Writing about Music
is like
Writing about Architecture

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di Beppe Colli
July 5, 2011



Saremo i primi ad ammettere che quello che all'inizio ci era parso un semplice caso di recensione di un libro antologico contenente scritti sulla musica rock a opera di una scrittrice da non molto scomparsa ma che aveva smesso da tempo di occuparsi da vicino di musica rock in quanto tale si è progressivamente mutato con nostro grande stupore in qualcosa di molto ingarbugliato, e però decisamente interessante. Ci riferiamo ovviamente al libro Out Of The Vinyl Deeps: Ellen Willis On Rock Music - By Ellen Willis - Edited by Nona Willis Aronowitz e alla nostra recensione, qui apparsa in data 26 maggio.

Come già detto in quella sede, il volume ci era parso sostanzialmente mediocre e niente affatto meritevole di tutto quel trambusto. Ma proprio quell'affaccendarsi critico, quell'aura di santificazione culturale che ci era sembrato di cogliere in un discreto numero di interventi ci avevano convinto ad argomentare il nostro "diverso parere".

In un post su un blog in Rete apparso in data April 4, 2011 con il titolo di Honoring - and Learning From - Ellen Willis, Robert Christgau aveva annunciato "a conference at NYU on Saturday, April 30, devoted to Ellen's music criticism, a full day featuring a truly remarkable array of panelists and readers". Pochi giorni dopo l'evento, che abbiamo appreso portare il nome di "Sex, Hope, and Rock ‘n’ Roll", in data 3 maggio, la rivista in Rete Slate aveva ospitato un reportage a firma Judy Berman intitolato Ellen Willis Reclaims Her Place in the Rock-Critic Canon. Cosa che ci era parsa oltremodo curiosa, dato che se c'è una nozione oggi quasi universalmente sbeffeggiata e alla quale nessuno pare più attribuire un benché minimo significato condivisibile è proprio quella di "canone". Il che ovviamente non esclude che proprio coloro i quali negano con più forza la sola possibilità dell'esistenza di un canone trovino poi perfettamente logico che ognuno si faccia il suo, del tipo "a validità assoluta, però limitata".

Ci dava conforto in questa nostra ipotesi un intervento di Carl Wilson (apparso, se abbiamo ben capito, su Back to the World.net in data June 22, 2011, e che in ogni caso ci era ignoto al momento in cui abbiamo scritto la nostra recensione) dal quale estraiamo un passaggio chiave: "Part of what was lost in Willis's voice going missing was the way she treated music not so much analytically, and certainly not categorically, but dynamically." Questo passo era già sufficiente a farci cercare i sali. Ma era il passaggio seguente a mettere tutte le carte in tavola: "She had a way of talking about artist-audience relationships, specifically fan relationships, that anticipated what would come in cultural studies in the 1980s and 1990s." E qui, come da riflesso automatico da tempo acquisito, il nostro braccio si allungava ad aprire il cassetto dove teniamo le trecce d'aglio, ché una non sarebbe certo bastata.


Scott Woods ha gentilmente deciso di rendere partecipi i lettori di Rock Critics, il sito da lui animato e diretto, di quanto da noi scritto e argomentato nella recensione del libro della Willis. Woods ha correttamente riportato un estratto dalla recensione e postato un link al testo completo.

Crediamo non sarà difficile per il lettore immaginare la nostra sorpresa allorquando ci siamo accorti dell'esistenza di un commento di Richard Riegel postato su Rock Critics in data June 3, 2011. Riegel è un critico statunitense discretamente noto, già collega del leggendario Lester Bangs a Creem. La nostra sorpresa era destinata ad aumentare quando ci rendevamo conto che nel vergare quel messaggio la lucidità doveva aver fatto difetto al buon Riegel, lasciandoci solo due alternative:

a) Riegel aveva letto tutto il pezzo cui il link conduceva; l'unica opzione che ci restava era di definire Riegel, parafrasando Randy Newman, qualcuno che "doesn't know his ass from a hole in the ground", che è come dire qualcuno che "non distingue il proprio culo da un buco per terra";

b) Riegel aveva ritenuto l'autore dello scritto un pesce piccolo che scrive su una testata di poco peso e aveva deciso che neppure una piccola parte del poco tempo che gli resta da vivere su questa terra andava sprecata leggendo il resto della recensione, procedendo quindi a scrivere la prima cosa che gli era passata per la testa quale risposta al breve frammento citato da Woods.

