Parole aspre da Betelgeuse
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di Beppe Colli
Mar. 26, 2017



Una delle cose che più ci stupiscono nel corso delle nostre frequenti passeggiate nella ridente cittadina in cui ci troviamo ad abitare è il numero delle riviste in vendita nelle edicole. Dietro le vetrine si offrono all'occhio testate quali Cane, Gatto, Cavallo e tutte le immaginabili variazioni, da Cane da penna a Cane assassino, con possibili duplicazioni (ci resta oscuro se esistano due testate: Cavallo e Il Cavallo, o se il più recente numero di Orologi ne coprisse l'articolo). Inevitabile la domanda: ma chi le compra? Poi ci diciamo che probabilmente esiste tanta gente appassionata di queste cose, ed è solo la nostra mancanza di fantasia a farci credere impossibile la loro sopravvivenza.

La meraviglia aumenta non appena volgiamo lo sguardo alla vetrina delle riviste musicali. In alto, immancabili, Mojo, Uncut, Q, The Wire (esiste ancora!), Mojo 60s, Prog e tutte le "special edition" di questo e quello su questo e quello. Disperse nell'Oceano, mancano ormai stabilmente all'appello gloriose testate U.S.A. quali Rolling Stone, Downbeat, Keyboard, Guitar Player e altro che al momento non ricordiamo.

Più sotto, quelle italiane, il cui numero nel corso degli ultimi anni diremmo senz'altro aumentato. Il che è paradossale, dato che solo pochi anni addietro scommettevamo con gli amici se a fallire per prima sarebbe stata Pappa & Ciccia o quell'altra. Siamo quasi certi che qualcuno le compra ancora. Quelli che non tornano sono i conti: case discografiche e distributori, se ancora esistono, non se la passano certo meglio di qualche anno fa, le vendite di prodotti fisici sono a picco, le vendite dei giornali sono in costante calo, le spese per carta, stampa, distribuzione e trasporto non ci risultano diminuite, le tariffe pubblicitarie le immaginiamo a livelli di mera sopravvivenza. Restava ancora qualcosa da comprimere sul lato del costo del lavoro?

(Per fare un esempio "alto", un paio di anni fa, trovandoci per un certo periodo in un'altra Regione, notammo che le pagine locali di Repubblica ospitavano pubblicità - parliamo di cose quali macellerie e negozietti - che diceva con chiarezza di una soglia d'ingresso davvero molto bassa.)

Il colpo d'occhio ha qualcosa di surreale. Complice la necessità di ricorrere a "nomi noti" che per forza di cose provengono sovente dal passato, ci si trova ad avere di fronte quanto di meglio e più complesso il rock "classico" ha prodotto. Questo mentre il "nuovo pubblico", già semianalfabeta, non è in grado di ascoltare nulla che non abbia un andamento cantilenante. Mentre i pensionati - ché questa è ormai l'età dei boomer - hanno smesso di organizzare tornei per l'attribuzione del titolo "Nonno Scaricafacile" e si accontentano di fare lo "Strìm".

Non è certo una situazione tale da incoraggiare un "diverso parere". Per prenderla alla larga, non è da ieri che i lettori di Mojo si lamentano del numero - a loro dire eccessivo - di nuove uscite che ricevono l'ambita classificazione a quattro stelle (su cinque). Per quanto riguarda le ristampe, i recensori si limitano a fare il riassunto delle già ben note vicende, guardandosi bene dal pronunciarsi sulle caratteristiche di "quell'oggetto lì" che è poi quello che l'acquirente si troverà a comprare. Anche un nome discretamente noto quale Douglas Wolk, nel recensire per Pitchfork il cofanetto bowiano in vinile denominato Five Years, non faceva alcuna menzione degli album in vinile che si trovavano dentro il cofanetto che stava - ma solo in teoria - recensendo. Lo stesso vale per gli Stones in Mono e per tutto il resto.

Detto a parte e con garbo, ci farebbe piacere che i recensori di vinile si facessero fotografare a fianco del loro giradischi (funzionante), tanto per dissipare qualche dubbio. Ma anche a non voler considerare le miserie, ha senso scrivere una recensione della ristampa in cofanetto in triplo formato - LP stereo, LP mono, CD - di un album già leggendario per narrare ancora una volta la favoletta del gruppo e della sua leggenda e poi aggiungere solo che un LP è stereo e l'altro mono? Perché non dire che gli LP erano perfettamente tondi, tanto per aggiungere un po' di sale?

