"David Bowie"
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di Beppe Colli
Mar. 17, 2013



E così David Bowie è riuscito ancora una volta a sorprenderci. Va subito detto che le condizioni favorevoli c'erano tutte, a partire da un silenzio di durata pressoché decennale (qualcuno si è giustamente chiesto se l'album avrebbe goduto della stessa attenzione se fosse stato pubblicato a solo due/tre anni di distanza dal suo non indimenticabile predecessore). Altro ingrediente decisivo è stato quella "clausola di segretezza" che ha impegnato formalmente i partecipanti al più completo silenzio (qui riportiamo notizie non di prima mano: pare che Robert Fripp abbia - incautamente - scritto di una sua partecipazione al lavoro bowiano, circostanza che dovrebbe spiegare la sua assenza).

Va da sé che la serie di eventi è stata perfettamente calibrata nella sua sapiente successione: annuncio, primo video, immagine della copertina, piccole anticipazioni del produttore Tony Visconti, secondo video, streaming dei brani su iTunes, il vinile in vendita dieci giorni dopo la versione digitale, la pubblicazione "a tappe" nei diversi mercati mondiali e così via. E poi, ovviamente, il muscolo della Sony a completare il tutto: raramente ci è capitato di vedere le vetrine delle edicole popolate dallo stesso volto, con i giornali tutti a fare ognuno la sua parte, piccola o grande che fosse. E per un artista che non vende in maniera significativa da quasi trent'anni, e che a onta di successi concertistici di innegabile entità è da tempo una "celebrity", questo non è poco.

Ma il muscolo della Sony non spiega tutto, e troppe sono state le circostanze sulle quali ci siamo trovati a riflettere. Su tutte, la frase letta su forum e blog che pressappoco diceva: "voglio davvero che questo album sia buono". Che è, certo, un esempio perfetto di "fandom". Ma non solo.

Va innanzitutto notato che Bowie è riuscito a ricreare quel senso di "scoperta progressiva" di un lavoro tipico degli anni sessanta -  e, in misura minore, dei settanta - che è del tutto scomparso ai giorni nostri, massimamente nell'era della Rete e di cose quali YouTube e i social network come Facebook e MySpace (tutta roba che, incidentalmente, diremmo non esistesse, se non in modo embrionale, al tempo in cui Bowie pubblicava l'album che ha preceduto The Next Day).

Non che manager, case discografiche e press agent non volessero in giro notizie concernenti i loro protetti - tutt'altro! E' che i luoghi erano allora quantitativamente esigui. E a fronte di Beatles, Dylan e Stones (e gli equivalenti delle "boy band" di oggi - ma quelli, chi li prendeva sul serio?) non era affatto strano ascoltare alla radio un singolo di cui nulla si sapeva o imbattersi in negozio in un album che nessuno aveva annunciato o recensito. Ed era da lì che partiva la discussione, dai testi "carpiti" dai solchi e dai piccoli segreti che venivano svelati con gli ascolti; poi si mettevano in circolo le informazioni.

Il paradosso è che mentre allora l'acquisto di un album era il punto di partenza, oggi è il punto di arrivo di un processo mediatico di natura intrinsecamente inflattiva che vede le fonti pubblicare con sempre maggiore anticipo un numero di cose crescente. Con la conseguenza che il consumatore giunge spesso già sazio e stremato al momento dell'acquisto. Il che non era un problema quando l'acquisto costituiva l'unica opzione possibile.

C'è un altro aspetto che vogliamo sottolineare. Anche se anagraficamente non molto più giovane, Bowie ha firmato una cesura musicale - il "Glam" - decisamente tarda rispetto a Beatles, Dylan e Stones, ed è in questo senso appannaggio della "coda" dei Boomer ma soprattutto dei loro fratelli e sorelle minori. E' quindi logico che lo sgradevole senso di mortalità che i Boomer conoscono ormai fin troppo bene abbia avuto quale corrispondente per un pubblico anagraficamente meno anziano quel decennale periodo di riposo forzato sfociato poi nella "resurrezione" di un Bowie tornato non solo con un album nuovo, ma con un album all'altezza dei suoi capolavori del passato.

(A lato, osserviamo che l'eco suscitata dalla recente scomparsa di Kevin Ayers - anche un necrologio sul New York Times! - è del tutto incomprensibile al di fuori di una cornice culturale che lo assume quale figura simbolo di un'epoca, e in quanto tale immune da considerazioni sul numero di copie effettivamente vendute.)

Ma c'è dell'altro. Tra gli "artisti seri", Bowie è uno degli ultimi a poter fungere da "collante" per la percezione di un numero molto grande di persone. Questo è un aspetto che viene spesso frainteso, come ben dimostrano i commenti beffardi che sui forum in Rete accolgono chi rimpiange il tempo in cui "ascoltavamo tutti le stesse cose" - il che implica che esistono memorie condivise: "gli oggetti culturali fruiti in contemporanea". Qui la risposta è immancabilmente "ma come si può rimpiangere un'epoca in cui si era obbligati ad ascoltare tutti la stessa radio - che ovviamente non trasmetteva mai i Velvet Underground?".

