Dodici anni
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di Beppe Colli
Nov. 26, 2014



Oggi è il compleanno di Clouds and Clocks, e stavolta gli anni sono dodici.

Buffo ripensare - sembra ieri - al momento in cui ci venne in mente l'idea decisamente assurda di mettere su questa cosa, totalmente digiuni di qualunque nozione, ancorché minima, che potesse esserci utile nell'impresa. Dall'Italia giunsero calorosi incoraggiamenti ("Non è per niente difficile, oggi non è nemmeno necessario conoscere l'HTML"), dagli Stati Uniti numerosi consigli pratici e una lista di programmi atti allo scopo da acquistare. Una dicotomia che sulle prime non notammo, ma che ci tornò in mente molte volte negli anni a venire.

Quello che ci colpì subito fu il numero di messaggi provenienti dagli Stati Uniti, e il loro tenore. C'era chi contestava una recensione, altri che mandavano inviti ("Can you come to Austin? We'll leave your name at the door") con grande cordialità ("Hi, Beppe! Next week I'll be in Los Angeles, as one of the featured speakers at a conference about audio and recording. Tell the guys at your magazine to buy you a plane ticket, we can meet after the conference.").

In termini quantitativi, i messaggi dagli Stati Uniti erano all'incirca il 90% del totale. Dall'Italia, fatta esclusione per gli amici più stretti, quasi zero. E per motivi imperscrutabili anche il traffico dall'Italia si mantenne basso per i primi cinque o sei anni.

A quei tempi (l'era "dot.com") il panorama delle riviste su Internet era decisamente ricco. Già abbonati a Salon - giornale statunitense di politica e cultura che non aveva un corrispettivo cartaceo - seguimmo la vicenda Napster su testate quali Billboard (che sotto la guida di Timothy White aveva una forte presenza in Rete, oltre ovviamente a uno staff di prim'ordine), CNET, Slashdot, Inside e Rolling Stone.

Oggi in Rete c'è molto di più, e anche molto meno. La folla di voci è immensa - sarebbe pressoché impossibile per un piccolo sito in lingua inglese come il nostro essere notato nell'odierna Babele - ma la qualità ne ha sofferto. Il motivo è intuibile: chi è in grado di seguire validamente il processo a Napster deve possedere un buon retroterra giuridico ed essere disposto a faticare senza guardare troppo l'orologio, ergo dev'essere adeguatamente retribuito. Ma lo scoppio delle bolla "dot.com" e le dinamiche del mercato, in primis la riluttanza dei fruitori a pagare per qualcosa che possono avere gratis o quasi (un aspetto sul quale torneremo tra breve), hanno reso tutto molto più difficile.

La Rete fornisce ovviamente opportunità un tempo impossibili. Oggi un premio Nobel come Paul Krugman anima sul New York Times un blog che viene "rinfrescato" più volte al giorno, con abbondanza di grafici e link. Internet dà a Krugman la possibilità di offrire idee e fatti a una platea immensa, e il fruitore ha la possibilità di accedere a questo enorme patrimonio di conoscenza, la cui utilità pratica è fin troppo evidente, da qualunque parte del globo.

Che però il processo di allargamento della circolazione delle informazioni abbia portato a un enorme peggioramento del loro contenuto è fin troppo evidente.


La consapevolezza di un impoverimento crescente può essere entro certi termini occultata se l'impoverimento è diffuso nell'ambiente: la decisione di non procedere all'acquisto di un paio di scarpe nuove non ci esporrà a confronti imbarazzanti se la maggior parte dei soggetti che incontriamo nel nostro ambiente di riferimento ha deciso che quelle dell'anno prima "vanno ancora bene".

Il problema nasce quando una trasferta all'estero ci mette in contatto con uno standard di vita oggi per noi semplicemente irraggiungibile. E ciò vale tanto per il vestiario quanto per i trasporti, la pulizia delle città, l'organizzazione sociale e tutto quello che si può vedere a occhio nudo, a partire dalla qualità dell'informazione.

In accordo con quel processo di infantilizzazione che va avanti da anni (un aspetto sul quale torneremo tra breve) il fruitore ha deciso che "non gli interessa più" sapere da dove vengono le cose che consuma gratis o quasi. Che non è obbligatorio comprare un quotidiano in edicola se "su Internet trovo tutto", che non è necessario andare al cinema a vedere un film che dopo appena qualche mese danno su Sky ("e sai quanto mi costa l'abbonamento ogni sei mesi?").

