13 canzoni
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di Beppe Colli
Oct. 20, 2014



"Buon ascolto!"



Donovan
Season Of The Witch


Capolavoro di "folk rock psichedelico", album-caleidoscopio di enorme influenza per tanta musica di là da venire, Sunshine Superman (1966) fece di Donovan - artista già famoso, ma soprattutto per le sue canzoni di "folk di protesta", quindi un "Dylan-light" - una celebrità e un archetipo. Se il brano che dà il titolo all'album fu l'ovvio singolo di grande successo, erano le canzoni meno immediate - quelle che con termine a nostro avviso un po' ridicolo vengono oggi definite "deep cuts" - a sprigionare un fascino più duraturo. Tra queste, Season Of The Witch, che divenne quasi subito - era il tempo in cui riprendere brani altrui era consuetudine diffusa - una sorta di "standard rock", come attestano tra l'altro le versioni fatte dai Vanilla Fudge su Renaissance (1968) e da Al Kooper con Stephen Stills sulla seconda facciata del celeberrimo Super Session (1968), mentre la versione più aderente allo spirito dell'originale pur nella sua estrema difformità fu quella cantata da Julie Discoll, qui con Brian Auger (e il suo Hammond!) and The Trinity, su Open (1967).
Aperto da chitarre a strappo, il brano vede poi l'ingresso carico di tensione di un basso elettrico che con tutta evidenza monta corde "lisce" ("flatwound"). La narrazione vede dapprima una descrizione pacata (When I look out my window/Many sights to see//And when I look in my window/So many different people to be) seguita da un allarmato salto d'ottava "valutativo" (That is strange/So strange). Indimenticabile la scena per azioni "a specchio" (When I look over my shoulder/What do you think I see//Some other cat lookin' over/His shoulder at me). Bella la vocalità di Donovan, il cui fraseggio elastico rende palese un'attenta frequentazione del "rubato" proprio del blues e del jazz.



Mike Bloomfield/Al Kooper
Stop


Album che rese ufficiale l'esistenza di un "formato", il million-seller Super Session (1968) affiancò con splendidi risultati due bei nomi del rock statunitense dell'epoca. A partire dalla sua collaborazione con il gruppo di Paul Butterfield, Mike Bloomfield fu il chitarrista blues più famoso d'America. Strumentista discreto, ma con il dono di saper inserire la frase giusta nel posto giusto, Al Kooper era diventato famosissimo per aver ideato ed eseguito la frase di organo Hammond che è parte integrante del singolo di Bob Dylan intitolato Like A Rolling Stone (1965) - e se mai ci fu un singolo in grado di cambiare le regole del gioco fu quello. (Quattro anni più tardi ritroveremo Al Kooper al piano e all'organo su You Can't Always Get What You Want, brano conclusivo del celeberrimo album dei Rolling Stones intitolato Let It Bleed.)
Un successo minore del R&B di quegli anni per la voce di Howard Tate, Stop viene qui eseguita da due "voci" inconfondibili: la Gibson Les Paul di Bloomfield e l'Hammond B3 di Kooper. Si ascolti l'attacco di organo, con il sue tipico effetto "percussion", e poi l'entrata di chitarra: qui c'è tutto Bloomfield, il vibrato nervoso, i movimenti microtonali, l'incapacità di stare fermo, il suonare "anticipato"; tecnicamente semplice ma perfetto per organizzazione formale, l'assolo di Kooper fa un uso sapiente e gustoso di vibrato e Leslie, per chiudere sulla nota più alta e poi scendere con grazia. Emozionante la coda.



Spirit
Aren't You Glad


All'epoca dei fatti era usanza discretamente comune per i gruppi rock chiudere un album - quindi: un tutto, una narrazione - con un brano lungo e ambizioso che ne costituisse il culmine, e in questo senso Aren't You Glad degli Spirit - brano conclusivo del secondo album del gruppo, The Family That Plays Together (1968) - non costituisce un'eccezione. La canzone fa splendido uso di una frase melodica pianistica che funge da "hook" e da "ponte", eseguita con la consueta eleganza da John Locke. Elastica come d'abitudine la sezione ritmica, efficace la vocalità di Jay Ferguson, esplosiva la performance chitarristica di Randy California, che alterna ai tipici momenti "flautati" (timbricamente, un Robert Fripp ante litteram) sorretti dai violini delle esplosioni caratterizzate da un espressivo uso del vibrato e da momenti al limite del feedback (è possibile sentire qua e là il suono del plettro che colpisce le corde).



