Questioni sonore
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di Beppe Colli
July 6, 2015



Forse l'evento sonoro più clamoroso, celebrato e discusso del 2003, il trentesimo anniversario della pubblicazione del celeberrimo e vendutissimo album dei Pink Floyd intitolato The Dark Side Of The Moon fu l'occasione per una rivisitazione fatalmente destinata a far discutere: una versione surround contenuta in un nuovo formato sonoro, il Super Audio CD (SACD); del tutto comprensibilmente, l'incarico di realizzare la nuova versione fu affidato a un valido e fidato collaboratore del gruppo, James Guthrie, che in numerose interviste illustrò con dovizia di particolari logica, metodo e risultati del procedimento.

Un bell'articolo/intervista fu quello a firma Ken Richardson apparso sulla rivista Sound And Vision con il titolo di Tales from the Dark Side - James Guthrie talks about his great gig in the studio remixing Pink Floyd's classic in surround. Ma la rivista fece di più: per l'occasione, Ken Richardson intervistò anche Alan Parsons, il tecnico (e produttore) che una non piccola parte aveva avuto nella buona riuscita dell'album originale (del quale aveva anche realizzato una versione quadrifonica mai utilizzata), sotto il titolo di Another Phase of the Moon - Original engineer Alan Parsons explains why the SACD mix doesn't speak to him.

Se l'intervista a Parsons è complessa e particolareggiata, a colpirci a quel tempo furono soprattutto i passi riguardanti l'inizio e la fine del disco (che spesso è proprio ciò che qualunque ascoltatore - e quindi, anche un ascoltatore qualunque - ricorda di qualcosa: l'inizio e la fine). A proposito del "battito cardiaco" posto in conclusione del lavoro, Parsons dichiarò: "Nel mix di James il battito cardiaco messo alla fine suona proprio come quello che in realtà è: una cassa di batteria. Ha un suono molto chiaro, ma credo che prima ci fosse una buona quantità di mistero e di fascino". E a proposito dell'inizio del disco: "Nel missaggio in stereo ho posizionato il battito cardiaco leggermente a destra, dato che se una persona ti è di fronte il cuore è a destra. Invece James mette il cuore proprio al centro".


Ignoriamo quale potrebbe essere oggi la quantità di interesse nei confronti di discorsi quali quelli appena citati. Siamo invece certi che il numero di riviste oggi in grado di ospitarli si è drasticamente ridotto (qui potrebbe iniziare un succulento dibattito del tipo "l'uovo o la gallina").

Avere certezza del posizionamento sonoro nel campo stereo consente innanzitutto di controllare la correttezza della disposizione delle casse su cui si ascolta, e anche - perché no - l'accuratezza del proprio udito, fattore di primaria importanza per la fiducia che nutriamo nei riguardi di coloro i quali di musica ci parlano.

(Chi scrive utilizza un effetto "circolare" che appare nel brano degli Eurythmics intitolato I Love You Like A Ball And Chain, dall'album Be Yourself Tonight. Il calpestio della ghiaia da parte dei "detenuti", la loro cantilena, e una frase melodica del sintetizzatore costituiscono un "oggetto sonoro" complesso che consente di effettuare il controllo a frequenze diverse.)

Ovviamente a qualcuno (molti?) queste cose sembreranno oziose minuzie, ed è parimenti ovvio che "l'ascoltatore medio" non ha alcun motivo per interessarsene. Però, come abbiamo già detto altre volte, qualunque ascoltatore (anche un ascoltatore qualunque? diremmo di sì, pur che attento) reagirà in un modo coerente all'intenzione di chi ha messo in opera la catena di segnale. Proprio come avviene per un libro o un film, potremo eventualmente decidere se rintracciare o meno la causazione a ritroso, in un processo non troppo diverso da quello che siamo soliti chiamare "reverse engineering".

I brevi passi prima citati sono un buon esempio del lavoro di un tecnico. Ricordiamo che è a Parsons che con tutta evidenza si deve l'uso degli "echi sincronizzati" che appaiono su The Dark Side Of The Moon. E ricordiamo le circostanze che portarono all'intervento di un produttore già affermato, Chris Thomas, in qualità di "supervisore del missaggio", e le diversità di vedute tra i componenti del gruppo rispetto al modo in cui l'album avrebbe dovuto suonare. (Chi interessato potrà fare riferimento ai brevi passaggi - alcuni dei quali decisamente esilaranti: si veda l'aria piena di disgusto con la quale Parsons pronuncia la parola "compression" - contenuti nel capitolo #8 della sezione Bonus interviews del DVD-V della serie Classic Albums intitolato The Making Of The Dark Side Of The Moon.)


