"Gufi e Rosiconi"
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di Beppe Colli
Sept. 15, 2014



Ricordiamo distintamente lo sconcerto da noi provato (ovviamente non eravamo i soli, in Italia e nel mondo!) quella notte del 1980 in cui gli Stati Uniti elessero Ronald Reagan quale loro Presidente. "Un attore!", si disse con sconcerto, anche se la qualifica più corretta sarebbe stata quella di "ex attore" - ancora non sapevamo che "un attore" si sarebbe rivelata alla fine l'etichetta più appropriata. E quando vedemmo partire il teatrino - da "It's morning in America!" al modo in cui venne "venduto" quel gigantesco taglio delle tasse (la parodia di Mad magazine mostrava una foto di Reagan sorridente davanti a una lavagna con un fumetto che gli faceva dire "... e se sei disoccupato paghi ancora meno!") - pensammo una cosa che non ci faceva onore ma che in quel momento sentivamo essere profondamente vera: "Gli Americani sono una massa di rincoglioniti."

Chi si era dilettato di cose americane ricordava che Reagan aveva ricoperto per due mandati (1967-1975) la carica di Governatore dello Stato della California, con la frase detta al tempo dell'occupazione dell'Università di Berkeley - "Se occorre un bagno di sangue, ebbene, che bagno di sangue sia, e sbarazziamoci di questo problema" - a echeggiare nella memoria. Ma nel contempo il fatto di avere ricoperto - "da destra", e per due volte - la carica di Governatore dello Stato più "liberal" degli Stati Uniti avrebbe dovuto far riflettere su un'attitudine al pragmatismo che testimoniava quanto meno buone capacità di navigazione.

I media amavano Reagan, il cui soprannome - sui media - era "The Great Communicator". Tutto gli veniva perdonato, anche il fatto di raccontare quali episodi di vita vissuta scene belliche che poi venivano rinvenute in vecchi film. Che differenza con il suo predecessore Democratico Jimmy Carter, impiccato senza pietà alla frase "Ho tradito mia moglie molte volte nel mio cuore". I filmati d'epoca mostrano scene impareggiabili, con Reagan e signora a dirigersi verso l'elicottero presidenziale e la stampa a lanciare domande - non tutto fu sempre rose e fiori, vennero anche tempi scomodi - e Reagan sorridente a indicarsi l'orecchio a dire "non sento!", le pale dell'elicottero che gli ronzavano a pochi metri di distanza.

Venne il tempo di guadagnarsi il secondo mandato, e stavolta lo sfidante era l'agguerrito Walter Mondale. Il primo confronto diretto fu un disastro per Reagan, che si impappinò sovente, scambiò miliardi per milioni e sembrò non avere alcuna idea del senso di quello che stava dicendo. Unità di crisi, e all'inizio del secondo confronto diretto Reagan disse: "So che qui il punto cruciale è quello dell'età, ma non intendo avvantaggiarmi del fatto che il mio avversario è tanto giovane e inesperto." Risate generali, anche di Mondale (che lasciò il podio per andare a stringergli la mano), e a quel punto era fatta: "Landslide!", titolarono i giornali.

Reagan inaugurò il primo mandato alla grande, con la vicenda dello sciopero dei controllori di volo - più di 11.000 licenziati in tronco (un episodio che qui in Italia qualcuno lesse in chiave "decisionista") - a dare il segnale che con i sindacati non era più necessario venire a patti, e il gigantesco taglio delle tasse a mostrare quello che un tempo si sarebbe comunemente chiamato "il carattere di classe" della sua Amministrazione.