In tale cornice, la qualità è facilmente immaginabile. C'è chi non è neppure in grado di copiare il comunicato stampa e prende fischi per fiaschi. Ovviamente per trovare tracce di Ray Charles e James Brown sull'album di esordio dei Doors bisogna conoscere Ray Charles e James Brown. Ma per dire qualcosa di sensato - e perché no, di nuovo - sull'album dei Doors bisognerebbe averlo ascoltato sul serio. Qualcuno dice che forse basterebbero i fatti. Ma per i fatti non c'è già Wikipedia?


Un argomento di bruciante attualità di cui si è molto parlato è - per adesso mettiamola così - la quasi completa scomparsa del jazz dalle pagine del New York Times.

Il lettore conosce bene la situazione di difficoltà in cui si trova la grande stampa internazionale, stretta tra la progressiva sparizione della copia cartacea - un fenomeno che pare essere in costante accelerazione - e la scarsa redditività della pubblicità in forma digitale.

Tutti i giornali procedono forzatamente a tentoni, con il Guardian a tentare la carta della sottoscrizione e dell'abbonamento pur mantenendo la gratuità dell'accesso (a proposito: dopo la settimana di lavoro giorno e notte fatta dalla redazione a seguito dell'inatteso esito del referendum sul "Brexit" abbiamo messo mano al portafoglio e fatto la nostra offerta) mentre testate quali il New York Times seguono la strada dell'abbonamento a contenuti giornalistici di qualità.

Anche gli Stati Uniti hanno avuto il loro fatto inatteso, nella forma dell'elezione di Trump. Il che ha portato il New York Times a stanziare cinque milioni di dollari in più del previsto per potenziare la copertura della Presidenza e del Congresso da parte della redazione di Washington.

Come ben noto, la redazione - già soggetta a dimagrimenti negli ultimi anni, e altri ne verranno - subisce un processo di razionalizzazione. E tra le guide in tale direzione ci sono le cifre riguardanti gli accessi ai contenuti in forma digitale.

Il bell'articolo di Max Cea intitolato Welcome to the Jazzless Age: Change in New York Times coverage spells trouble for a scene apparso su Salon in data Thursday, Feb 23 con il sottotitolo What changes in music coverage at the New York Times mean for jazz ha esposto chiaramente i termini della questione.

Le cifre nude e crude degli accessi - cifre raccolte nel corso degli ultimi cinque anni - dicono che pochissimi cliccano le recensioni, sia di album che di concerti. La cosa ha un impatto disastroso per il jazz, e non perché sia a esso limitato, ma perché artisti "di nicchia" quali quelli jazz beneficiavano del fattore "validazione" consistente nell'essere recensiti da un giornale di quella tiratura e di quel prestigio.

Ma non c'è nessuna volontà "di esclusione". Solo, la presa d'atto - resa obbligatoria dai conti - di una realtà ben nota a livello "intuitivo" ma che per molto tempo si era potuto far finta non esistesse.

La riorganizzazione "tipologica" del settore - una snella Playlist settimanale in forma di Podcast è la forma attuale, ma il cambiamento è ancora in corso - ne è solo la conseguenza.


Confermando in pieno il divario esistente tra la possibilità di fruizione data dall'accesso puramente tecnico a un mezzo e la comprensione del funzionamento del mezzo stesso, i fruitori si lamentano del fatto di non trovare più in Rete certi contenuti senza chiedersi quanto di ciò sia da ascrivere al loro stesso comportamento.

Quel brav'uomo di Ethan Iverson, pianista dei Bad Plus e animatore del blog Do The Math, lo ripete spesso: io metto dei link a pezzi che reputo interessanti, cliccateci su. Per poi aggiungere: lo so che siete stanchi e occupati, quindi non mi aspetto che li leggiate tutti per intero. Per intanto, cliccateci su. (Esprimiamo il concetto con parole nostre, Iverson è più elegante.)


Consultiamo un collega di Washington, che ci conferma quanto da noi letto. Ci chiede lumi sul nostro paese, rimanendo colpito dal fatto che esistano ancora in edicola tante testate piene zeppe di recensioni. "E come fanno a sopravvivere, hanno tanta pubblicità?" Apprendiamo che a Washington non esistono quasi più le edicole, e quelle che ci sono non espongono più testate ad alta densità di recensioni quali Mojo e Uncut, le recensioni essendo ormai patrimonio pressoché esclusivo di testate in Rete, in primis Pitchfork e PopMatters.

