Nuovi
Pensieri dalla spiaggia

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di Beppe Colli
Aug. 17, 2010



Per tutta una serie di ragioni semi-casuali - brandelli di conversazione che ci giungono dai nostri vicini di ombrellone, titoli sbirciati su giornali sparsi in giro per la spiaggia, qualche articolo da noi letto - ci ritroviamo a pensare a un film di Woody Allen di una ventina d'anni fa, Husbands And Wives (titolo italiano: Mariti e mogli), in particolare a una scena cruciale per la narrazione e che qui necessita di un minimo di retroterra.

Il personaggio interpretato da Sidney Pollack (la cui professione non riusciamo a ricordare con esattezza, ma che diremmo essere quella di avvocato o di professore universitario) si è da poco separato (come vedremo, temporaneamente) dalla moglie; la sua nuova fiamma è una ragazza decisamente più giovane: Sam, di professione "aerobics trainer". Incontrandoli insieme, il personaggio interpretato da Woody Allen non può fare a meno di manifestare tutta la sua perplessità riguardo al quoziente intellettivo e culturale della nuova partner del suo amico, da lui definita "una sciampista" (ma in lingua originale l'espressione scelta è quella di "cocktail waitress").

Scena cruciale: a un party di amici di Pollack, la ragazza (disgraziatamente) sostiene con veemenza le ragioni dell'astrologia, compatibilità dei segni e aumento dei delitti quando c'è la luna piena inclusi. Il tocco da maestro è dato dallo stupore da lei espresso quando si accorge che "gente così colta non conosce cose tanto elementari che chiunque sa essere vere". Operiamo qui un "fermo immagine".

Arrivati a questo punto una domanda ci giunge spontanea: cosa pensa lo spettatore (e adesso, il lettore) del divario di saperi esistente tra l'insegnante di aerobica e gli amici di Pollack? Più precisamente (e dando per scontato che dovremo operare un minimo di tara, dato che la funzione narrativa adoperata da Allen organizza qui il materiale in modo tale che la simpatia dello spettatore - anche in vista degli sviluppi immediatamente successivi dell'azione - vada alla ragazza): è il suo un "sapere di natura inferiore", cioè a dire, un "non sapere"? o si tratta di due diversi tipi di saperi, "incommensurabili", ognuno dei quali per sé valido per chi lo professa?

Persiste (e si allarga) la vecchia dicotomia. Da un lato, tutto quello di cui disponiamo nel mondo (il farmaco che ci guarisce, la camicia che ci veste, l'aereo che ci porta in vacanza) è frutto del sapere scientifico e delle sue applicazioni tecniche. Però, com'è noto, il mondo descritto dalla scienza non è un mondo "ospitale e a misura d'uomo". Conseguenza: tanto più la nostra vita diventa prospera per effetto della scienza, tanto più in tanti sentono il bisogno di ricorrere a saperi "altri" di natura "non logica".

Cosa che, ragionando sociologicamente, potremmo dire avere conseguenze estremamente positive quali, per esempio, l'evitare nevrosi isteriche e suicidi di massa. Accanto alla nostra "simpatia" per chi crede nella macrobiotica dobbiamo però collocare le inevitabili conseguenze del fatto, qualora diffuso. In primis, il prosperare di una "industria della credenza" dagli intenti e motivazioni di gran lunga meno innocenti di quelli dei suoi clienti.


Tra un tuffo e l'altro ci capita di conversare via cellulare con un amico. Ci ritroviamo a discutere del recente album di Diane Birch, Bible Belt, da ambedue molto apprezzato.


Ci si trova perfettamente d'accordo nel dire che l'album suona decisamente fresco e frizzante, e ciò a dispetto dell'ampio uso di elementi stilistico-sonori già ampiamente noti; cosa che lo rende esemplare ancor più raro nell'odierno panorama discografico. Minore l'accordo sul modo di portare il tempo della batterista Cindy Blackman, al cui "anticipato" il nostro amico avrebbe preferito un approccio più "rilassato".

L'esempio, che qui facciamo a bella posta, sembrerebbe dare ragione a quanti professano la ineliminabile presenza di "punti di vista" di impossibile decidibilità e, quindi, della "moltitudine di pareri equivalenti". Il lettore attento noterà però che i due "pareri" vertono su un "fatto": che la Blackman "anticipa". E questo è un fatto "neutro" e facilissimo da appurare: basta un metronomo.