La riforma fiscale che diede il via a quel taglio era basata su un modello matematico detto "Curva di Laffer", dal nome del suo ideatore (che impressione vedere Arthur Laffer intervistato con sussiego pochi giorni fa su la Repubblica a dare consigli, come se i decenni di ridicolo sparsi a piene mani su quest'uomo non fossero mai esistiti). Di detto modello era subito stata mostrata l'inconsistenza empirica - il compianto Martin Gardner lo sbeffeggiò sulla rivista statunitense Scientific American ideando un costrutto assurdo da lui denominato "neo-Laffer curve" - quindi chi aveva occhi per vedere non fu sorpreso quando concetti quali "trickle-down economy" e "supply-side economy" fallirono miseramente la prova dei fatti.

Eppure, a chiedere oggi di Reagan viene ricordato "il taglio delle tasse" e "la ripresa economica". Oggi che esiste Internet è decisamente agevole controllare che Reagan aumentò le tasse per sette anni su otto, e che la sua ripresa fu basata su un concetto tipicamente keynesiano: un aumento gigantesco della spesa pubblica in funzione anti-ciclica, in questo caso una gigantesca corsa agli armamenti (la Strategic Defense Initiative, detta colloquialmente "Star Wars" - e volete che i media non l'amassero?) a rimettere in moto l'economia.


Piccola e necessaria postilla. Esistono idee che hanno fallito miseramente la prova dei fatti, e ripetutamente. Dovrebbero essere morte, invece camminano ancora - "idee zombie". Eppure queste idee vengono comunemente discusse e prese in considerazione come se niente fosse. E' ovvio che una parte politica che trarrebbe vantaggio dall'applicazione di dette idee ha tutto l'interesse a far finta di niente. Ma i media? Vediamo qui la sommatoria di due fattori: l'ignoranza dei giornalisti, chiamati a trattare cose che con tutta evidenza non comprendono, e l'assurda pretesa che vuole le idee avere tutte pari dignità, con effetti che dovrebbero essere percepiti come assurdi - "La parola va adesso ai sostenitori della Terra Piatta" - ma che invece non lo sono: "Fatte le riforme, verrà la ripresa", detto così, con senso "a piacere".

Capitolo a parte, le innovazioni introdotte con leggerezza a causa di un evento contingente - per esempio la necessità di risultare maggiormente credibili a una parte politica (nazionale o estera) - ma destinate a produrre effetti disastrosi su un orizzonte temporale lunghissimo. Qui un buon esempio recente è "Ci impegniamo a introdurre il pareggio di bilancio nella Costituzione", detto con sussiego da qualcuno che non ha la minima idea delle possibili conseguenze di questa decisione per un Paese inserito in un una cornice normativa europea.


Ricordiamo perfettamente il nostro stupore nel constatare che l'annuncio secco ascoltato in radio - "Gli Stati Uniti hanno annunciato il loro abbandono della convertibilità dollaro-oro" - non aveva per noi alcun senso: era il 15 agosto del 1971, ci trovavamo in campagna a trascorrere le vacanze estive. Impiegammo mesi a cercare di capire il senso di quella notizia. Non fu per niente facile. Niente lo è davvero, ma a quel tempo i giornali erano molto diversi, come pure la percezione dei fatti.

Per semplificare, e sintetizzare un tragitto complesso, oggi le decisioni economiche - dei mercati, e dei soggetti istituzionali - sono "fatti" dei quali il pubblico è messo continuamente a conoscenza. Va da sé che il pubblico non ha pressoché nessuna capacità di capire quello che viene comunicato, e ancor meno le sue implicazioni. Lo stesso ci pare di poter dire della stragrande maggioranza delle persone che scrivono professionalmente di economia, come testimoniato dal frequente ricorso ad argomentazioni circolari. Stendiamo un velo pietoso sui frequenti "cambiamenti di rotta" nel tentare di spiegare gli eventi. Questo è molto diverso dall'aggiustare il tiro tipico degli economisti onesti, che tendono a perfezionare alla luce dei fatti una modellistica chiaramente esplicitata.

Un esempio molto recente è dato da "La Spagna e le riforme", testatina sotto la quale si tende a dire che "la ripresa recente della Spagna è frutto del suo aver già fatto le riforme", l'ovvio corollario essendo che se anche l'Italia le facesse... eccetera eccetera. (Si noti: "le riforme".)

