Curmudgeon, Moi?
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di Beppe Colli
Jan. 12, 2014



Come spesso accade, anche stavolta il periodo di vacanze che abbraccia la fine di un anno e l'inizio del successivo ci ha fornito la cornice appropriata per un dialogo a distanza con musicisti e "cultori dei media". L'obbiettivo è il solito: tentare di capire dove va la barca. Se poi la rotta e la destinazione non fossero di nostro gusto è sempre possibile scendere.

Come al solito, anche quest'anno c'è chi ci ha affettuosamente rimproverato il nostro atteggiamento di natura "apocalittica" (ricordiamo ancora l'antica promessa dell'invio di una t-shirt con la scritta "Dour Power!"). Un atteggiamento che stavolta ci ha meritato l'appellativo di "curmudgeon" - una parola che ci trovammo a cercare nel dizionario tanto tempo fa, quando nel corso di un'intervista Frank Zappa disse (andiamo a memoria) "I hate to sound like an old curmudgeon, but...". E in effetti crediamo che a nessuno faccia piacere interpretare la parte del vecchio brontolone.

Proviamo allora a cercare degli esempi positivi.


Per chi scrive la "success story" del 2013 è senz'altro quella che vede protagonista il trio di "complex instrumental music" denominato The Aristocrats. E anche se il nostro giudizio a proposito del secondo album del gruppo, Culture Clash, è stato tutt'altro che positivo (ma ci corre l'obbligo di aggiungere che la nostra opinione in merito è decisamente minoritaria), va detto che se paragonata a quanto si sente in giro - una cornice fattuale che un musicista che ragiona in termini realistici è ovviamente obbligato a prendere in considerazione - la musica degli Aristocrats è di gran lunga più complessa e varia di quanto un calcolo prudenziale riterrebbe saggio.

Va da sé che al pari di ogni successo istantaneo anche quello degli Aristocrats viene da lontano, Bryan Beller, Guthrie Govan e Marco Minneman essendo apparsi sulla copertina di Bass Player, Guitar Player e Modern Drummer ben prima che il trio esplodesse. E dato che si suppone che una "cover story" rappresenti il riconoscimento del raggiungimento di un risultato ma anche un modo per attirare lettori è giocoforza dedurre che il cammino dei tre godesse già di un buon riscontro.

Per limitarci alle penultime puntate faremo riferimento all'apprezzato album di Steven Wilson intitolato The Raven That Refused To Sing And Other Stories e al successivo tour, che hanno visto la partecipazione di Govan e Minneman, e al lunghissimo tour di Joe Satriani, che ha visto Beller e Minneman fungere da sezione ritmica del quartetto.

Proprio in questi giorni parte il nuovo tour degli Aristocrats, la cui durata prevista è di tre mesi. Mentre già si dice di un tour di Satriani a giugno e luglio.

Chi scrive ha avuto modo di vedere il trio in concerto e di poter cogliere con mano la durezza dello sforzo. Concerto, la sera precedente, a un orario impossibile, poco sonno, volo, tragitto in auto, subito una "clinic" per Govan, jogging ("ten minutes") per Beller, sound-check, cena e concerto, per una musica che necessita imprescindibilmente di un controllo muscolare perfetto.

Dopo il concerto, un "momento per i fan" di durata che ci è parsa essere interminabile, con foto, autografi, battute, banchetto della vendita di CD e DVD, tutto affrontato con buon umore e discreta verve nonostante la sveglia per l'indomani fosse prevista di buon'ora (e poi auto e volo). C'è poi la presenza in Rete, il dialogo serrato su Facebook, il postare video con spezzoni di concerti appena fatti, i twitter e tutto quello che oggi un normale fan considera normale.

A questo punto il lettore è in grado di capire da sé che oggi il normale stato delle cose "seleziona" in maniera decisa tipi specifici di esemplari umani. C'è ovviamente da considerare la predisposizione personale - Scott Chatfield creò la presenza su Internet di Mike Keneally in un tempo in cui, il 1993, quasi nessuno sapeva ancora dell'esistenza di una cosa chiamata Internet, e lì Beller cominciò a tenere un blog, The Life Of Bryan, quando la parola blog era ancora in attesa di essere coniata.

Ma se l'esistenza delle case discografiche che si occupavano di tutto rendeva possibile l'esistenza di "misfits" quali Nick Drake, la loro scomparsa crea per i musicisti degli obblighi aggiuntivi che mai sarebbero stati considerati parte integrante della professione di musicista. Mentre rende obbligatorie attività che oggi si danno per scontate, dal mostrare la presenza di un seguito su cui costruire tramite le sottoscrizioni su Kickstarter all'essere pronti a sottrarre ore preziose al sonno e allo studio dello strumento per dedicarle al dialogo con i fan.

Tocca ai musicisti adesso imparare a sfruttare al meglio i sistemi di registrazione basati su computer, i modi migliori di mettere la musica in Rete, il sistema di compensazione che meno li possa danneggiare, l'opportunità di seguire in proprio una produzione aggiuntiva in vinile a tiratura limitata che possa costituire una preziosa fonte di finanziamento oltre che un elemento di fidelizzazione per i fan più accesi, il modo migliore di sfruttare la pausa forzata derivante dall'annullamento di un tour e così via.