Esiste ovviamente l'aspetto del gusto. Ma prima resta ancora da valutare il rapporto tra "anticipato" batteristico e narrazione. E qui ci viene subito in mente un vecchio articolo che ci ripromettiamo di cercare una volta tornati a casa.

L'articolo in questione concerne il rapporto tra il tempo "metronomico" di un brano e il modo concreto in cui un batterista imposta il proprio "groove". E dopo una breve ricerca troviamo quanto stavamo cercando su un vecchio numero del mensile statunitense Musician (per chi fosse interessato, si tratta del Musician no.128, datato June 1989).


Il titolo dell'articolo è: Michael Blair: Time (occhiello: A noted drummer reflects on how important it is where your beat is placed).

Blair opera una lesta tripartizione tra le nozioni di tempo "ritardato", "giusto" e "anticipato" (ma si veda la denominazione in lingua originale, qui sotto), mostrandone i legami con la struttura "narrativa" del brano ai fini della sua buona riuscita.

Riportiamo qui di seguito gli esempi scelti da Blair, che li commenta per esteso,  invitando il lettore, se può, a leggere l'articolo per intero (la Rete è grande).


Behind the Beat

Song: One Love Stand from The Last Record Album (Little Feat, 1975)
Drummer: Ritchie Hayward

Song: Chewing Gum from Spike (Elvis Costello, 1989)
Drummer: Willie Green


On the Beat

Song: If I Fell from A Hard Day's Night (The Beatles, 1964)
Drummer: Ringo Starr

Song: Fast Car from Tracy Chapman (Tracy Chapman, 1988)
Drummer: Denny Fongheiser


Ahead of the Beat

Song: Take It As It Comes from The Doors (The Doors, 1967)
Drummer: John Densmore

Song: I'm Gonna Love You, Too from Parallel Lines (Blondie, 1978)
Drummer: Clem Burke

(Qui un pensiero va doverosamente a Ritchie Hayward, scomparso proprio mentre scrivevamo questo pezzo.)


Come spesso ci capita quando cerchiamo un articolo su una vecchia rivista, ci ritroviamo intenti a rileggere questo e quello. Speriamo che la riproduzione della copertina del numero in questione, qui sotto, sia graficamente bastevole a mostrare l'ampiezza degli interessi di questa rivista (per Mingus si trattava di ampi stralci da una sua intervista inedita del 1976, mentre tra i batteristi annunciati nel pezzo con il titolo in basso a destra c'erano anche Jim Keltner e Pheeroan akLaff).


Per quasi un quindicennio (tutti gli anni ottanta e i primi novanta) il mensile Musician è stato l'esempio perfetto di rivista in grado di coniugare ampiezza e profondità dell'informazione con bilanci in attivo e una tiratura che, se ben ricordiamo, in ragione dei diversi tempi e circostanze ha oscillato tra le 150.000 e le 250.000 copie (Musician era distribuito in edicola).

La remunerazione adeguata di articoli (e recensioni) come quelli presupponeva però due cose: a) un alto afflusso di introiti pubblicitari (ovviamente case discografiche, ma anche aziende che producevano strumenti, amplificazioni e affini); b) un pubblico di buona scolarizzazione e grande passione interessato all'informazione approfondita (di qualsivoglia natura), cosa che richiedeva - qualora necessario e appropriato - stroncature feroci che è logico supporre estremamente rischiose proprio sotto il profilo degli introiti pubblicitari.

Che fine abbia fatto l'industria è cosa nota. Ma quello che oggi appare letteralmente evaporato è quel pubblico, e con esso durata e tipo di attenzione. L'ascoltatore di cui una rivista come Musician forzatamente necessita è molto attento e selettivo; nella maggior parte dei casi forse privo di quella conoscenza "esatta" necessaria a individuare cause e implicazioni di un qualcosa (per rimanere all'esempio di cui sopra, un "anticipato" batteristico e il suo effetto sulla canzone ascoltata) che però "a pelle" è stato senz'altro in grado di notare.


Arrivati a questo punto non resta che allacciare le cinture.


© Beppe Colli 2010

CloudsandClocks.net | Aug. 17, 2010