In realtà l'argomento di come i Paesi "mediterranei" possano tirarsi fuori della crisi - importante: stante la non volontà della Germania di fare da volano aumentando il proprio tasso di inflazione - è stato sviscerato da anni. Per quanto riguarda la Spagna - ripetiamo: stante la costrizione di cui sopra, e quelle che riguardano il rifiuto della BCE come "prestatore di ultima istanza" - il rimedio sta in una "svalutazione interna" ("internal devaluation") che abbassi il costo del lavoro. Tempo fa l'economista statunitense Paul Krugman aveva stimato sul suo blog questo aggiustamento come nell'ordine del 20%, correggendo poi in direzione del 30%. Questa "internal devaluation" dovrebbe quindi rendere le merci spagnole più competitive all'interno dell'area della moneta comune euro.

(Detto tra parentesi, è stupefacente che l'argomento "conseguenze dell'indipendenza politica in un Paese che continua a possedere una moneta "non più sua" (la sterlina), con conseguente perdita di sovranità finanziaria" - argomento che le recenti vicende dell'euro hanno dimostrato essere di primaria importanza - sia stato quasi del tutto ignorato nel dibattito sull'indipendenza della Scozia.)

Per motivi a noi ignoti, il dibattito recente sembra essersi inchiodato sulla desiderabilità di una maggiore inflazione nell'area dell'euro (stimata intorno al 1.5%) e di un suo "calo pilotato" nei confronti del dollaro (se ben ricordiamo, da 1.30 a 1.20). Ma questo "vantaggio" verrebbe goduto da tutte le nazioni che fanno parte dell'area dell'euro e che esportano negli Stati Uniti, Germania inclusa!

A ciò collegata, la simulazione che - in caso di disintegrazione dell'area dell'euro come è oggi - vuole una gran massa di capitali affluire sul (rinato) marco, il cui apprezzamento metterebbe in grave pericolo le esportazioni tedesche. Da cui la conclusione che tenendo con la propria debolezza l'euro basso i "paesi straccioni" aiutano la Germania (Philip Dick avrebbe tratto grandi storie da questa tragedia).


Il lettore sarà a questo punto sicuramente frustrato, e non è che questo sentimento non sia condiviso da chi scrive.

La realtà è però brutale: di recente abbiamo già visto spuntare, buttata lì come se niente fosse, l'espressione "secular stagnation" (fortunatamente basta andare su Wikipedia: "Secular stagnation and the Great Recession of 2008-2009" e "Stagnation and the Financial Explosion: The 1980s", tenendo a portata di mano una manciata di pillole per il mal di testa), e in breve tempo il nome di Thomas Picketty diverrà di grande notorietà (il libro è già tradotto).

In tempi non lontanissimi i "corpi intermedi" offrivano le loro "versioni della realtà". Scomparsi i partiti, si vota "la persona".

Qui dobbiamo dire della nostra incredulità nel vedere qualcuno eletto sulla base di un progetto di "rottamazione". Come progetto politico è tutt'altro che ingenuo, come consegue dal fatto che la promessa eliminazione dei # 1 coalizza in proprio favore i # 2 e i # 3. Ma poi?

Come s'è visto, la Curva di Laffer era una panzana che funzionava da "semplificatore" concettuale. La realtà era un'altra, come le decisioni prese dall'Amministrazione Reagan hanno poi mostrato.

Notiamo con preoccupazione l'aumentare dell'indifferenza degli spettatori per le notizie che giungono dagli schermi - e far giungere notizie "grezze" e sostanzialmente "incomprensibili" in gran quantità è il modo migliore di provocare una dolorosa disaffezione (non che i media lo facciano apposta: giocano).

Non sarà una partita indolore.


© Beppe Colli 2014

CloudsandClocks.net | Sept. 15, 2014