Ben altro era stato il comportamento di Riegel in occasione della querelle con Anthony DeCurtis quando quest'ultimo aveva pubblicato (in data May 13, 2000) nell'edizione online del periodico statunitense Rolling Stone un articolo intitolato Busting the Cult of Lester Bangs: Rethinking the Legacy of Rock's Most Celebrated Critic. Riegel aveva risposto con un lungo intervento su Rock Critics (si veda: Cultivating the bustle of Anthony DeCurtis: Richard Riegel vs. Anthony DeCurtis, Oct. 2002), DeCurtis aveva replicato (Anthony DeCurtis Responds to Richard Riegel, October 16, 2002) e Riegel aveva risposto a sua volta (Richard Riegel Responds to Anthony DeCurtis, October 17, 2002).

Come avrebbe definito Lester Bangs qualcuno che si comporta in modo tanto difforme a seconda dello status mediatico del suo oppositore? Lasciamo a Riegel la scelta del termine.

Il fatto paradossale è che l'unica cosa intellegibile detta da Riegel a proposito del nostro dire di Bangs è "Lester's passion about music, and the brilliance of his prose in explaining that passion", cosa che non contraddice affatto (anzi!) quanto da noi scritto: e cioè che Bangs non era una fonte altrettanto prodiga di informazioni sulla musica che ascoltava e di cui scriveva di quanto lo fosse sulla passione che lo animava nell'ascolto, e che al pari della Willis il suo "cambiare opinione" aveva un andamento di "conversione" il cui carattere distintivo è l'irrazionalità.


Dato che in questi casi è fin troppo facile perdere il filo, riportiamo qui di seguito il passo della nostra recensione del libro della Willis riguardante il punto di cui si discute adesso:

"Leggendo questa raccolta ci siamo accorti quasi subito che a dispetto dello stile tanto diverso - per non parlare dei rispettivi valori - la Willis è un'irrazionalista degna di fare il paio con Lester Bangs. Si veda l'improvviso apprezzamento di un album o di un brano vissuto come "conversione", quindi inspiegabile per definizione. Un solo esempio: "When I first heard Exile On Main St., I hated it." (...) "I now think that Exile is arguably the Stones' best work. My conversion to Goats Head Soup was less dramatic" (...) "but the process was similar". (...) "But only a month ago I was listening to Angie, a song I'd dismissed as an irritating whine, and suddenly heard it as exactly the opposite - a victory over self-pity." (pag. 43)."

Abbiamo rinfrescato la nostra lettura di Mainlines, Blood Feasts And Bad Taste, la seconda raccolta di scritti di Lester Bangs apparsa nel 2003. Questo il passo riguardante i Rolling Stones che appare alle pagg. 131-132:

"Exile on Main Street came out just three months ago, and I practically gave myself an ulcer and hemorrhoids, too, trying to find some way to like it. Finally I just gave up, wrote a review that was almost a total pan, and tried to forget about the whole thing. A couple weeks later, I went back to California, got a copy just to see if it might've gotten better, and it knocked me out of my chair. Now I think it's possibly the best Stones album ever." (...) "What was responsible for my dramatic turnaround on the album? I don't think it matters much."

