Ritorno al vinile?
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di Beppe Colli
Jan. 4, 2008



Meglio ammetterlo subito: amiamo (ancora) moltissimo il vinile. Anche se ricordiamo perfettamente quei momenti magici quando maneggiavamo ancora precariamente quei colorati, pesanti ed enormi 78 giri (ovviamente si parla qui della nostra infanzia), è stato solo a metà degli anni Sessanta che la nostra vita ha iniziato a essere davvero definita dalla musica - intendendo qui la radio e i singoli 7" a 45 giri. E' ovvio che ai tempi in cui eravamo pre-pre teenager ascoltavamo la musica come un tutto, senza prestare davvero attenzione a parti specifiche, la principale eccezione essendo costituita da quelle fantastiche introduzioni alle canzoni, per esempio quella di Satisfaction, che caratterizzavano appieno un pezzo-dinamite. Ma con il progredire del decennio cominciammo a notare tutti quei suoni nuovi e strani che non pochi gruppi e solisti, con (decisamente più di) un po' d'aiuto da parte dei loro amici (produttori e tecnici i cui nomi erano in gran parte ignoti al grande pubblico e il cui ruolo nella buona riuscita del tutto sarebbe stato per noi impossibile capire persino se avessimo saputo della loro esistenza), mettevano su disco.

Per non farla troppo lunga, la nostra comprensione della musica (che comprendeva ovviamente il suono e anche quegli oggetti fisici che contenevano quei suoni nei loro solchi) viaggiava in parallelo al progresso degli apparecchi di riproduzione audio destinati al consumatore. Il solo fatto di prestare attenzione rese chi scrive (e molta altra gente) consapevole delle differenze esistenti tra le copie in vinile italiane (per la maggior parte di qualità scadente), le stampe UK (silenziose ma a volte carenti in brillantezza) e le edizioni USA degli stessi album (brillanti ma spesso decisamente rumorose - chi ha ascoltato gli album dei King Crimson su Atlantic sa di cosa parliamo). Non c'era nulla di "Hi-Fi" o di "esoterico" in tutto ciò: era solo una progressione naturale resa possibile dal prestare molta attenzione a qualcosa che tutti coloro che si interessavano davvero di musica consideravano importante. Che poi è la stessa cosa di cercare di capire cosa vogliono dire le parole di una canzone o il modo in cui vengono prodotti quegli strani suoni (detti "armonici") su una chitarra.


Questo è solo un breve intermezzo. La persona intervistata - Bob Olhsson - ha lavorato come tecnico alla Motown già a partire dagli anni Sessanta. La citazione è tratta dalla rivista Tape Op. L'intervista, di Philip Stevenson, è stata pubblicata come Nowhere To Run - Bob Olhsson, Magic And The Motown Sound. (Sospettiamo che la persona menzionata sia Bruce, e non Doug, Botnick.)

Ecco per te una classica domanda da Tape Op. Come ti senti a proposito del digitale?

Frustrato (ride). Ha tanti aspetti positivi, però... C'è stata una cosa fatta alla AES chiamata "L'epoca d'oro del vinile" - è stato incredibile. Spero davvero che glielo lascino fare di nuovo, ma posso capire il fatto che un sacco di aziende non ne abbia alcuna intenzione.

Hanno messo su la replica di una stanza di regia audio "state of the art" del 1962 e hanno suonato un po' di master a tre piste di quel periodo. Il suono ha fatto a pezzi tutto quello che potevi sentire alla rassegna. Voglio dire, era così evidentemente migliore di tutto quello che facciamo ora che ti faceva stare male. A un certo punto Doug Botnik, che aveva lavorato negli studi Sunset Sound, si è girato verso di me e mi ha detto "Mi ricordo che la prima volta che ho cercato di fare una seduta di registrazione usando un banco a transistor mi volevo tagliare i polsi" (ride).


Risparmiando al lettore la parte a proposito di come riuscivamo a distinguere un LP stampato in USA da uno stampato in UK tramite il solo esame olfattivo, dobbiamo immediatamente mettere in chiaro che chi scrive non è - né è mai stato - quello che può essere definito un collezionista. Non abbiamo pagato somme di un certo riguardo per avere una stampa originale, non ci interessano le "edizioni limitate" - e non andiamo neppure su eBay!