Jefferson Airplane
Lather


"A che età si diventa vecchi?" è interrogativo destinato ad assumere una valenza ben precisa quando esiste un detto che recita "Non fidarti di nessuno sopra i trenta". Ma che succede quando un "giovane" varca quella soglia? E quand'è che "uno di noi" diventa "uno di loro"? E' questo il retroterra tematico di Lather, brano d'apertura di quello che per lungo tempo è stato considerato l'album più riuscito e rappresentativo dei Jefferson Airplane, Crown Of Creation (1968). Se Paul Kantner, chitarrista ritmico e cantante, fu sempre fedele all'idea di provenienza folk del "giornale in musica", e la chitarra solista (e cantante) Jorma Kaukonen compose spesso storie cupe e dal sapore di apologo che testimoniavano della sua formazione blues, fu la cantante (e "personaggio-immagine") Grace Slick a dipingere i quadri più corrosivi e intellettualmente complessi. Ne fa fede Lather.
Con bel primo piano a stagliarsi su uno scenario a grande schermo - qui la registrazione è semplicemente spettacolare - la voce della Slick assume le tinte di una ninna-nanna dolente. Che ne sarà di Lather ora che ha compiuto trent'anni? Dovrà rinunciare ai suoi giocattoli? E' venuto il tempo di trovare un posto "regolare" come i suoi amici "who'd stopped being boys?". Da antologia il contributo bassistico di Jack Casady, qui elemento di morbida tensione. Indimenticabile l'assolo di naso. Di bella e appropriata drammaticità gli inserti batteristici di Spencer Dryden. Toccante il modo in cui la Slick canta dopo una breve pausa "But that's all over". Da quasi mezzo secolo di distanza, Grace Slick ci porge un interrogativo ineludibile.



Joni Mitchell
You Turn Me On, I'm A Radio


Da qualche tempo David Geffen - il magnate dello spettacolo un tempo agente, manager e fondatore della Asylum Records - ama dichiarare che fu con spirito canzonatorio e intonazione cantilenante ("I'm a country station/I'm a little bit corny") che Joni Mitchell gli fece ascoltare You Turn Me On, I'm A Radio, a suo dire composta in seguito alle sue pressanti richieste di un brano più commerciale in grado di farla conoscere al grosso pubblico. E la storia suona perfettamente plausibile. A dispetto delle sue origini, il brano - primo grande successo della Mitchell, e unico momento "leggero" di quello splendido album che risponde al nome di For The Roses (1972) - possiede un garbo e una naturalezza poco comuni, ed è in grado di suonare fresco e accattivante ancora oggi, e forse più di ieri, ora che il pericolo della banalità derivante da una frequentazione troppo ravvicinata non sussiste.
Chitarra acustica, un'armonica a bocca (è Graham Nash) e poco altro, la voce della Mitchell nella sua veste più colloquiale, il gancio gettato ai DJ (che avranno amato non poco il brano) e alle loro "special request" con dedica, e quel caratteristico senso pittorico: "If you're lying on the beach/With the transistor going" (....) "Call me at the station/The lines are open".



Joni Mitchell
Help Me


L'album Court And Spark (1974) e i singoli Help Me e Free Man In Paris furono il punto commercialmente più alto mai (più) raggiunto da Joni Mitchell. A dispetto della sua innegabile e disinvolta carica comunicativa, l'album è lavoro di grande profondità e bella raffinatezza vocale, oltre a costituire quello che per la musicista fu allora un esperimento non esente da rischi. Rimase intatta la natura problematica delle tematiche della Mitchell. Se è ovvio che quello che più colpisce l'attenzione di chi ascolta Help Me è l'attacco - "Help me/I think I'm falling/In love again" - ben diversa da quanto ci si potrebbe attendere è la morale della storia: "We love our lovin'/But not like we love our freedom". (Una morale, va da sé, la cui valenza "pratica" è ben diversa quando la "monogamia seriale" dei ceti "sciolti da regole" diventa di massa, per tacere della condizione di "poliamore".)



