "popolare tra (...) gli abbonati istituzionali come istituzioni accademiche e organizzazioni di media". Vuoi parlarmene?

Beh, è come ti ho detto. Lo studio della storia della "popular music" è cresciuto in maniera significativa da quando abbiamo aperto RBP, così c'è un numero crescente di studenti e insegnanti che usano RBP quale risorsa secondaria o aggiuntiva per la ricerca. Facciamo di tutto, con uno sforzo costante, per cercare di rafforzare questa base di abbonati, che va da grandi università statunitensi che pagano fino a cinquemila dollari l'anno a piccole scuole che ne pagano solo alcune centinaia.


Avevo notato alcuni cambiamenti in Rock's Backpages, a partire dalla presenza di pezzi accessibili gratuitamente. Inoltre, sebbene sin dal primo momento ci fossero pezzi nuovi scritti appositamente per il sito, vedo che ora c'è un'intera sezione chiamata Writers' Blogs, la cui funzione mi sembra quella di discutere cose, ed eventi, "in tempo reale". Sei soddisfatto della partecipazione del pubblico riscontrata fino a ora per quanto riguarda i blog?

Non completamente, ma direi che sta crescendo, seppure con lentezza. Ci sono così tante persone che hanno dei blog su una tale quantità di siti diversi che è difficile competere con tutto il resto. Ma c'è gente che fa parte del pool di giornalisti di RBP che interviene regolarmente e devo dire che c'è un'interazione ragionevolmente soddisfacente con i lettori di RBP.


Guardando il tuo blog ho visto che hai scritto qualcosa sul libro di Simon Reynolds intitolato Retromania (sottotitolo: "Pop Culture's Addiction to Its Own Past), che ho letto. Ovviamente non è mia intenzione chiederti di parlarne. Però devo dire che ho notato questa frase: "Leggere Retromania mi ha fatto provare un leggero senso di panico e di claustrofobia; è anche un buon riassunto di molti dei sentimenti che si provano a proposito dell'esaurimento della cultura pop." Ti spiacerebbe parlarne un po' più estesamente?

Ti risponderò così. Di recente MOJO mi ha mandato a Los Angeles per intervistare i Beach Boys - è la versione del cinquantesimo anniversario del gruppo che comprende per la prima volta in ventisette anni o giù di lì sia Brian Wilson che Mike Love. Ho chiesto un parere al regista Oren Moverman (Rampart), e lui mi ha mandato questa e-mail: "Stiamo assistendo alla fine dell'era della nostalgia - questo tour è il tour dell'addio non solo ai Beach Boys ma anche all'idea di longevità e sopravvivenza. E' un'ultima esplosione di rimpianto romantico, un lungo addio." In più - per fare riferimento a un gruppo degli anni ottanta scomparso da tempo - credo che con tutta probabilità il pop abbia divorato se stesso! Non c'è più molto che la musica pop possa fare nella cultura, con la sola eccezione del fatto di fornire piacere. Oggi è solo un tipo di consumo come un altro.


Spero di non sbagliare se dico che se parliamo di quotidiani e di riviste di musica la situazione nel Regno Unito mi pare molto più rosea di quella degli Stati Uniti. (Vedo che anche una pubblicazione di nicchia come The Wire è ancora viva e vegeta nella sua forma cartacea.) E credo che la (relativa) abbondanza di lavori pagati possa fungere da tranquillante per ciò che riguarda il benessere materiale di chi scrive di musica. So che scrivi per molte testate (Into The Black..., l'articolo su Johnny Cash che hai scritto per Mojo e che compare sul numero di aprile è un esempio recente). Ritieni che la mia percezione di una stampa musicale del Regno Unito decisamente florida corrisponda alla realtà?

Non mi pare si possa parlare di una situazione "decisamente florida" - da un punto di vista economico siamo nella merda fino al collo. Ma il Regno Unito ha sempre visto la presenza di un tipo di consumatore di musica decisamente più acceso, sin dagli albori del rock 'n' roll. E quindi è possibile che resteremo attaccati al sogno un po' più a lungo della maggior parte degli altri.


Hai scritto un bel po' di libri, la recente biografia di Tom Waits intitolata Lowside of the Road essendo l'ultimo di cui ho notizia. Ma ho letto che stai lavorando a una grossa biografia dei Led Zeppelin, e devo confessare che mi sono chiesto se ci siano ancora grosse verità da rivelare a proposito del loro lavoro.