Però, non appena iniziammo a prendere confidenza con i CD - fu grosso modo alla fine degli anni Ottanta - ci accorgemmo che, sebbene lo avessimo dato per scontato, le nuove versioni non somigliavano necessariamente agli originali (in vinile). Un fatto che con pochissime eccezioni - una menzione speciale deve necessariamente andare al mensile statunitense Musician - non fu neppure citato (forse perché non notato?) sulle pagine della stampa (cosiddetta) "non-tecnica". Praticità d'uso e portabilità essendo ovviamente le qualità considerate importanti, non certo la qualità sonora. (E non sarà l'ultima volta.)

E fu così - allo scopo di chiarire le cose innanzitutto a noi stessi - che scrivemmo un pezzo che fu pubblicato sul periodico italiano Musiche e su quello anglosassone ReR Quarterly con il titolo di Remixes: Cosmetics Or Fraud? (Rimissaggi: cosmesi o frode? Anche se poi il pezzo prendeva in considerazione anche quelle modifiche che vengono apportate nella fase di mastering.)


Riserviamo sempre un po' del nostro tempo migliore all'ascolto di qualche disco in vinile. Naturalmente siamo perfettamente consapevoli che il sentimento della "nostàlgia" ha una parte in tutto ciò. Però qui il punto è di essere consapevoli del "fattore nostalgia" - cioè a dire, far sì che essa non sia in grado di influenzare la percezione e il giudizio sulla musica che ascoltiamo. Cosa che è spesso difficile, che non vuol dire postulare un'impossibilità.

Così, se fummo indubbiamente felici di sapere che piatti e relativi accessori erano ancora in produzione, fummo davvero sorpresi nell'apprendere di una ripresa nella fabbricazione di album in vinile. Perché? Beh, anche se dobbiamo ammettere di non aver ascoltato molti di questi esemplari (dopo tutto questo è davvero un mercato di nicchia, e le copie non vanno in vendita in tutto il mondo), e perfino se decidiamo di non considerare le edizioni stampate su vinile rumoroso e cattivo, tutte le nuove edizioni in vinile che abbiamo avuto modo di ascoltare erano fatte di quello che noi chiamiamo il "vinile digitale" - cioè a dire, copie derivate da nuovi master digitali, e non dai master analogici originali. Nel qual caso, a che serve? (Il fatto che una "qualità sonora superiore" - a onta di vinile rumoroso, cattivi stampaggi e così via - venga data per scontata in molte recensioni di LP che abbiamo avuto modo di leggere, e raramente discussa, rende evidente che il punto principale è qui la rarità, non la qualità sonora.)

Dobbiamo ammettere di essere rimasti alquanto sorpresi nel leggere alcuni articoli recentemente apparsi in Italia e altrove che abbozzavano questo scenario per l'industria musicale: file MP3 di bassa qualità venduti ai più e consumati su apparecchi portatili di basso prezzo; file di alta qualità - e anche veri LP, comprensivi di gran copertina - venduti agli intenditori, da cui: Più Soldi per un Miglior Contenuto. Ha senso questo scenario? Qui dobbiamo andare un po' indietro.


Una cosa che dobbiamo immediatamente mettere in chiaro è il fatto che chi scrive non è, da un punto di vista tecnico, un "esperto". Ascoltiamo musica e basta. Dobbiamo ammettere di ascoltare musica quale "attività esclusiva" (si intende qui che quando ascoltiamo musica non facciamo altro), cosa che supponiamo basti a qualificarci come "eccezione sociale". Crediamo però che il fatto di ascoltare un CD quale attività esclusiva effettuata stando fermi davanti a un sistema Hi-Fi decente (in opposizione, per esempio, ad ascoltare un CD o dei "file audio" su un computer per mezzo di piccole casse - magari mentre scriviamo già la recensione? - mentre allo stesso tempo si è intenti a fare cose di ogni genere) dovrebbe essere tenuto in debito conto da chi pubblica un album, o da lettori che cercano un'opinione basata su fatti.