Laura Nyro
Sexy Mama


Una cover di Sexy Mama - un hit R&B di tre anni prima nell'interpretazione di The Moments - fu il brano scelto da Laura Nyro per aprire Smile (1976), album che segnava il suo ritorno sulla scena dopo cinque anni di silenzio. Il brano sembra voler gettare un ponte ideale tra Smile e Gonna Take A Miracle, l'album di cover di brani R&B che fu l'ultimo lavoro pubblicato dalla Nyro prima del suo ritiro. Se la vocalità della musicista su quest'album si mantiene sempre limpida pur nei momenti più tesi e drammatici, colpisce il tono rilassato e invitante da lei scelto per questo brano. Chitarra acustica, basso elettrico e batteria - John Tropea, Will Lee e Chris Parker - con il sax di Joe Farrell a fare da coda, Sexy Mama nasconde la maestria della Nyro dietro la sua (autentica) naturalezza.



The Rolling Stones
Memory Motel


"I Rolling Stones e il sesso." Tema ampio. Una volta Mick Jagger amava rispondere che non è che quei testi li avesse scritti tutti lui e che a ogni modo erano il frutto di menti giovani, e non è che avesse tutti i torti - qui il brano classico è Under My Thumb, ed è strano che pochi si siano presi la briga di guardare sotto la fisarmonica di Backstreet Girl (a proposito: pare ormai accertato che qui il musicista è Nick DeCaro). Ovviamente non va mai dimenticato che Jagger è sempre stato pronto a sfruttare una bella controversia quando gli serviva un po' di rumore a fini pubblicitari - si veda il brano Some Girls (1978).
Memory Motel, da Black And Blue (1976), è un esempio di narrazione matura. Ambientazione country blues, Jagger al pianoforte, Richards al piano elettrico, Harvey Mandel alla solista, la pronuncia di Jagger sulle prime strofe che come al solito è una sfida a chi vorrebbe prendere il testo sul serio, e un ritratto di donna indipendente (qui l'inciso cantato da Richards - che dovrebbe averlo scritto - sembra legarsi tematicamente a Ruby Tuesday).
Lei è una musicista - "She took my guitar and she began to play/She sang a song to me/Stuck right in my brain" - e il testo della canzone che gli canta dice: "You're just a memory of a love/That used to mean so much to me". E mai come qui una narrazione semplice si presta a un'indagine complessa.



10cc
I'm Not In Love


"Ma perché non mi dici mai che mi ami?" "Perché se te lo dico sempre non vorrà dire più niente." Questo, a sentire Eric Stewart - il compositore principale del megasuccesso mondiale I'm Not In Love, tratto dall'album dei 10cc intitolato The Original Soundtrack (1975) - il nucleo tematico alla base del brano. Un brano il cui testo elenca ragioni che dimostrano ciò che a parole si vorrebbe negare. Un'aria bossa nova, e il gioco è fatto.
E invece no. Stante la collaborazione al pezzo del bassista del gruppo, Graham Gouldman, fu l'intervento dei due "artisti" della formazione, Kevin Godley e Lol Creme, a fare del brano un colossale esperimento di "avanguardia per le masse" (c'è un bell'articolo di qualche anno fa nella serie Classic Tracks del mensile Sound On Sound che illustra la cosa con dovizia di particolari). Un oceano di voci, una strumentazione scarna, e un intermezzo celeberrimo - il tempo si ferma, parte un assolo di basso, spunta una voce femminile che sussurra "Be quiet. Big boys don't cry".
Un numero enorme di rifacimenti - ovviamente inutili: l'unica versione che ha senso è quella originale di studio - e una fama che arriva ai giorni nostri (ultima occasione, la colonna sonora del film I guardiani della galassia).



Phil Manzanera
Alma


Chi vuole un esempio rapido e facile da capire sulla differenza tra "ora" e "allora" potrà ascoltare Diamond Head (1975), esordio solista di Phil Manzanera allora chitarrista dei Roxy Music, e riflettere sui commenti un po' di sufficienza rivolti a quel tempo in direzione dell'album - "buono, per carità, però...", e qui tutta una serie di distinguo. C'era più di un pizzico di snobismo - "i Roxy Music, insomma..." - che non rendeva però ciechi nei confronti dei contributi di Brian Eno e di Robert Wyatt - "lui sì che è bravo". Ma il fatto è che eravamo abituati male, se è chiaro il concetto. E quindi anche una cosa a ben vedere non poco crimsoniana per metro, voce e Mellotron (è John Wetton) come Same Time Next Week non faceva poi tutta questa grande impressione.
Brano conclusivo cantato da Bill MacCormick, che conoscevamo bene tutti quanti per essere stato parte dei Matching Mole di Robert Wyatt (i Quiet Sun non avevano mai inciso), Alma è un brano di "melodia tipicamente inglese" interpretato con grande naturalezza. Gran tappeto di chitarre, tre strofe, un inciso, e una fine "finta" che funge da ponte. Chiude un gigantesco affresco chitarristico "a muro di suono", con basso "sinfonico" suonato dallo stesso Manzanera, con un momento di grandeur tipicamente crimsoniana e una fine che più emozionante non si può.