Per chi non si accontentasse ci sono i due saggi dedicati a Miles Davis e in special modo al suo LP intitolato On The Corner. Si tratta di Kind Of Grim: Unraveling the Miles Perplex (1976) e Miles Davis: Music for the Living Dead (1981), rispettivamente alle pagg. 162-171 e 172-177 del volume citato. Diremmo evidente che in questa cornice il mutamento di opinione a proposito di un lavoro è sempre messo in correlazione con un mutamento della percezione in senso "sentimentale" da parte dell'ascoltatore, in opposizione a un mutare di valutazione dipendente da un diverso apprezzamento delle proprietà intrinseche all'oggetto. Una distinzione troppo spesso dimenticata sulla quale ci soffermeremo tra un istante.


Il fatto che un lettore scrupoloso e attento come Scott Woods non sia riuscito a comprendere pienamente il punto principale del nostro scritto per ciò che riguarda il problema di cui stiamo dicendo ("It's not entirely clear to me what Beppe's issues with Willis are, but this sentence might be a hint") ci ha fatto sorgere qualche dubbio sulla chiarezza della nostra esposizione.

Scrive Woods: "I don’t know about "irrational," but his second point, about the almost religious fervour in each of their responses to the records they adore is pretty spot-on, though not, for me, a problem (quite the opposite)."

Abbiamo evidentemente peccato di scarsa chiarezza. Con il termine "conversione" ci riferivamo infatti non alla forza del gradimento ma all'inesplicabilità dello stesso in termini razionalmente argomentabili in relazione alla musica. Qui il riferimento utile a illustrare modalità e caratteristiche del processo di "conversione" è il volume di Thomas Kuhn del 1962 intitolato La struttura delle rivoluzioni scientifiche, con il suo uso dell'espressione "spostamento di paradigma", un'esperienza per molti versi accostabile a un "riorientamento gestaltico". Ed è un riferimento che ci pare senz'altro pertinente all'interno della cornice in cui il dibattito sul lavoro della Willis è sembrato avvenire, negli ambienti culturali statunitensi di cui s'è detto.

E' vero che se guardiamo all'esperienza soggettiva capita a volte di credere di comprendere una cosa all'improvviso e tutto d'un colpo. (Si pensi a quante volte un brano musicale che ci era risultato oscuro e impenetrabile ci si rivela tutt'a un tratto dotato di una ferrea logica interna.) Ma la supposta "intuizione" è solo il coagularsi di un lungo lavoro preparatorio, conseguenza di una maturazione avvenuta in silenzio.

Prosegue Woods: "Music is 'impossible to explain,' though - at least if you limit your explanation to words alone. Indeed, that conundrum, as pointed out in various passages in Meltzer's The Aesthetics of Rock, is the futility (um, the challenge) of rock criticism. Writing about 'the music' - i.e., the notes, the chord changes, the instrumentation, etc. - gets you no closer to there than writing about any other aspect of it, because there is no there there."

E sono punti importanti che meritano una risposta.


Vediamo innanzitutto la questione del cambiare opinione.

Prendiamo come spunto tre album di musica rock. The Doors, omonimo album d'esordio (1967). This Was, esordio su LP dei Jethro Tull (1968). E il celeberrimo Led Zeppelin II (1969). Album da noi ascoltati in giovanissima età, quando eravamo impossibilitati a esprimere qualunque apprezzamento che non fosse di tipo soggettivo, "a pelle".

(Che poi è il vero motivo per cui tutti i "trend" che saccheggiano il passato - ultimo episodio della serie, il "freak-folk", o "psych-folk" - risultano più convincenti se spacciati come "nuovi" a lettori inesperti quando a veicolarli è qualcuno genuinamente entusiasta perché ignaro di tutto.)

E' ovvio che a quell'età mancavamo quasi totalmente di termini di paragone, di conoscenza degli idiomi musicali e del gran numero di precedenti che stavano alle spalle di quei lavori, nonché di criteri tecnici di giudizio. E se è vero che i primi due album citati non sono stati certo incisi facendo pendere il proverbiale microfono dal soffitto, è evidente che il terzo aggiunge al numero degli elementi tutta una serie di complesse questioni riguardanti studio, incisione e missaggio.

Va da sé che man mano che il nostro stock di conoscenze aumentava la nostra percezione e la nostra valutazione dei tre album non potevano che cambiare - che non vuol dire necessariamente cambiare in peggio.

