Almost Cut My Hair/
Déjà Vu

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di Beppe Colli
Dec. 15, 2013



Crediamo sia pressoché impossibile, oggi, trasmettere in modo adeguato a chi non c'era - un'entità collettiva che potremmo realisticamente designare come "i sottocinquanta" (una volta li avremmo definiti "i post-punk", e lo faremmo ancora, non fosse per il fatto che il trascorrere del tempo ha reso la "cesura del punk" un'entità non meno fantasmatica dello "spirito di Woodstock") - le dimensioni della popolarità di un gruppo come Crosby, Stills, Nash & Young durante i primi anni settanta. Ed è ovvio che quando parliamo di "dimensioni" non ci riferiamo all'enorme numero di copie vendute dai loro album e alla gran quantità di megaconcerti che facevano regolarmente registrare il tutto esaurito (il gran pregio della Rete essendo quello di rendere agevole a chiunque il reperimento dei "nudi dati") ma al "senso" che quella enorme popolarità aveva per il loro pubblico.

E' un problema che l'illustre quartetto condivide con la gran parte degli "oggetti" popolari qualora visti da chi si guarda indietro (almeno fino al giorno in cui ogni sguardo non equiparerà un oggetto del passato a un versione obsoleta di un programma di software) con l'aggiunta di una specifica "distorsione". Se chi vive il presente considera il passato un'era meno "perfezionata" rispetto all'oggi diventa molto semplice "spiegare" la mancata popolarità di cose oggi celebri (due esempi: Velvet Underground e Nick Drake), anche se si danno rari casi in cui gli "antenati" hanno visto giusto (due esempi: Doors e Led Zeppelin); va da sé che in questa cornice perde ogni senso l'interrogarsi su cose un tempo popolari di cui poco o nulla sappiamo (due esempi: i Beatles e Bob Dylan; in parallelo, i Creedence Clearwater Revival), un'attività paragonabile a chiedersi cosa facessero gli Ittiti nel tempo libero.

Durante quei pochi anni i quattro conobbero una celebrità che non sarebbe esagerato definire "beatlesiana" - a patto di aver presente quel carattere di cesura culturale di dimensioni planetarie che rende i Beatles un unicum irripetibile. Diciamo popolari quanto lo erano i Rolling Stones di quegli stessi anni - e sono quelli del periodo magico che parte da Beggars Banquet e Let It Bleed per arrivare a Sticky Fingers e a Exile On Main Street - anche se poi, sciolti i Beatles, "azzoppato" Dylan, gli Stones finirono per incorporare pressoché per intero il "valore aggiunto" dell'eredità degli anni Sessanta proiettati nel futuro. Certo non meno popolari dei Led Zeppelin, anzi - ché qui una dimensione maggiormente pervasiva ne rese il messaggio "controculturale" più adatto a infiltrarsi nel clima dei tempi; una popolarità di più breve durata impedì però a quel periodo di diventare "massa critica" di monolitica auto-evidenza come fu invece nel caso dei Led Zeppelin.

A lato, una considerazione tutt'altro che accessoria. Qualcuno - ci pare si trattasse di Dave Marsh - ha detto di Neil Young che "se siamo disposti a ignorare i suoi passi falsi il suo apporto alla musica è semplicemente gigantesco" - che è esattamente quello che è avvenuto. Se esaminiamo il divario qualitativo esistente tra la produzione solista dei quattro non possiamo non tenere in debito conto la smodata passione di alcuni di loro per i pregiati prodotti di esportazione tipici di Paesi quali la Colombia e il Perù - qui le biografie liberamente accessibili su Wikipedia illustreranno tutti i particolari della vicenda. Il combinato disposto di questi elementi essendo che oggi il quartetto viene tutt'al più ricordato quale appendice accessoria della carriera di Young.

Una veloce occhiata al lato quantitativo. L'esordio di Crosby, Stills & Nash (1969), oggi multiplatino (detto "quello con il divano" per evitare di confonderlo con "quello con la barca" del 1977 che porta lo stesso titolo), è uno spartiacque della musica statunitense, e diremmo vano il tentativo (quasi) recente di attribuirne l'onore alla "svolta acustica" del Bob Dylan di John Wesley Harding (1967). Si aggiunge Young, e Déjà Vu (1970), unico album di studio del quartetto, va dritto al numero uno. Seguono frenetici tour, alla fine dei quali il gruppo, litigiosissimo, di fatto si scioglie. Ma prima che un altro numero uno, il doppio dal vivo Four Way Street (1971), contenente materiale che al momento in cui il pubblico dei concerti si trovò ad ascoltarlo era in buona parte inedito (sia consentito un momento di nostalgia per i tempi in cui i musicisti potevano rodare il materiale sul palco senza eccessivo timore di passi falsi, l'ascolto essendo limitato ai soli spettatori presenti in sala) sancisse la fine non dichiarata della storia, i quattro avevano già pubblicato album solisti destinati a rimanere splendidi archetipi: After The Gold Rush di Neil Young, l'album di Stephen Stills che porta il suo nome, If I Could Only Remember My Name di David Crosby e Songs For Beginners di Graham Nash.