Phil Manzanera/801
Postcard Love


Brian Eno aveva giocato una parte di grande importanza per il successo di 801 Live (1976) - l'esordio di un collettivo a geometria variabile di grande solidità strumentale. Poi Eno aveva perso interesse, e anche la maggior parte dei critici, ma per ragioni diverse: bussava il Punk. E quindi un album come Listen Now (1977) - l'apice di quello che un modo speciale di fare musica fu in grado di produrre - trovò orecchie poco disponibili. E' un album che va ascoltato come un tutto, con un'abitudine all'ascolto attento che forse si è ormai irrimediabilmente persa - il brano iniziale accoppia un testo e un'atmosfera di "sorveglianza globale" non poco orwelliana a un incedere che ricorda i Temptations prodotti da Norman Whitfield di cose come Cloud Nine e Papa Was A Rolling Stone.
Postcard Love è un'oasi di mesta e malinconica serenità in mezzo al dramma. Melodia "inglese", attacco di chitarra eccelso di Manzanera - sembra di ascoltare il solo segnale d'ambiente - pianoforte, sottolineature essenziali della batteria (è Simon Phillips), atteggiamento vocale "con sentimento" ma non retorico (e non era facile).



Phil Manzanera
Walking Through Heaven's Door


K-Scope (1978) fu l'ultima puntata di un collettivo splendido. I tempi essendo quelli che erano, i Roxy Music si riunirono, Phil Manzanera staccò la spina e chi si è visto si è visto. Formalmente meno perfetto di Listen Now, K-Scope presenta però tracce di ironia e di isteria che lo rendono lavoro dotato di senso autonomo.
Walking Through Heaven's Door è un brano ad alto contenuto di drammaticità, composto da pezzi semplici che vengono plasmati da un lavoro di registrazione e missaggio oggi semplicemente impossibile. Un viaggio via aria, con arpeggio di sintetizzatore, basso sintetico (diremmo a pedali), ricami e commenti del sax soprano (è l'ex King Crimson Mel Collins), e le voci multiple di Bill MacCormick cui pre-verb, pre-echo e l'uso dei nastri rovesciati in genere fornisce spessore. Si faccia attenzione alla pausa dopo "This is it", seguita da "Now we're here at last", dove la "N" "impossibile" di "Now" esprime la tensione che precede il momento dell'atterraggio.
Cambio di equalizzazione estremo, voci spettrali (diremmo con illuminazione rosso-giallo), la batteria di Simon Phillips in una performace da incorniciare, il basso secco di MacCormick, le chitarre di Manzanera a fare muro ("We  try to eat"/ta-ta-ta-ta-ta-ta) e 6' 58" da antologia.



News From Babel
Who Will Accuse?


Il passaggio dagli anni settanta agli anni ottanta corre parallelo a quello che porta dalla "musica difficile per molti" alla "musica difficile per pochi" (che poi per sovrammercato si vedono arrivare addosso anche le accuse di "elitismo" - e questo vale tanto per chi suona che per chi ascolta). Inizia la traversata nel deserto da cui non siamo mai usciti.
Musiche di Lindsay Cooper, testi di Chris Cutler, una strumentazione fantasiosa - i fiati della Cooper, l'arpa e la fisarmonica di Zeena Parkins - e la voce di Robert Wyatt rendono il secondo album del collettivo denominato News From Babel, Letters Home (1986), un capolavoro.
Who Will Accuse?, si chiede la voce di Wyatt. "Chi potrà accusarci se scegliamo di sognare/Di accettare un mondo già fatto/Di sederci davanti a un fuoco che ci scalda senza chiedere chi l'ha fatto o cos'è che brucia?". L'implicazione è che questa scelta non ci è data.


© Beppe Colli 2014

CloudsandClocks.net | Oct. 20, 2014