A fronte di tutto ciò, di recente un musicista "in opposition" lamentava l'assenza di sovvenzioni e finanziamenti pubblici quali quelli già esistenti per la musica classica e il jazz, da lui visti come il modo ottimale per far quadrare i (propri) bilanci. Complimenti!


Come per tutte le belle storie che contemplano l'esistenza di un mistero e la ricerca della sua soluzione, anche quella che stiamo raccontando vede la scoperta di un colpevole inatteso.

Se ci interroghiamo sullo stato di salute della musica - la stessa cornice può fungere da spiegazione adeguata anche per altre arti - uno dei problemi insormontabili è costituito dall'enorme massa degli oggetti di cui è possibile fruire. E' ovviamente necessario specificare alcune condizioni aggiuntive, in primis il fatto che - a differenza di quella che concerne il cibo - la bulimia culturale non provoca alcun senso di sazietà o di nausea. Non dimenticando ovviamente il mutare delle norme sociali che concernono "l'appropriazione indebita" un tempo detta "furto" e il conseguente deprezzamento monetario di quanto non è sinonimo di status. Tenendo presente quel progresso tecnico che ci consente di poter fruire di quantità enormi di dati in modo "trasparente".

Sappiamo bene che la gran parte dei media oggi sul mercato offre materiale di qualità scadente - che è il primo motivo del nostro rifiuto e della scarsa considerazione in cui li teniamo. Però di tanto in tanto non sarebbe male interrogarsi sull'impiego del proprio tempo, e soprattutto del proprio atteggiamento nei confronti di quello che costa tempo e fatica. Per dirla in soldoni, in termini di massa tra un articolo sui bosoni e uno sulla mucca a due teste non c'è partita.

Resta da vedere se l'allargarsi senza sosta (e senza limiti "naturali") della sfera ludica non stia espellendo - perché fonte di fatica - la fruizione della qualità senza che se ne abbia piena coscienza. Sfera ludica che a differenza del passato non si caratterizza più per la sua "leggerezza", ma per il suo carattere di "necessità". Piscina, palestra e danza per i figli, jogging per noi, il ruolo di "autista" così che i figli possano praticare le suddette attività, la progressiva attenuazione del confine che separa la cosmesi dalla chirurgia, l'ampliarsi della tavolozza dei passatempi corporali considerati leciti e desiderabili, la quantità di luoghi visitati come sinonimo di curiosità e vivacità culturale, l'attenzione per le diete come rispettose del pianeta accompagnata all'aumentare della cilindrata delle autovetture. Tutte attività per le quali siamo disposti a spendere "il giusto".


Come il lettore ricorderà, di tanto in tanto ci è capitato di fare riferimento a un blog denominato ARTicles, che come trasparentemente dimostrato dal nome tratta di arte. Il blog è  un'emanazione del National Arts Journalism Program, associazione statunitense che comprende circa cinquecento giornalisti. Oltre a offrire contributi inediti scritti appositamente per quella sede, il blog offriva ogni settimana una lista completa di link di tutti gli articoli scritti da propri aderenti che nel corso di quella settimana erano apparsi su quotidiani e periodici quali il New York Times, il Washington Post, il Village Voice, l'L.A. Times, Variety, NPR, e tutta una serie di testate prestigiose il cui nome al momento non ricordiamo. Era una lista preziosa, che dischiudeva un mondo dove architettura, pittura, scultura, musica, cinema, teatro e quant'altro coesistevano in armonia.

Però l'ultima lista, presentata come di consueto da Laura Collins-Hughes, è ancora quella datata December 10, 2012. Mentre l'ultimo intervento - programmaticamente intitolato Last Post - è quello di Wendy Lesser datato November 21, 2012, che fa seguito allo scritto della stessa Lesser intitolato A Call to Arms, or a Cry for Help, dove in data November, 18 la Lesser aveva detto di una situazione dove in mancanza di aiuto su base volontaria da parte di uno o più dei ventotto partecipanti potenziali il blog avrebbe chiuso - cosa che poi è effettivamente avvenuta, e che resta vera al momento in cui scriviamo.

"Perché ha importanza se questo blog vive o muore? Beh, non ritengo di aver bisogno di dire a voi quale sia oggi lo stato delle arti in America. Il pessimo stato dell'economia e il mondo digitale hanno reso le cose molto difficili per l'arte fruita dal vivo - l'arte che richiede un contatto diretto tra il fruitore e l'oggetto d'arte, sia esso un concerto, un'opera, un quadro o un libro. Noi, critici o giornalisti d'arte, prestando un'attenzione seria e di qualità a queste forme d'arte necessarie e disperate, le stiamo aiutando a rimanere in vita. Spero ci siano lettori la cui curiosità riusciamo a nutrire e i cui interessi riusciamo a stimolare, e che anche questo aiuti le arti."


Curmudgeon, Moi?


© Beppe Colli 2014

CloudsandClocks.net | Jan. 12, 2014