Ma come suonavano i diversi strati del SACD? La questione fu allora molto discussa. Ci fu chi notò che a fronte di una resa sonora superba della sezione SACD quella a due tracce dello strato CD - lodatissima in tanti forum in Rete - suonava decisamente aspra e iper-compressa. Un'analisi attenta corredata da forme d'onda e schermate di computer - un avanzamento tecnologico, sia detto di passata, che ha consentito un ampliamento dell'aspetto empirico del discutere di musica indubbiamente benvenuto in un campo tristemente afflitto dalla piaga del "poetare" - fu effettuata sulla rivista Stereophile da John Atkinson con il titolo di Dark Side Of The Disc, con ulteriori commenti aggiunti da Jon Iverson. E se sulle prime ci fu chi pensò che il "peggioramento" della sezione CD fosse stato deliberatamente effettuato allo scopo di far meglio figurare il nuovo formato SACD, divenne poi evidente che in realtà la cosa non era che l'ennesimo episodio della "loudness war", la "guerra del volume".

Rendere minima - fino ad annullarla - la differenza tra parti "soft" e parti "loud" di un brano musicale registrato è tendenza ormai pressoché dominante, e ovviamente molto discussa. Facciamo qui riferimento a ciò che va sotto il nome di "Dynamic Range Compression" ("Compressione della dinamica"), e all'indice numerico che si accompagna alla sigla DR.

Gli ultimi episodi della storia hanno un che di paradossale, con alcuni dei concerti inediti dei Rolling Stones messi recentemente in vendita sotto forma di file in versione FLAC a sfoggiare un bel DR10 - valore più che soddisfacente, dati i tempi - che diventa un misero DR5 nella versione in CD!

Posto che le eccezioni sono sempre possibili e che le generalizzazioni espongono sempre all'errore, ci sentiamo di dire che a ogni successivo passaggio le discografie del rock che conta hanno subito un deciso peggioramento, e ciò vale per ZZ Top, King Crimson, Jethro Tull, David Bowie, Rolling Stones e via citando. (Con riferimento a questi ultimi, le ristampe in CD del 2009 vengono considerate le peggiori mai pubblicate del gruppo. E sarebbe paradossale se, come pare, la versione in CD del classico Sticky Fingers di recente pubblicata, tanto lodata per la sua brillantezza, si rivelasse essere un clone del noto "sanguina-orecchie" del 2009.)

Chi scrive si è trovato spesso in difficoltà, entrando in uno dei pochi "negozi rock" rimasti in vita, al momento di giudicare la qualità di un nuovo album proprio a causa di un suono degno di un impianto stereo bisognoso di urgente riparazione - un esempio impossibile da dimenticare è il più recente lavoro a nome St. Vincent. Per contro, ci è capitato talvolta di decidere di ascoltare un solo brano da un vecchio album e senza nemmeno accorgercene finire per riascoltarlo per intero proprio in virtù di un suono che ci invitava invece di respingerci - un recente esempio in tal senso è l'omonimo esordio solista di Steve Winwood datato 1977.


L'argomentazione portata di solito a giustificazione della "compressione della dinamica" in quantità tale da rendere l'ascolto stancante vuole "i giovani" quali ascoltatori esclusivi di cuffiette e sistemi portatili, realtà di cui sarebbe giocoforza tenere conto. Questo però non spiega la circostanza per la quale ogni CD pubblicato - anche quelli di sereno jazz acustico e di cantautori "sussurrati" - debba necessariamente suonare come proveniente da un radio malfunzionante.

E anche la questione dell'adeguamento ai fattori esterni, a ben vedere, non è poi così convincente. Facciamo alcuni passi indietro. Negli anni sessanta la stragrande maggioranza dei giradischi somigliava a ciò che in Rete troviamo sotto la sigla Dansette (l'equivalente italiano potrebbe essere la Fonovaligia della Lesa). Chi possiede l'album dei Led Zeppelin intitolato Presence avrà subito sotto gli occhi l'oggetto di cui parliamo. Eppure, anche se i brani pubblicati come singoli venivano resi brillanti e d'impatto allo scopo di favorirne la resa radiofonica, la concezione "ideale" del suono era ben altra cosa rispetto ai sistemi di riproduzione all'epoca imperanti. Da cui, gruppi e musiche che spinsero l'ascolto a vette di inventiva raffinatezza "costringendo" il pubblico ad adeguarsi (e chi a ciò dovesse opporre la registrazione dell'album dei Sex Pistols non ha ancora capito di cosa si parla).

Torniamo quindi alla solita questione: il mutare del livello di attenzione prestata agli oggetti. Un fattore ben più importante di quello che per molti sarebbe la differenza decisiva: quella intercorrente tra il "file" e il "solido".


E' possibile tracciare un interessante parallelo tra gli anni sessanta e oggi. A quel tempo ascoltare un gruppo dal vivo era un'esperienza molto più ricca e coinvolgente di ascoltarlo su disco, e ciò proprio a causa della pochezza dei "sistemi di ascolto" allora disponibili. Con il progredire tecnologico e l'adeguamento delle priorità venne poi il momento in cui l'ascolto casalingo fu più "fedele" - perché meglio "controllabile" - del caotico suono dei grandi spazi. Crediamo che oggi, comunque giustificata ("un'esperienza più autentica, che non si cancella"), la predilezione per il concerto dal vivo rifletta nuovamente la sua superiorità rispetto alle "cuffiette" dell'ascolto isolato.