E' stato alla fine degli anni Novanta che abbiamo iniziato a notare che i CD cominciavano a suonare sempre peggio. Piatti, troppo compressi, poco musicali, bidimensionali, striduli, stancanti... Un fatto che ci rendeva sempre più difficile goderci anche musica pubblicata da artisti il cui lavoro ci piaceva non poco.

E' stato all'incirca sette anni fa che ci fu inoltrato un link a un articolo di George Graham intitolato Whatever Happened To Dynamic Range On Compact Discs? che ci fece immediatamente capire quel era il nocciolo del problema.

Poi ci fu la lunga discussione dal titolo Are DAWs And Squashed Masters The Only Things That Define This Era's Sound? postato in data 12-04-2003 11:18 AM su un Forum che aveva quale moderatore George Massenburg.

Di lì a poco l'argomento assunse dimensioni gigantesche. Un articolo intitolato The Big Squeeze - Mastering Engineers Debate Music's Loudness Wars, di Sarah Jones, apparve in data Dec 1, 2005 12:00 PM, su Mixonline.

Anche i quotidiani entrarono nella discussione - un buon esempio è l'articolo intitolato Why Music Really Is Getting Louder di Adam Sherwin apparso su The Times in data June 4, 2007.

Ma è stato un paio di settimane fa, quando Rolling Stone ha pubblicato un lungo pezzo di Robert Levine chiamato The Death Of High Fidelity - In The Age Of MP3s, Sound Quality Is Worse Than Ever, postato in data Dec 26, 2007 1:27 PM, che è scoppiato il pandemonio.


E ora?

Non è facile da capire. Il fatto che i CD hanno un volume sempre più alto - e, di conseguenza, un suono di gran lunga peggiore - è stato messo in correlazione con la circostanza che oggi la musica viene ascoltata in ambienti sempre più rumorosi quali le automobili e le stanze delle università - e niente affatto, va da sé, come "attività esclusiva". (Non era possibile ascoltare gli LP in macchina.) E nessuno vuole che il proprio album suoni moscio: perfino artisti dai quali ci aspetteremmo un ben diverso comportamento - Joni Mitchell e Lyle Lovett sono stati citati in proposito - hanno recentemente pubblicato album che sono stati definiti dal suono "più forte" - e dunque, "con meno vita" - di quello che appariva lecito attendersi da loro. E anche il recente Best dei Led Zeppelin appare essere stato messo in grado di competere in un mondo abitato dai Foo Fighters. E quando si parla di file la praticità d'uso e la portabilità sono quanto di più desiderabile, no? Come conseguenza, viviamo nell'epoca del "buono quanto basta". Ovviamente, ascoltare un album come un tutto - e perfino concepire un album come un "tutto" dotato di senso - è una cosa del passato nell'era del pezzo singolo.

Chi non ha niente di meglio da fare è invitato ad ascoltare in sequenza le molte edizioni digitali degli "album classici" realizzate dall'introduzione del(l'allora) nuovo formato e a trarre le proprie conclusioni.

Artisti e tecnici sono stati chiamati a raddrizzare le cose. Le prospettive non sono buone.


Riteniamo che nulla ci parli delle condizioni presenti meglio di questa affermazione di Bob Olhsson apparsa sul pezzo di Mixonline precedentemente citato:

"Negli anni Sessanta un disco era un lusso; l'idea che esso potesse essere una merce usa e getta era assurda per me. Allora tu non compravi un sacco di dischi, compravi quei dischi che erano speciali per te e li ascoltavi continuamente. E certamente sei meno disposto ad ascoltare continuamente un disco distorto di quanto tu non abbia voglia di sentirne uno che ha un suono spettacolare. E io non credo affatto che sia una faccenda di essere un audiofilo, o uno specialista, o niente del genere. Credo davvero che una persona qualunque sia in grado di percepire la differenza. Non sarà in grado di identificare quello che sta ascoltando da un punto di vista tecnico, ma io credo davvero che la gente percepisca l'effetto del suono e della qualità sonora. Non credo affatto all'idea che sia una cosa senza importanza e che tu dovresti lavorare al più basso denominatore comune".


© Beppe Colli 2008

CloudsandClocks.net | Jan. 4, 2008