Racconti di viaggio
----------------
di Beppe Colli
Oct. 9, 2015



Una peculiare miscela di "vacanza" e "motivi di famiglia" ci fornisce l'occasione per allontanarci da casa per qualche tempo. Un lesto aereo, e domenica 13 settembre siamo a destinazione. Un paio di giorni dopo controlliamo il quotidiano locale: sappiamo già che mercoledì 16 è il giorno in cui Inside Out - il nuovo film della Pixar di cui abbiamo letto recensioni entusiastiche su numerosi giornali statunitensi - debutterà in Italia in 700 sale. La geografia dei luoghi ci mette subito in difficoltà: data un'occhiata a una mappa della città, ci accorgiamo che per coprire la distanza intercorrente tra il nostro albergo, situato in periferia (ma alla base della nostra scelta ci sono motivi logistici al di fuori del nostro controllo), e il centralissimo multisala dove vedremo Inside Out dovremo spendere all'incirca 50 euro di taxi. Che fare? Coinvolgere gli sconosciuti visti nella hall in un progetto di car-sharing? Cancellare la stanza per una notte e dormire in uno di quei loculi a basso prezzo con l'oblò come quello delle lavatrici che abbiamo visto in svariati reportage dal Giappone? Posporre la visione di un anno e recuperare il film in una di quelle arene all'aperto che consentono di vedere i successi della stagione precedente a 3 euro? Aspettare qualche giorno e acquistare un DVD-V pirata?

Il dilemma incorpora un interrogativo di grande importanza: quanto "vale" qualcosa? Cioè a dire, quanto siamo disposti a spendere?

Tempo fa, Brian Eno ricordava che nessuno si è mai aspettato che le curate edizioni d'arte stampate in piccolo numero costassero quanto i paperback dalle tirature vertiginose, mentre la nostra tacita aspettazione è che tutti gli album debbano avere lo stesso prezzo.

Da cui, un'abitudine ad attribuire lo stesso prezzo a ciascuna esperienza. E chi non troverebbe strano che per vedere Inside Out abbiamo alla fine speso ben 60 euro?

A questo punto ripensiamo all'avvenente escort vista il giorno prima in un bar del centro intenta a curare la sua agenda di incontri su uno smartphone. Quanto "valeva"? Qual è la cifra che troveremmo "plausibile"? E la "dominatrice" di m. 1,80 + tacchi incrociata prima della nostra partenza il cui bauletto dagli spigoli rinforzati ci ha quasi fratturato un gomito?

La prima proiezione - ore 18:30 - sarebbe stata l'unica in 3D. Però al momento di fare il biglietto ci dicono che ancora non si sa, che ci sono problemi con il proiettore e che dovremo cortesemente aspettare. Arriva un tipo di giovane età, poi un tecnico dai capelli bianchi, ma niente: a causa di "motivi tecnici" non vedremo il film in 3D. Che è una perfetta illustrazione: gli americani fanno un film come Inside Out e in città non c'è neppure un proiettore funzionante per vederlo in 3D.


Il film deve andare benone: pochi giorni dopo la Repubblica gli dedica due pagine. A un pezzo del tipo "ci vado con i miei figli e i loro amichetti e ve ne riferisco" se ne affianca uno più "concettoso", dove una psicologa discute se veramente i cinque personaggi-sentimenti forniscono un quadro veritiero della psiche umana.

Quello che nessuno discute è che tipo di macchina produttiva basata sulla collaborazione interpersonale è necessaria per produrre un tale livello di scrittura e di concatenazione degli eventi.

Da parte nostra, notiamo una concezione "materialistica" dell'esistenza, e una disposizione ad attribuire valore sentimentale pieno a cose per definizione transeunti. Un atteggiamento che ci pare lecito accostare a quello adottato da Richard Linklater in Boyhood, laddove la compressione degli eventi perviene allo stesso risultato per vie molto diverse.


Come spesso accade quando siamo in viaggio decidiamo di ingaglioffirci guardando un po' di televisione, cosa che non facciamo mai quando siamo a casa. Una frequentazione così poco assidua ci consente clamorose "scoperte dell'acqua calda" che i nostri amici non mancano di trovare incredibilmente comiche.

Eppure, visto il grande numero di dibattiti e discussioni sui difetti della televisione e sui possibili modi di migliorarla, non leggiamo mai niente - un tempo, Corrado Augias - a proposito di cose così:

"E adesso diamo uno sguardo al panorama PO' //
litico della giornata di ieri";

oppure:

"L'affetto dei parenti e degli amici SI  STRINGE ! //
attorno alla famiglia del ragazzo ucciso";

oppure:

"IL PRESIDENTE ! //
del Senaaaato //
Grà-sso".

Non si capisce niente. Pause "a fantasia", parole spezzettate a piacere, toni interrogativi in frasi piane, un delirio.

Lasciamo perdere il valore dei servizi, la competenza dei commenti, l'esiguità delle notizie "vere" e dei filmati.

Tutto questo è "normale"? Ma i corrispondenti dall'estero non parlano così.


