Undici anni
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di Beppe Colli
Nov. 26, 2013



Oggi Clouds and Clocks compie undici anni! (Esplode un applauso scrosciante.)

Come al solito, approfittiamo di questa ricorrenza per cercare di fare il punto sullo stato delle cose. Rileggendo quanto da noi scritto in occasione del decimo compleanno del nostro giornalino in Rete ci accorgiamo di non aver molto da aggiungere. Temendo di annoiare troppo dicendo sempre le stesse cose - ma se tutti ne fossimo ugualmente consapevoli non ci sarebbe bisogno di ripeterle di continuo, non è vero? - invitiamo i nuovi arrivati a rileggere quel pezzo.


Che le vendite di musica registrata vadano male l'abbiamo capito da un bel po'. Ma quanto male, esattamente?

Il mese scorso la stampa ha riportato cifre che ci sembrano indicative: il nuovo album di Katy Perry occupava il primo posto nella classifica statunitense con 300.000 copie vendute, e se siano poche o molte è cosa che ognuno deciderà da sé; il fatto interessante è che le vendite cumulative dei sette album a seguire non raggiungevano quella cifra; detto altrimenti, le vendite totali dei primi otto titoli nella classifica statunitense degli album più venduti erano inferiori a 600.000 copie. Un dato che ci sembra parlare chiaro.

A volte una frase riesce a sintetizzare un panorama complesso, e a nostro parere ciò vale per quanto scritto da Pete Paphides sul blog musicale del quotidiano The Guardian in data 17 October 2013 in un intervento che porta il titolo di "Want to get Daft Punk's Get Lucky? Give the vinyl a few more spins on the turntable." La frase è questa: "Spotify non fa altro che rendere evidente su larga scala il declino di quanto le persone sono disposte a spendere per la musica." (ovviamente Pete Paphides non l'ha scritta in italiano: l'abbiamo tradotta noi per chi non sa l'inglese; questa è la frase originale: "Spotify merely formalises on a global scale the decline in how much people are prepared to pay for music.").

Ma crediamo che per completare il quadro sia necessario un fattore aggiuntivo: la crisi che ormai da molti anni affligge una larga parte del mondo occidentale; non si tratta di una generica “mancanza di soldi” ma del peso che una crisi crescente impone a coloro i quali - i "boomer" e i loro epigoni - erano soliti considerare l'acquisto quale parte integrale del consumo.

Ed è questo, a parere di chi scrive, il fatto che rende ancora peggiore lo stato di salute di quella musica "difficile" e perciò forzatamente "adulta" che ci sta maggiormente a cuore.


Vendite e pubblicità in calo non possono non riverberarsi pesantemente sullo stato di salute dei giornali che trattano di musica. E qui diremmo che uno sguardo veloce a questo campo di macerie può bastare.

Se la Rete è il panorama di orrori che ci aspetteremmo, non va meglio per la stampa, ché l'assenza di retribuzione vale per questa come per quella.

Se l'impiego massivo di manovalanza giovanile semianalfabeta produce i risultati attesi - che potrebbero anche essere comici, soprattutto per la disinvoltura con cui vengono maneggiati termini di riferimento che con tutta evidenza non hanno senso alcuno - ci sembra evidente il tedio inenarrabile che traspare dalla prosa di individui cresciutelli ormai a corto di motivazioni plausibili.

Se l'esistenza di un mensile come Mojo ci pare ancora giustificabile, ci sfugge il motivo per cui non poche testate fanno ricorso a "lenzuoloni" la cui principale attrattiva è data da collezioni di fatti che sono a portata di qualunque mouse.

E' ovvio che è di più critica che abbiamo bisogno, ma la critica ha un costo elevato in termini di tempo, necessitando di un punto di vista derivante da una grande familiarità con i materiali trattati.


Di recente ci è capitato di leggere in Rete una discussione molto articolata che riguardava le versioni mono e stereo del brano dei Beatles intitolato She's Leaving Home, contenuto nel celebre album Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band. Un dibattito che abbiamo letto con ovvio interesse, essendo la nostra conoscenza degli album dei Beatles limitata alle sole versioni stereo.

Sintetizzando, il punto cruciale è che la versione mono è più veloce di quella stereo (per essere chiari al massimo grado: l'esecuzione è la stessa, è il nastro che viene fatto scorrere a velocità maggiore). Ovviamente questo non è un fatto insolito per i tempi - mille esempi sullo stesso album, con particolare attenzione a quella When I'm Sixty-Four dove l'accelerazione della voce dà a Paul McCartney un'aria più "giovanile", rendendo il suo interrogativo più "credibile". La conclusione del dibattito è che la versione mono è più veloce, ma quella stereo è rallentata (ovviamente rispetto a una tonalità "naturale" di voce e strumenti, un "grado zero" dell'esecuzione).

L'aspetto della discussione che più ci interessa non è però qui quello tecnico. Il punto è nella diversa percezione che le due velocizzazioni offrono all'ascoltatore. Seguendo la discussione, la versione stereo, più lenta, risulta più "malinconica", e quindi maggiormente "pessimista" sull'esito della storia: forse la ragazza non troverà nessuno al luogo convenuto dell'appuntamento; più lieve e "ottimistica" la versione "accelerata" mono: tutto andrà bene, l'appuntamento andrà a buon fine.

Quello che qui intendiamo sottolineare è l'attenzione e la capacità di lettura dimostrate dall'ascoltatore, in grado di derivare un "senso" da un "suono".


Quanto è comune oggi questo atteggiamento? Qui ognuno dovrà trarre da sé le proprie conclusioni.

Ci siamo trovati a riflettere su questo durante un lavoro di messa a punto del bilanciamento del braccio del nostro giradischi allo scopo di ottimizzare il suono della nostra nuova testina. Dando per scontato l'aspetto più propriamente "tecnico" di taratura, bilanciamento, eccetera, per nulla interessante, il punto sta nella comparazione dello stesso brano in momenti diversi - riusciamo a percepire quell'effetto vibrato conseguente al corretto bilanciamento dei due canali?


Un'occhiata al forum di Steve Hoffman, giusto qualche sera fa, ci ha reso possibile leggere una discussione su qualcosa che ci era venuto in mente proprio in questi giorni, quando la notizia della pubblicazione di una versione di Benefit dei Jethro Tull rimissata da Steven Wilson ci aveva riportato ai giorni in cui l'ascolto di musica avveniva spesso con modalità collettive. (Un fenomeno un tempo decisamente comune che molti oggi non riescono neppure a credere che sia mai esistito.)

La domanda era: "Vengono ancora amici a casa tua ad ascoltare musica?" (Ovviamente in inglese: "Do you still have friends come over to listen to music?").

Questo è in larga parte un fenomeno connotato in senso generazionale, da cui il panorama di risposte che ci aspetteremmo.

La parte che a nostro avviso risultava più interessante era però quella concernente il livello di attenzione: "Non più, da molto tempo; la maggior parte della gente che conosco non riesce a passare più di due minuti senza guardare uno schermo (Phone, TV, iPad). Metto un po' di musica, ma a parte me per tutti gli altri è solo un sottofondo.". E ancora: "Non conosco nessuno che riesce a stare seduto e a prestare attenzione a una cosa sola per cinque minuti."

Benvenuti nel futuro.


© Beppe Colli 2013

CloudsandClocks.net | Nov. 26, 2013