Il seguito non fu certo roba di poco conto. Neil Young vinse la lotteria con Harvest (1972) e con il singolo che da esso fu tratto, Heart Of Gold, entrambi numeri uno. Stills pubblicò Stephen Stills 2 e diede poi vita al supergruppo denominato Manassas, che debuttò con un doppio LP. Crosby e Nash incisero l'album intitolato Graham Nash/David Crosby, un Top 5. La fama dei quattro rimase a livelli stratosferici, cosa che consentì alla raccolta So Far - due facciate per un gruppo che ne aveva incise in tutto quattro, più un singolo - di andare dritto al numero uno, la remunerativa ricostituzione del '74 che girò gli stadi di mezzo mondo non avendo prodotto un solo brano inedito.

Il peso di un gruppo si misura anche dalla sua influenza, e a questo riguardo i quattro non se la passano male, come una conoscenza della loro produzione discografica consentirà senza fatica di accertare. Si tratta di una dimensione altamente stratificata. Se è vero che il brano Horse With No Name che lanciò gli America suona proprio come una canzone di Neil Young - e ancora oggi c'è chi lo crede - ben pochi guarderebbero in direzione del "Prog" inglese. Eppure basta considerare gli Yes di The Yes Album e Fragile - si ascoltino le linee vocali di brani quali Yours Is No Disgrace e Roundabout - e i Supertramp delle canzoni di Roger Hodgson, dal celeberrimo Crime Of The Century fino al vendutissimo Breakfast In America, con in primis The Logical Song, per aggiungere un altro tassello al mosaico.

Ma influenza vuol dire anche considerare il suono delle chitarre (acustiche), e qui sopravvalutare il quartetto è davvero impossibile. Posto che un pensiero doveroso va rivolto anche a James Taylor, fu l'esempio dei quattro a convincere persino fonici riottosi di oscure parti del mondo a riconsiderare il loro modo di incidere le chitarre acustiche. Fu così che ebbe inizio la caccia alle Martin del periodo pre-bellico e si diffuse l'uso degli specchietti da dentista per esaminare le "carenature" (dovrebbe essere questa la parola italiana che traduce l'inglese "bracing"). Il volume era una delle caratteristiche fondamentali delle chitarre acustiche destinate a soverchiare il rumore di fondo delle coffee-house dove si eseguiva musica folk - chi ha visto quelle foto in cui Tim Buckley imbraccia una Guild 12 corde potrebbe credere che essa appaia di così grandi dimensioni perché rapportata alla bassa statura e alla struttura mingherlina del musicista; si confronti allora la Guild imbracciata da Nick Drake, che crediamo fosse alto circa un metro e ottanta, sulla copertina di Bryter Layter. Così le Martin del quartetto cambiano il suono del "rock" registrato. Se il famoso suono di Beggars Banquet, e quello altrettanto famoso dell'acustica suonata da Jimmy Page sui primi album dei Led Zeppelin, è quello di una Gibson (e a quello Keith Richards rimarrà fedele per gran parte degli album seguenti, da Wild Horses a Angie), con Crosby, Stills, Nash & Young la tavolozza si amplia.

Se la fama di Young ci consente di passare oltre, rimane misteriosa la sottovalutazione di cui oggi è bersaglio il lavoro degli altri tre. Già collega di Young nei Buffalo Springfield, Stills era un musicista versatile che padroneggiava con estrema scioltezza molti strumenti - e qui diremmo che il primo album del trio, dove Stills suona quasi tutto, parli da solo; segnaliamo la solista rovesciata di Pre-Road Downs, a testimonianza dell'attenzione con la quale Stills seguiva il lavoro di Jimi Hendrix, e il dialogo degli armonici delle due acustiche che appaiono su canali opposti in You Don't Have To Cry. Già a partire dal primo singolo di successo del trio, Marrakesh Express, Nash portava a maturazione un'essenzialità della scrittura che diremmo "di marca Beat" che testimoniava della sua lunga militanza nel gruppo degli Hollies, famosissimi rivali dei Beatles. Crosby portava in dote le accordature aperte e le armonie insolite di brani dalla costruzione "aerea" che facevano tesoro della lezione dei Byrds, celeberrimo gruppo di cui era stato uno dei fondatori.