Ma cambiare opinione su un album perché abbiamo una comprensione migliore dei suoi "componenti" è cosa del tutto diversa dal farlo perché "passiamo un brutto momento e quei suoni cupi ci mandano in depressione".


Messa come la mette Woods - "Music is 'impossible to explain'" - la questione è certamente vera. Ma non crediamo che questa impostazione sia corretta, né che lo siano il riferimento a Meltzer - "the futility (um, the challenge) of rock criticism" - e l'impostazione "essenzialistica" che Woods dà al processo di comprensione anche se al solo scopo di negarla "because there is no there there."

Allo stesso modo, rigettiamo in toto il famoso detto "Scrivere di musica è come danzare di architettura" come pretesa oscurantista e profondamente irrazionale oltre che estremamente dannosa. Perché ci disabitua a ragionare, a valutare le pretese di verità, a vedere criticamente quanto asserito, a considerare come strano il fatto che qualcosa sia ritenuta essere "vera per qualcuno": "rispetto per i molti punti di vista" non può voler dire mettere sullo stesso piano chi asserisce che la Terra è tonda e chi ritiene invece che essa sia piatta.

Alle descrizioni "oggettive" nessuno crede più, ma riteniamo non sia difficile trovare un accordo di larga massima sul fatto che "una descrizione adeguata" che si presenta come "verificabile intersoggettivamente" è senz'altro da preferire a una che non lo è, per non parlare di quello che si presenta prima facie come un delirio.

Il paragone non è granché, ma speriamo che per questa volta il lettore si accontenti. Sappiamo che nessuna lampadina è efficiente al 100% ma questo non ci impedisce di scegliere tra due lampadine diverse, sebbene nessuna di loro - e ben lo sappiamo - sia efficiente al 100%.

Il problema che a causa di abitudine e di insufficiente riflessione tendiamo a perdere di vista è che spesso non siamo in grado di cogliere la differenza tra un asserto e uno pseudo-asserto, cioè un'affermazione che ha la forma di un asserto ma non lo è. Un buon esempio è la classe delle asserzioni circolari, che non hanno informazioni ma sembrano averle.

"Una musica aspra, fragorosa, modo d'espressione logico per chi vive nel rumoroso mondo moderno. E' la musica del nostro tempo."

"Una musica lieve, acustica, modo d'espressione logico per chi vive nel rumoroso mondo moderno. E' la musica del nostro tempo."

In ognuno dei due esempi la cosa da spiegare diventa (scorrettamente) spiegazione di se stessa. Si tratta di tautologie, il cui contenuto di informazione è pari a zero.

Ovviamente è un discorso complesso. In qualità di  ammonimento rimandiamo al Postmodernism Generator, un programma di computer che produce simulazioni di scrittura postmoderna. Il sito web The Postmodernism Generator genera un articolo postmoderno diverso mediante procedimento casuale ogni volta che viene caricato sul nostro computer.


Dato che la discussione corre il rischio di diventare "troppo astratta" ricorreremo a due esempi.

Il primo è un estratto da un dialogo tra Paul Zollo e Paul Simon apparso nel 1990 sulla rivista SongTalk. Il brano di cui si discute è il celeberrimo Still Crazy After All These Years.

SongTalk: That song has some unusual chord changes...

Paul Simon: Yeah, I was studying with a bass player and composer named Chuck Israels at the time so I was doing more interesting changes. I was studying harmony with him.

SongTalk: I read once that on that song you took every note that you hadn't used in the twelve-tone scale and constructed the bridge using those notes. True?

Paul Simon: Yeah, I used to do that. It was something that I noticed in Antonio Jobim's music. In fact, I once mentioned that to him and he said that he wasn't aware of it at all. [Laughs]

La nostra valutazione di questo fatto dipende solo da noi. Ma è ovvio che avendo ascoltato gli album possiamo dire che "a un certo punto le canzoni di Paul Simon diventano armonicamente più complesse", (forse essere in grado di attribuire la cosa a qualcuno) e descrivere il brano Still Crazy After All These Years secondo queste coordinate.