E' un'obiezione fondata - ma che manca completamente il punto. Man mano che il processo di frammentazione va avanti viene sempre più percepito il valore dei "collanti" che univano in un "noi" persone che traevano la loro identità da qualcosa situata al di fuori di loro stesse. "Collanti" che erano condivisi e "impermanenti" - e infatti li ricordiamo - e che caratterizzavano un'epoca di ancor bassa atomizzazione dell'individuo.


Quanto detto finora dovrebbe spiegare l'enorme eco suscitata dall'apparizione di The Next Day, l'altissimo numero di recensioni (che la già vasta panoramica di Metacritic copre solo in parte) e le innumerevoli discussioni apparse su forum e blog.

La trattazione è quella che oggi è normale attendersi, con l'aggravante di informazioni tardive e di una necessità bruciante di stare sulla notizia: una miscela che diremmo fatalmente destinata a non produrre buoni risultati.

Nessuna delle recensioni da noi lette fa menzione della qualità del suono dell'album. Un'occhiata in Rete ci dice di un "indice di dinamica" pari a 6 (un valore che solitamente si trova espresso come DR6), che diremmo basso anche avendo un occhio sul calendario (da parte nostra abbiamo trovato i valori tra DR9 e DR11 di album quali gli ultimi di Fiona Apple, Regina Spektor e Ben Folds Five non scandalosi ma tutt'altro che ottimali ai fini di una serena fruizione) e che non ci pare predisporre ad ascolti non affaticanti. La cosa curiosa è che il valore appare simile sia per quanto riguarda il CD che per i file apparsi su iTunes e su HDTracks; ne consegue che la compressione in fase di masterizzazione dovrebbe essere a monte, e non dovrebbe quindi risparmiare la versione in vinile.

Ma a parte queste "sottigliezze da fissati" non è che le recensioni che hanno dedicato spazio alla musica propriamente detta siano state molte, con l'approccio più diffuso a privilegiare l'aspetto "biografico/umano" della vicenda bowiana e la discussione dei testi a far logicamente da padrona.

Un buon esempio di questo approccio è lo scritto (che avremmo definito "una recensione" se non fosse per il particolare di cui si dirà tra poco) a firma Simon Reynolds apparso sul quotidiano statunitense The New York Times in data March 6, 2013 con il titolo di The Singer Who Fell To Earth. Un articolo di cui non ci saremmo accorti se non l'avessimo visto citato e discusso sul sito denominato Rockcritics, la preziosa fonte di informazioni che dopo una lunga pausa Scott Woods ha deciso di rimettere in moto.

Con ovvio e trasparente riferimento bowiano, Woods ha attribuito il nome di Sound vs. Vision? alla piccola discussione che in data March 11, 2013 ha avuto quale punto di partenza il commento con cui Steven Ward esprimeva il suo disappunto per il fatto che nel pezzo citato Simon Reynolds non faceva quasi alcun cenno alla musica. Quale esempio opposto Woods citava la recensione di Phil Freeman apparsa sul sito denominato Burning Ambulance.

Grande sorpresa di chi scrive, lo stesso Simon Reynolds interveniva a precisare che il suo pezzo non era una recensione, ma "un pezzo" con funzione del tutto diversa.

Reynolds procedeva poi a fornire la cornice appropriata al suo pensiero, con il passo che qui citiamo per intero: "Per quanto riguarda il descrivere in dettaglio quello che da un punto di vista musicale avviene in un pezzo, c'è la posizione che oggi ciò sia meno rilevante che mai, dato che oggi tutti possono sentirlo da soli. L'album era già in streaming su iTunes prima che io consegnassi il pezzo. E altri giornali avevano già pubblicato le loro "recensioni-istantanee" di ogni pezzo solo poche ore dopo che l'album era stato loro dato, la settimana precedente. Se vuoi sapere com'è l'album prima di comprarlo, non è difficile."

La risposta di Reynolds ci è parsa stranamente inadeguata. Ci ha quindi fatto piacere poter replicare che "C'è una gran differenza tra una recensione e 'descrivere in dettaglio quello che da un punto di vista musicale avviene in un pezzo'. Un gran numero di persone considera la critica musicale come una cosa del passato proprio perché oggi tutti possono ascoltare un brano e farsi la propria opinione. Ma è ovvio che la critica musicale non si ferma alla descrizione, ma traccia anche delle connessioni musicali - cosa che l'ascoltatore medio solitamente non è in grado di fare."


Mentre davamo oziosamente un'occhiata a una carpetta "bowiana" contenuta nel nostro computer ci siamo imbattuti in alcuni vecchi articoli di Paul Du Noyer che quasi non ricordavamo più di avere. (Du Noyer è stato il primo direttore di Mojo e anche il primo direttore di The Word.) Tempo fa Du Noyer ha messo in Rete un bel po' di materiali che lo vedono autore, tra i quali fanno bella mostra estratti da trascrizioni grezze di sue interviste; ed è da uno di essi che citiamo il seguente passo - l'interlocutore è David Bowie:

Mi hanno chiesto di fare due metà, la nuova musica e il periodo della Trilogia-Ashes To Ashes. Che te ne pare?
Ne abbiamo parlato così tante volte. Comunque.

(...)

E adesso parliamo di quei vecchi album.
Andiamo.

Dici che se n'è parlato troppo?
Certo! Se qualcuno ha bisogno di riempire spazio dice "Parliamo delle cose del periodo di Berlino".


© Beppe Colli 2013

CloudsandClocks.net | Mar. 17, 2013