Altre parole aspre da Betelgeuse
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di Beppe Colli
July 9, 2017



Quale breve preambolo, un piccolo aneddoto.

Era la primavera del 2002, e dopo qualche (comprensibile) esitazione avevamo deciso di far partire il nostro piccolo sito web. Acquistammo un nuovo computer (il nostro secondo), più potente e versatile, più adatto allo scopo. Gli amici musicisti da noi consultati, in prevalenza statunitensi, ci avevano suggerito all'unanimità l'acquisto di un programma che ci avrebbe consentito di fare tutto da soli e che non richiedeva l'apprendimento del temibile "codice html". Il programma costava 800 euro, investimento non piccolo per le nostre finanze e per un sito che aveva deliberatamente scelto di non cercare o accettare pubblicità. Deglutimmo, mandammo i soldi in Olanda, ricevemmo il dischetto, installammo il tutto, e via.

Uno o due anni dopo ci fu chiesto - dall'Italia, da persone che diremmo non si conoscevano tra loro - come avevamo fatto a mettere su il sito. Tutto a posto, finché non si arrivava alla nota dolente degli 800 euro. Qui la domanda era sempre la stessa: ma non c'era proprio nessuna alternativa, chessò, una copia fatta da un amico offerta a un prezzo ridotto o un programma "craccato"? (Era la prima volta che incontravamo il termine.)

Questa, deducevamo, una presentazione considerata "accettabile e normale":

"Salve! Siamo quelli di Clouds and Clocks. Non faremo favori a nessuno, non daremo ascolto a case discografiche e distributori, tratteremo gli amici allo stesso modo dei nemici, recensiremo tutto in maniera assolutamente onesta. Veramente indipendenti, facciamo tutto da soli, con un programma craccato."

Fantastico, eh?

"Ma 800 euro sono proprio tanti!".


Ci ostiniamo a continuare a comprare due quotidiani: uno nazionale, l'altro locale. Poi c'è quello che leggiamo in Rete dall'estero: roba che non ci sarebbe possibile acquistare su carta (ricordiamo ancora il nostro primo abbonamento a un giornale che non aveva un corrispondente cartaceo: lo statunitense Salon, alla fine degli anni novanta) ma che è possibile "remunerare" in una varietà di modi.

Il nostro è un comportamento che desta non poca meraviglia. "Compri ancora giornali in edicola? Guarda, io trovo tutto in Rete", con la variante "Beato te che hai ancora tempo per leggere, io riesco appena a guardare i titoli in Rete".

Superfluo ricordare che il "tutto" che si trova in Rete è in gran parte pagato dal prezzo della copia cartacea e dalla pubblicità lì ospitata. Quindi una quota del prezzo da noi pagato per acquistare il cartaceo viene spesa per consentire ad altri di non pagare, mentre la qualità del prodotto cartaceo fatalmente soffre (parentesi italiana: sei pagine del tipo "Renzi sfida Orlando" più uno spazio gigante dedicato a presentazioni di libri ma che non consente di fare un necrologio decente a Sartori e articoli sulle decisioni della Corte Suprema statunitense che aggiustano il tiro seguendo quanto scritto dal New York Times).

Purtroppo il supporto cartaceo perde vertiginosamente quota, mentre la pubblicità scema. Se non andiamo errati, gli abbonati digitali al New York Times sono adesso 2.200.000, cifra che però non sembra sufficiente a controbilanciare l'ennesimo calo pubblicitario.

Come il lettore senz'altro ricorda, il modello adottato dal New York Times si basa essenzialmente sull'abbonamento, mentre il Guardian ha finora scelto la gratuità di accesso combinata a varie forme di contribuzione volontaria. A occhio nudo, ci azzarderemmo a tracciare questo quadro certamente semplificato: il New York Times offre una "cosa", mentre il Guardian cerca di suscitare la curiosità del lettore invitandolo a cliccare sui singoli pezzi. Non è (necessariamente) un giudizio di qualità (la copertura del Brexit e degli eventi politici in genere da parte del Guardian è eccellente, come pure di fatti quali il recente incendio del "grattacielo popolare" londinese, una storia che viene seguita ben oltre i confini dell'attualità), anche se si nota una certa propensione a intervistare celebrità in merito ad argomenti che non necessariamente padroneggiano.