Ma il tempo non è passato invano. Posto che ogni concerto rock di grandi dimensioni è sempre stato anche "un rito", pure non era esigua la fetta di pubblico che a un concerto dei Rolling Stones apprezzava gli assolo di Mick Taylor. Mentre oggi il "processo di selezione" porta ai grandi spazi "personaggi" che se sono musicisti lo sono solo per caso, e in una quantità certamente non decisiva rispetto ad altri fattori.

In parallelo, elementi ben noti. Il progresso tecnico ha contribuito all'eliminazione di quelle "impronte sonore" che tanto gusto e personalità apportavano alla musica - chi non riconosceva alla prima rullata il batterista degli Who, quello dei Led Zeppelin e quello dei Police? Chi non si rendeva conto che in Us and Them (siamo tornati a The Dark Side Of The Moon) la parola "with" ha l'eco mentre "without" non ce l'ha?


Frattanto, capita di scoprire che i primi CD - quelli degli anni ottanta - per tanto tempo tacciati di freddezza e piattezza dovevano spesso queste caratteristiche ai convertitori dei lettori. Capita quindi di trovarsi a riscoprire un CD vecchio grazie a un lettore nuovo.

Buffo anche accorgersi che non necessariamente l'album da noi messo nella "cloud" è quello che poi ci troviamo, le diverse "versioni" non essendo allo stesso modo diverse per una banca dati. E che i file "ad alta risoluzione" venduti da un sito specializzato tanto ad alta risoluzione in realtà non sono ("sono quelli che ci ha fornito la casa discografica").


Cerchiamo di giungere a un (provvisorio) punto fermo. E' a nostro avviso indubitabile che il nocciolo della questione sia da individuare nell'attenzione ondivaga e di scarsa profondità - poche le eccezioni - mostrata oggi dai più. Che tale atteggiamento non sia un'esclusiva dei più giovani è facilmente riscontrabile sol che si noti il frenetico maneggiare dei moderni apparecchi di connessione da parte degli adulti.

Ne consegue una cornice dentro la quale anche un musicista schivo come Nick Drake si trova a dover "urlare" tramite compressione allo scopo di attirare la nostra sfuggente attenzione.

Ma se questo stato di cose è estremamente nocivo nei riguardi del passato - che a causa di una dinamica "schiacciata" diventa ora "irriconoscibile" - non lo è certo meno nei confronti del futuro: se tutti gli oggetti sono "fungibili" e a ognuno di essi viene dedicata una scarsa attenzione, a che pro spendere più del minimo possibile per goderne? Da cui l'estendersi del modello "all you can eat" ad ambiti culturali un tempo non soggetti alla bulimia.

Cosa che mette seriamente in pericolo l'esistenza di tutti gli oggetti - parliamo di musica, ma il discorso si applica senza difficoltà ad altri ambiti - che necessitano di grande attenzione per essere pienamente fruiti e di una grande quantità di capitali (anche in senso implicito: per esempio, una rete di distribuzione pre-esistente) per essere messi in circolo.

Ci veniva recentemente ricordato che questi sono "gli effetti" di un processo che vede "le cause" situate nel lontano passato, e nulla potrebbe essere più vero. Il che non deve farci però dimenticare che "gli effetti" hanno il brutto vizio di tramutarsi a loro volta in "cause". E che posto che viaggiare indietro nel tempo è impossibile resta da decidere cosa è possibile fare qui e ora.

Da parte nostra diremo che - a onta di uno scenario da incubo - ci pare che esista ancora uno spazio, pur limitato, per mostrare a chi non lo sospetta neppure che qualcosa esiste. E' un compito arduo, stante che è proprio l'attenzione ondivaga a negare quella base economica tanto necessaria a "bucare" la cortina del rumore. Però ci pare di poter dire che troppo spesso l'arduo compito ci pare funzionare da ottimo pretesto per non provarci nemmeno, sì da dedicare il proprio tempo ad attività più immediatamente gratificanti.

Ci rendiamo conto che per chi si è trovato a vivere in un'epoca felice nella quale bastava accendere la radio per ascoltare nel primo pomeriggio (!) un album come Lizard far fatica nell'eventualità remota di portare un granello di cambiamento appare un'occupazione insensata. E capiamo bene che in un'epoca di fanciulleschi trastulli non è troppo difficile auto-convincersi che la semplice visione di un film dei Dardenne possa avere una valenza poco meno che rivoluzionaria.

A chi daremo la colpa?


© Beppe Colli 2015

CloudsandClocks.net | July 6, 2015