Va da sé che mettere nella stessa colonna album armonicamente simili dà al lettore un'informazione più preziosa di stilare una lista di "dieci album frutto di divorzio" musicalmente dissimili. Almeno, questo è il criterio secondo il quale chi scrive compra le lampadine.

Una buona direzione di ricerca potrebbe essere quella di valutare l'apporto che in termini di intervalli sofisticati e tempi complessi molti musicisti di formazione jazzistica (anche se l'etichetta corre il rischio di essere riduttiva: pensiamo agli Stuff) hanno dato a numerosi album da classifica degli anni settanta, vero "elemento unificante nascosto" di idiomi "diversi" qualora considerati ognuno a se stante. Un compito che diremmo sensato e comprensible, a differenza di quello implicito nell'esempio di cui si dirà tra un istante.


Il secondo esempio è un estratto di una tavola rotonda ospitata sulla statunitense NPR e consultabile come testo sul suo sito con il titolo di Nine Women In The Room: A Music Writers Roundtable (August 27, 2010).

(...)

Lara Pellegrinelli: Although, I love when artists both seem to play into those stereotypes and manage to subvert them at the same time. I like to think we're seeing more of that.

Ann Powers: Lara, agree. Gaga!

(...)

Ann Powers: Sexuality is one of my main topics, so for me it's very useful and fascinating. I am interested in how pop creates our conversation about sex in this culture.

(...)

Amanda Petrusich: But Gaga is also blonde and thin and white, so her "subversion" comes from an easier place, maybe?

Laina Dawes: Gaga is sexual but not sexually intimidating. Does that make sense?

Ann Powers: On one level yes, Amanda, but she really turns her whole thing grotesque.

Non c'è altro da aggiungere. (Forse, "Per favore, ce ne porti uno come quello che ha portato alle signore".)


Conclusione provvisoria.

Indagare sull'accoglienza riservata al volume della Willis ci ha rivelato l'esistenza di... beh, un verminaio sarebbe troppo, ma è certo che il prendere piede delle correnti dei Cultural Studies nelle facoltà umanistiche ha generato mostri intellettuali che con tutta evidenza hanno moltiplicato le follie del "relativismo culturale" per tutti gli ambiti possibili di razza e di sesso producendo un proliferare di "verità locali" la cui problematicità è evidentemente ormai opaca ai proponenti.

La nostra impressione - sostenuta da una quantità di dati tanto esigua da non meritarle neppure il titolo di ipotesi - è che il crollo delle possibilità di remunerazione per chi scrive di musica da parte di quotidiani, periodici e quel che resta della "stampa specializzata" abbia favorito il tentativo da parte di chi si vede in pericolo di essere "messo al pascolo" di trovare una collocazione nei dipartimenti "di scrittura" di università dove proliferano gli approcci "creativi" alla materia.

Nel nostro peregrinare alla ricerca di materiali pertinenti alla discussione, abbiamo trovato un'intervista di Jacob Ganz ad Amanda Petrusich apparsa sul sito della NPR in data December 16, 2010 nell'ambito della serie Get To Know A Critic.

"I hope that writing books has helped me develop a more comprehensive and multi-dimensional way of thinking about music - for instance, now I think more about where a record came from, who made it, where they lived, what they were eating."

"For better or worse, I've become less interested in objective, academic criticism, and more interested in the personal parts of songwriting - what it means to the author and what it means to the listener. I used to feel like those opinions were less valid and had no place in criticism. Now I'm beginning to think that they're the only parts that matter."

Cosa aspettarsi adesso? "L'importanza del gorgonzola per gli assolo di chitarra delle popolazioni rurali" e "Gamberetti e creatività secondo gli allevatori di lumache di New Orleans"?

Per pietà, basta!


© Beppe Colli 2011

CloudsandClocks.net | July 5, 2011