"La gente va sul New York Times per leggere di Trump, non per leggere recensioni". Seguono le ormai familiari considerazioni sulla frammentazione dei pubblici e la definitiva perdita di rilevanza del "rock" nella scena culturale.


Di recente, parlando con un collega di La Spezia, esprimevamo il nostro terrore per l'anno che ci attende, il 1967 essendo un anno cardine del nostro sviluppo formativo. E ai cinquantennali non si sfugge.

La pubblicazione del singolo Penny Lane/Strawberry Fields Forever dei Beatles, Light My Fire dei Doors prima in classifica, il successo planetario di A Whiter Shade Of Pale dei Procol Harum, We Love You dei Rolling Stones, e poi Homburg dei Procol Harum e You Keep Me Hanging On dei Vanilla Fudge. Tutte tappe importanti della nostra vita che ci farebbe orrore vedere sporcate da un qualche "Christgau de noantri".

"Ma guarda che è anche l'anniversario del '77", ci diceva il collega per consolarci, con scarsi risultati.

Per adesso, uno di meno. L'anniversario di Penny Lane/Strawberry Fields Forever, lo scorso febbraio, è passato del tutto inosservato. Ovviamente solo perché si raccolgono le forze per celebrare il 1° giugno i cinquant'anni di Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band - ci pare di vedere i pennivendoli controllare se c'è inchiostro a sufficienza.

Non altrettanta fortuna con i Doors. Fa pena vedere l'entusiasmo per London Fog - giustamente un tonfo di vendite, e insieme ai nastri "originali garantiti" del Matrix in stile "gioco delle tre carte" l'ultimo chiodo nella bara della fiducia tra i fan e il management.

Ma ormai, cosa si potrebbe dire di nuovo sull'album di esordio dei Doors?


Più vario, più rifinito, e decisamente più sicuro di sé, il secondo album dei Doors, Strange Days, è però privo (niente spazio per le ambiguità: ne è privo per scelta cosciente e deliberata) di una certa "spinta rock" (in senso sonoro) che caratterizza l'album di esordio. E per certi versi non avrebbe torto chi, nell'ignoranza della musica del gruppo e avendo come solo metro di giudizio il suono di Morrison Hotel, ascoltando i primi due album giudicasse "più vecchio" il secondo.

La cosa buffa è che - così riferisce chi per motivi di lavoro ha potuto ascoltare le session originali del primo album - i nastri incisi dal gruppo non suonano affatto come l'album cui diedero origine.

Qui in veste di "Production Supervisor", il presidente della Elektra, Jac Holzman - uomo dotato di ottimo gusto nonché di sicuro fiuto commerciale - consigliò un irrobustimento della veste sonora. Da cui il trasferimento del quattro piste originale a un secondo quattro piste, con sovraincisioni di basso, percussioni, voci e soprattutto un deciso "trattamento sonoro" da parte del tecnico Bruce Botnick, con Paul A. Rothchild ovviamente alla produzione. Un secondo trattamento venne applicato andando verso il master.

Per fare un esempio, è evidente fin dal giorno della pubblicazione che su Soul Kitchen ci sono due batterie sovrapposte, come facilmente avvertibile isolando il canale sinistro e drizzando le orecchie nei momenti di "vuoto", dove tra l'altro è facilmente avvertibile la "pennata" del basso elettrico. Strumento il cui impatto sonoro è facilmente avvertibile anche su Twentieth Century Fox e - in maniera più discreta - su Light My Fire, I Looked At You, Take It As It Comes (mentre su Backdoor Man il basso elettrico dovrebbe essere stato suonato dal chitarrista, Robby Krieger).

Per motivi su cui si può solo congetturare, Botnick non ha mai messo in risalto il suo apporto creativo all'album, con solo qualche piccolo particolare - vedi le due batterie sovraincise, isolate dal multitraccia, fatte ascoltare nel corso dell'episodio dedicato all'album nella ben nota serie denominata Classic Albums (il DVD-V è del 2008). Ma proviamo a isolare il canale sinistro su Light My Fire, soprattutto nella lunga sezione che sul canale opposto ospita gli assolo di organo e di chitarra. Ascolteremo un insieme di echi e altri effetti - detto in breve, semplificando: qui le valvole vengono usate come equalizzazione - che non sarebbe fuori luogo definire "dub". E certo quel suono di batteria, per quei tempi, è qualcosa di semplicemente inaudito.


© Beppe Colli 2017

CloudsandClocks.net | Mar. 26, 2017