Le differenze che diremmo discendere dai modelli non sono poca cosa. Il New York Times ci pare offrire (a pagamento) un'idea di cultura: per fare un esempio, viene onorato chi, importante, muore, indipendentemente dalla suo essere potenziale fonte di cliccaggio: Jaki Liebezeit, Larry Coryell, John Wetton, Geri Allen. Il Guardian fa tre pezzi su Liebezeit, nessuno su Coryell e Wetton, e uno su Geri Allen che ci è parso essere un "caso speciale" propiziato dall'autore, John Fordham.

Intendiamo: i modelli non sono neutri. Capiamo benissimo che chi si è abituato al modello "all you can eat" non fa più caso alla qualità di quello che consuma. Non per questo il problema sparisce.


Crediamo di poter dire che se parliamo di musica "l'evento dell'anno" è stato senz'altro il cinquantennale dell'album dei Beatles intitolato Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band.

Quello che venivamo invitati ad acquistare non era però "l'album dei Beatles", ma una "edizione speciale" in vari formati al cui centro c'era l'edizione rimissata curata da Giles Martin, figlio del celeberrimo produttore e vero "quinto Beatle".

Il passo era, per così dire, obbligato. A paragone dei Rolling Stones, che hanno avuto una carriera incommensurabilmente più lunga e che hanno a disposizione decenni di concerti da mettere a disposizione in audio e video, quella dei Beatles è una discografia alquanto limitata. L'unico modo di "offrire il nuovo" è quello di rimissare. Pur su scala ridotta, l'esempio dei rimissaggi curati da Steven Wilson per gruppi quali King Crimson e Jethro Tull è stato commercialmente confortante, oltre ad aver abituato gli ascoltatori alla liceità del "ritocco".

Ovviamente il punto cruciale del nuovo lavoro era del tutto assente dalla trattazione fatta da quotidiani e periodici, che hanno offerto al lettore pastoni di qualità variabile.

A pubblicazione avvenuta, abbiamo letto con interesse le discussioni che hanno avuto luogo sul forum di Steve Hoffman.

Ne ricordiamo il funzionamento. L'accesso al forum - la lettura - è gratuito, ma per intervenire è necessario registrarsi (gratuitamente). Per espresso volere di Hoffman, il forum è privo di pubblicità, quindi le "spese vive" - che quest'anno ci pare ammontassero a 5.000 dollari (i moderatori prestano la loro opera gratuitamente) - vengono pagate tramite sottoscrizione volontaria.

Nel giro di pochi giorni la questione di come suonasse il nuovo Sgt. Pepper - il punto cruciale - ha avuto uno spettro di risposte.

Va ricordato che i moderni software e la rapidità di accesso data dalla banda larga offrono oggi una possibilità di riscontro empirico in grado di arricchire il discorso critico, già pluralista in virtù del suo essere espressione di una comunità di ascoltatori.

Ognuno sarà rimasto della sua idea, ma la questione "chi canta gli 'aahh' che chiudono la parte centrale di A Day In The Life, John o Paul?" è stata discussa su una base meno "impressionistica".

Ovviamente nulla impedirebbe a un giornale di carta di operare in questo modo - lo compreremmo immediatamente - ma il fatto che al giornale di carta sia stato commercialmente assegnato il ruolo di "produttore di anteprime" fa sì che il giornale finisca per produrre "poesia" un tanto al chilo. Chi acquista il nuovo vinile dei Doors, David Bowie o Elton John sa già - grazie a Wikipedia, YouTube e simili - chi sono questi signori. Quello che non sa è se il vinile in questione suona forte e compresso, o stridulo e distorto, o se è difettoso e in che senso, e se l'acquisto possa configurarsi quale opzione vantaggiosa rispetto alle (numerose) alternative oggi possibili.


A differenza della musica, la cui fruizione singola su base di massa è possibile almeno dai tempi dei 78 giri e del giradischi a manovella, per lungo tempo il cinema è stato fruibile solo in un contesto collettivo: la sala cinematografica. Capitava di leggere - e di rimanere immancabilmente colpiti, a sottolineare la straordinarietà dell'evento - delle sale personali allestite in casa di registi quali Stanley Kubrick, Woody Allen e Martin Scorsese.

Lasciando da parte la fruizione del cinema in televisione, la vera rivoluzione arriva con il cinema "su nastro" - per brevità parliamo di VHS - fruibile dopo acquisto o noleggio. Fenomeno che subisce una notevole accelerazione con il formato DVD-V, non soggetto a usura.