Ritengo che ci siano solo verità da rivelare a proposito degli Zeppelin, data la proliferazione di miti e bugie a proposito del più grande di tutti i gruppi di hard rock. Il mio libro è una storia orale in cui quasi duecento persone che hanno avuto a che fare con gli Zeppelin (da roadies a persone che lavoravano nelle case discografiche a groupies) diranno le cose per come sono effettivamente andate. Molto più interessante delle storie di squali e dei televisori che volavano dalle finestre.


E' evidente che il fatto che la gente continuerà a provare un interesse per (tutte) le cose del passato è il tacito assunto alla base dello scrivere professionalmente a proposito di "vecchi nomi". Però di recente leggere qualcosa che hai scritto mi ha fatto riflettere sull'esistenza di un divario "basato sull'età" (anche se sappiamo che in realtà si tratta di un divario culturale) nel comportamento di gruppi diversi. Alla fine di Dark Angel: The Stone Soul Genius of Laura Nyro, che hai scritto per Rock's Backpages, c'è una lista chiamata Nyro Essentials: 20 Tracks To Download Right Now. Si potrebbe dire che mentre una volta era normale per gli appassionati di musica coltivare sia la lettura che l'ascolto, oggi è molto probabile che la maggior parte delle persone inizierà scaricando quei pezzi della tua lista e lì si fermerà, senza provare alcun interesse ad avere informazioni ulteriori che possano fornire elementi utili a capire meglio la musica e ad andare oltre una "soddisfazione istantanea" e un apprezzamento in termini di "gusti soggettivi". Tu che ne pensi?

Il fatto che la maggior parte dei consumatori di musica (e sicuramente la maggior parte di quelli giovani) vuole solo scaricare pezzi senza provare alcun interesse a scoprire delle cose sugli artisti maggiormente graditi rende ancora più importante il fatto che noi ci sforziamo di mantenere in vita uno spazio di studio e di informazione - in modo da fornire un contesto e un significato a tutti quelli che in futuro vorranno conoscere qualcosa su un gruppo o un artista o una scena o un genere.


Scrivendo per Rock's Backpages a proposito del cofanetto di Neil Young intitolato Archives, Vol. 1 definisci "questo progetto esaustivo" come "fatto su misura per quella cultura del cofanetto che è diventato il "rock di papà"". Vuoi dirmi qualcosa in più su quest'idea di "boxset culture/Dadrock"? Forse ci leggo qualcosa che non c'è, però...

Credo che - e qui mi riallaccio alla domanda precedente - possa avere a che fare con il fatto che la mia generazione (sono un cinquanta-e-qualcosa) è l'ultima a essersi sentita tanto coinvolta dal potere trasformativo della "musica come patrimonio" da considerare la possibilità di spendere soldi per un cofanetto.


Scrivendo a proposito della recente biografia di Paul Nelson scritta da Kevin Avery (Everything is an Afterthought: The Life and Writings of Paul Nelson) citi due recenti raccolte post-mortem degli scritti di Robert Palmer e Ellen Willis, e poi citi Bruce Springsteen che dice ad Avery: "Stai lavorando per mantenere una promessa fatta non solo a te stesso ma anche a Paul." Poi aggiungi: "Chiunque ritiene che la grande scrittura rock sia solo qualcosa di irrilevante e obsoleto dovrebbe tener presenti queste importanti parole." Devo dire che non mi è chiaro se qui ti riferisci alla scrittura rock passata o presente.

Sto dicendo sicuramente che la grande scrittura rock esiste al presente, sebbene non sia sempre facile da trovare. Però è anche vero che l'investimento nella musica pop/rock quale fenomeno in grado di cambiare la vita e la società è molto diminuito dai giorni in cui gente come Nelson scriveva su gente come Springsteen.


Mentre scorrevo la lista dei giornalisti i cui scritti fanno parte di Rock's Backpages per cercare gli articoli alla voce Barney Hoskyns ho guardato più in alto e ho cliccato su Nick Hornby. Così ho letto un suo pezzo intitolato The Thrill Of It All: The Advent Of MP3 Blogs (piuttosto recente, tra l'altro: 6 September 2009). Finisce così: "Quello che so è che se ami la musica e hai un atteggiamento di curiosità non c'è mai stato un periodo migliore in cui vivere." Che mi dici di chi scrive di musica?

Non sono sicuro di capire la domanda: un periodo migliore per essere uno che scrive di musica o per leggere chi scrive di musica? In tutt'e due i casi non credo di poter essere d'accordo con Nick. La sovrabbondanza di musica disponibile online ne ha senza dubbio sminuito il valore e ci ha resi più sordi al suo potere. Siamo come degli ingordi a una festa dove puoi mangiare tutto quello che vuoi, ma siamo così sazi di musica che non sappiamo cosa ascoltare dopo.


© Beppe Colli 2012

CloudsandClocks.net | Mar. 14, 2012