Torniamo in albergo dopo qualche giorno di assenza. E' ora di pranzo, ma è domenica, ed è tutto chiuso. Rimediamo un cappuccino e un cornetto al bar della hall, e mentre sbocconcelliamo il nostro cornetto con lo sguardo rivolto al pavimento sentiamo quella che ci pare essere proprio la Northen Sky di Nick Drake - John Cale alle tastiere - provenire da uno schermo piazzato lì. Alziamo lo sguardo, e lo spot pubblicitario che ci troviamo dinnanzi agli occhi fa sì che per un momento il nostro braccio destro si allunghi a lanciare quel cornetto sbocconcellato, in una inconsapevole riproposizione della storia di Enrico Toti e della sua stampella.

Una pena immensa.

Il che ci porta dritti a quello che proveremo a definire "la scomparsa del sacro". Il lettore non pensi a nulla di religioso, né alla perplessità di vedere Northen Sky mischiata a forza a una schifezza, né alla miseria morale di chi trova che quel brano aggiunge "atmosfera".

Allo scopo di chiarire le cose ci serviremo di un piccolo esempio, anche se non riusciamo a ricordare su quale giornale abbiamo letto l'aneddoto, né chi fosse il narrante. Un musicista, comunque, una ventina d'anni fa.

Un gruppo di sessionmen era stato incaricato di sostituire per intero le parti strumentali del celeberrimo brano dei Temptations intitolato Papa Was A Rollin' Stone, lasciando le sole parti vocali intatte. Finito il turno, tutti chini, intenti a mettere in ordine strumenti, effetti, pedali e cavetti, il pensiero già rivolto al prossimo turno, le orecchie che ascoltano quello che gli stessi musicisti hanno appena suonato, a quattro minuti circa dall'inizio del pezzo dalle casse dello studio esce quella voce:

"It was the third of September
That day I'll always remember
'Cause that was the day
That my Daddy died."

Al che tutti si fermano, e guardano in alto.

A preoccuparci è quella che diremmo una crescente incapacità di percepire qualcosa che trascende lo strato superficiale dell'esistenza, da cui una serie di oggetti "fungibili" che vengono tutti definiti come "carino", "mi è piaciuto", "è bello" ma che non hanno lasciato traccia alcuna, come i tanti posti di "street food" e "bar ristorazione" che costituiscono lo sfondo del nostro esistere. Tutte le esperienze sembrano confluire in una piattezza dove il mancato esborso di danaro o l'aver pagato un prezzo vantaggioso sembrano costituire l'unico discrimine.


La nostra stanza d'albergo ci porta dell'altra televisione. Ci viene in mente che non abbiamo mai dato un'occhiata a LaEffe - crediamo sia questo il nome, è su Canale 50 - che ci dicono essere emittente di qualità. C'è un documentario dove un tipo va a esplorare Memphis e la sua cucina. Con nostra grande sorpresa spunta Iggy Pop, e si mangiano dei bei frutti di mare. Un salto in spiaggia, e il tipo di cui non sappiamo il nome  dice a Iggy Pop "Niente uccelli oggi in spiaggia!", al che il cantante risponde "Eh, purtroppo no". La cosa strana è che durante questo dialogo si vedono volare numerosi gabbiani che per stazza e apertura alare ricordano i cacciabombardieri della seconda guerra mondiale. Il dilemma è preso risolto: in una comunissima accezione colloquiale, "birds" sta per "ragazze", da cui una frase che suonerebbe pressappoco come "Niente ragazze oggi in spiaggia, eh?", che tra l'altro è decisamente più in carattere con l'immagine che abbiamo di Iggy Pop.

Click.


Come tutte le cose belle, anche la nostra vacanza giunge al termine. Scocca l'ora della partenza. Ultima cena nel ristorante dell'albergo, accendiamo la televisione in attesa dell'ora giusta. A sorpresa, spunta un brano dei tardi Pink Floyd, High Hopes, da The Division Bell. Brano non memorabile, non ascoltato da tempo, ormai archiviato tra le esperienza non indispensabili. Però qui c'è il video, che non abbiamo mai visto e che rimanda immediatamente alla cifra stilistica dello studio Hipgnosis. Meglio ancora, alla sua principale fonte creativa, il compianto Storm Thorgerson. Ci viene in mente che a differenza di Andy Warhol, che ha visto "l'arte" negli oggetti di ogni giorno  (la bottiglia di Coca Cola, la lattina di zuppa Campbell), Hipgnosis e Thorgerson hanno provato a mettere "l'arte" negli oggetti di ogni giorno, nel loro caso quei quadrati di 12" di lato che erano gli LP in vinile.

E come quelle copertine (tutte? ovviamente no, ma ci hanno provato), quel video di High Hopes che spunta in mezzo al lerciume apre una soglia verso un'altra dimensione.

Possiamo solo sperare che ci sia ancora chi sarà in grado di costruire delle soglie, e - da parte nostra - di essere mentalmente equipaggiati ad attraversarle.


© Beppe Colli 2015

CloudsandClocks.net | Oct. 9, 2015