Crediamo che questo fatto abbia mutato in modo sostanziale il rapporto tra fruitore e film, e fruitore e critica. Riteniamo altamente probabile che questo rapporto venga ora relegato al passato.

Riflettiamo. Quante volte si era soliti guardare un film in sala, pagando ogni volta un biglietto? Diremmo una o poco più. Anche se l'affitto della copia va di pari passo con un consumo occasionale - che non vuol necessariamente dire economico: ricordiamo l'usanza newyorkese di ricevere a domicilio il "combo" pizza e DVD-V - è verosimile che l'acquisto, sia di "classici" che di film contemporanei, abbia propiziato una fruizione più attenta e profonda proprio perché ripetuta.

Lo schema potrebbe essere quindi "il possesso di un numero limitato di film visti più volte", in parallelo con quanto accaduto con la musica.

La critica "su base di massa" ha quindi potuto permettersi un grado di approfondimento nella trattazione che trovava la "sponda" di una fetta del pubblico.

E' ovvio che il fatto di ricevere dei file invece di un supporto fisico di per sé non cambia niente. Quello che cambia le cose è invece la fruizione su una base "all you can eat" in cui il prezzo del singolo evento è trascurabile. L'immensa mole di quanto resta ancora da vedere predispone a un atteggiamento di fruizione di tipo puntillistico che rende poco probabile il ritornare a riflettere sul già visto, essendo lo sguardo perennemente rivolto in avanti.

In questo senso la critica - parola che può designare tutto, da un "gruppo di pari" a un "software predittivo" - se pur ancora indispensabile a orientare la decisione (ma rivolgiamo il pensiero alle campagne "virali", comunque mascherate) corre il rischio di produrre un oggetto al quale non corrisponde più un'utenza. E se il giornale deve fare economie, e sulle recensioni non clicca nessuno...

L'aria che tira non è delle migliori. E non è raro imbattersi in conversazioni dove l'atto dell'acquisto viene definito "feticismo del possesso".


Avremmo mai supposto possibile leggere che "il jazz è ridotto peggio della classica"? Cosa poteva essere ridotto "peggio della classica"?

Eppure è così. Le vendite da classifiche ufficiali - Billboard e similia - dicono di un netto sorpasso all'indietro. C'è di più. L'evidenza empirica mostra un pubblico che sparisce in parallelo alla scomparsa e al ridimensionamento delle grandi catene urbane, da Tower Records a Barnes & Noble, e che appare assai restio ad avventurarsi in Rete.

Andando per grandi linee, dal periodo Marsalis/Burns il jazz "d'avanguardia" non si è più ripreso, e chissà cosa accadrebbe a un novello Braxton o Mitchell che avesse la (s)ventura di nascere oggi. Solo logico, quindi, aggrapparsi a fondi di varia natura, meccanismo che gradisce il richiamo a fatti certi quali nascite e morti: "Cento anni dalla nascita di Monk" o "Cinquant'anni dalla morte di Coltrane". Ma proprio come per la musica classica, si tratta di eventi auto-referenziali non in grado di smuovere neppure una foglia.

Riflettiamo sulla passata fortuna "rock" di Coltrane. I fan di sassofonisti quali Elton Dean, Mel Collins, David Jackson, Tim Hodgkinson e via suonando potevano leggere innumerevoli lodi di Coltrane per bocca dei loro beniamini. Pur non facile, l'approdo alla musica di Coltrane veniva reso più agevole dall'ascolto ripetuto e attento di gruppi quali Soft Machine, King Crimson, Van Der Graaf Generator e Henry Cow. Quali i gruppi rock di oggi che renderebbero meno arduo l'approdo a sponde coltraniane?

La recente attività solista di Ethan Iverson, che alla fine di quest'anno cesserà di essere il pianista dei Bad Plus, ci pare una buona indicazione del cammino che un musicista moderno che si trova a proprio agio anche con il jazz deve seguire allo scopo di garantirsi un futuro. E d'altra parte, non son trascorsi più di trent'anni da quando un artista versatile e brillante quale Anthony Davis pregava gli intervistatori di definire le sue proposte "new music" evitando il termine "jazz"?


© Beppe Colli 2017

CloudsandClocks.net | July 9, 2017