Lasciamo da parte i discorsi sofisticati quali la differenza tra vedere tutti la stessa cosa tutti insieme allo stesso tempo, dibattito sui media incluso, e vedere tutti la stessa cosa ognuno per i fatti suoi ciascuno in tempi diversi e andiamo al sodo.

Come facciamo a sapere se c'è Ebola? Dai giornali. E i giornali? Dai loro inviati (se le loro finanze consentono loro di averne) o dalle agenzie. E chi paga i servizi delle agenzie? I giornali. E' quindi evidente che se è ancora comprensibile l'atteggiamento di chi a fronte dell'acquisto di un giornale mostra il preventivo dell'apparecchietto dei denti per il figlio - ma tutto è relativo: messi di fronte alla scelta secca tra un paio di scarpe nuove e il rinnovo dell'abbonamento al New York Times non avremmo dubbi, convinti come siamo che privo di conoscenza l'uomo si avvicina pericolosamente allo stato animale - non lo è affatto quello dei tanti appartenenti alle "professioni nobili" che navigano tranquilli per il mare di notizie in smartphone. Fattori di comodità lo impongono? Nessun problema: acquistino ogni giorno un po' di quotidiani da lasciare sulle panchine e dovunque in giro. Le belle gite non ne risentiranno.

Certo, anche se chiudessero tutte le agenzie giornalistiche del mondo ci sarebbe sempre qualcuno che ha le notizie: i militari e i governi. Ma siamo proprio sicuri che le darebbero a noi - e che ce le racconterebbero giuste?


Andando a memoria, Frank Zappa diceva: "Ho scoperto che l'elemento più diffuso nell'Universo non è l'idrogeno, ma la stupidità". Difficile dargli torto. Ma crediamo che anche lui sarebbe sorpreso dall'odierna estensione del processo di infantilizzazione del fruitore.

Se infatti è facile accorgersi che le nostre scarpe sono più vecchie di quelle portate da chi ci sta intorno, non è altrettanto facile accorgersi di quanto sono vecchie e inadeguate le nostre idee. Per l'animale che passa il tempo a brucare quello che sta sopra la testa non esiste, se non quando - pioggia, neve o sole - gli cade addosso.

Ma mentre brucare è noioso, vivere una vita di consumi non lo è.


A differenza di tanti non abbiamo mai creduto che l'abbandono da parte di Berlusconi ci avrebbe magicamente riportato al felice stato anteriore. Quel periodo ci ha invece condotto lungo un cammino in cui tutto si è banalizzato, i problemi sono stati ridotti a barzellette, la complessità è stata persa di vista, tutto si è ridotto al rifiuto o all'accettazione di qualcuno. Il nostro interessarci spasmodicamente di una persona ci ha condotti a un luogo in cui il cambiamento coincide ormai con la sostituzione di una persona con un'altra, e se questa è più giovane ha anche offerto bell'e pronto lo slogan più adatto: "rottamazione".

"Ci metto la faccia", "Mi gioco tutto", "I professoroni" trovano quale specchio giornali capaci di titolare "Via alla battaglia del Quirinale".

Facciamo un discorso facile. "I piccoli ospedali sparsi sul territorio sono antieconomici e ne abbiamo troppi, quindi vanno chiusi. L'ospedale di grandi dimensioni offre un'integrazione verticale in grado di razionalizzare la spesa." Giusto. Ovviamente "a parità di condizioni". Per esempio, il fatto che nessuno viaggi portando con sé al ritorno a casa qualcosa come la SARS. Al tempo di quel panico, e sono passati solo pochi anni, si vide che isolare un malato di quel tipo era un processo complesso e altamente intensivo, dal tipo di aereazione necessaria alla quantità enorme di personale specializzato occorrente. In quell'occasione si vide che impedire il contagio tramite condotti dell'aria avrebbe implicato un totale ripensamento delle strutture, e che forse a ben considerare avere una serie di piccoli ospedali sparsi sul territorio non era una cattiva idea se lo scopo è di tenere ben strette delle potenziali sacche di contagio. Ovviamente servono tanti soldi, e tanto personale altamente qualificato. E una volta che un ospedale chiude, cade a pezzi.

Ma i problemi moderni sono tutti "altamente complessi".


Se dovessimo tentare di racchiudere un problema "formato gigante" in una frase sceglieremmo "Non mi interessa". In maniera crescente, oggi niente più "interessa". "Non mi interessa leggere una recensione, lo ascolto e mi faccio la mia idea" è solo il microcosmo di un atteggiamento autoreferenziale che - ovviamente - non riesce più a istituire nessi causali. Poi però le conseguenze mordono.


© Beppe Colli 2014

CloudsandClocks.net | Nov. 26, 2014