Lasceremo sullo sfondo le miserie di carattere giornalistico che hanno pesato sulla fortuna critica di molti musicisti, i tre/quattro essendo tra questi (anche le recensioni dell'epoca degli album di Young erano in buona parte tutt'altro che positive). Lester Bangs (Rolling Stone # 80, April 15, 1971) non era stato tenero nei confronti di If I Could Only Remember My Name di David Crosby, album che pur nel variare dei formati ci risulta essere sempre stato in catalogo dal giorno della sua pubblicazione; del tutto assurdo, quindi, il parere di Rob Sheffield che sullo stesso giornale (in data Jan 10, 2007), recensendone una ristampa, lo definisce "This 1971 curio" (...) "Forgotten by rock history".


Due le canzoni di David Crosby sul primo album del quartetto: Almost Cut My Hair e Déjà Vu, composizione che dà il titolo all'album. Si tratta di brani all'epoca celeberrimi, con il primo a fornire lo schema per innumerevoli "versioni casalinghe" di gruppi volenterosi e il secondo a illustrare con chiarezza i modi con cui può rimanere "ancorato" qualcosa che sembra "più leggero dell'aria". Sono brani esemplificativi delle due dimensioni alle quali si era soliti fare riferimento nella "letteratura" dell'epoca: "outer space" e "inner space", laddove la prima, già riferita allo "spazio esterno", si allarga a designare lo spazio sociale, con la seconda a indicare "l'interiorità" dell'individuo (non si dimentichi che "Inner Space" era il nome dello studio di registrazione dei Can).

Come largamente provato dal fiorire di credenze di origine "orientale", o quanto meno "extra-occidentale", che mettevano in discussione quella sfera della "materialità" che si voleva imperante nell'America del boom post-bellico, quello di Déjà Vu (la reincarnazione) è argomento molto meno peregrino di quanto l'abitudine all'oggi farebbe supporre. Accordature aperte, armonici, larghi spazi di silenzio e un'armonica a bocca, quella di John Sebastian (che un tempo avremmo definito "dei Lovin' Spoonful di Summer In The City", o "che rimane nel ricordo per quella Younger Generation eseguita a Woodstock", ma che oggi siamo costretti a dire) famosissimo per aver suonato con lo pseudonimo di G. Puglese la parte di armonica di Roadhouse Blues, brano di apertura del notissimo album dei Doors che porta il titolo di Morrison Hotel.

All'epoca spesso oggetto di dileggio per la sua presunta dimensione insulare di preoccupazione da poco, Almost Cut My Hair ha in realtà l'immediatezza delle ripercussioni dei gesti di ogni giorno - una preoccupazione che costringe a fare i conti con cose quali il portare i capelli lunghi in un mondo che li porta ancora estremamente corti. Qui la narrazione mostra la luce sinistra di eventi comuni ("Like looking in the mirror and seeing a police car") e indica nel rifiuto ("But I'm not giving an inch to fear") il microcosmo di una ribellione di più estesa portata.

(Chi suona l'assolo di basso su Déjà Vu? Le note di copertina dell'album originale indicano Greg Reeves quale bassista, ma l'ascolto comparato delle parti di basso suonate da Stills sul primo album del trio sembrerebbe indicare che lo stesso Stills abbia suonato questo strumento anche sui brani di Déjà Vu da lui composti. L'assolo su Déjà Vu è in effetti un po' troppo fluido per essere attribuibile a Stills, non fosse per il fatto che rispecchia perfettamente l'assolo di chitarra, con tutta evidenza suonato da Stills. Ci sentiamo di congetturare un assolo suonato facendo scorrere il nastro a mezza velocità in sede di registrazione e poi riportato a velocità normale, cosa che a nostro avviso spiegherebbe l'eccessiva prontezza di attacco nell'inviluppo delle note, in verità poco plausibile per corde di elevata massa - e quindi, elevata inerzia - come quelle tipiche di un basso elettrico.)

Una dicotomia che corre in parallelo è presente sui due brani dell'album che portano la firma di Graham Nash: Our House e Teach Your Children, all'epoca famosissimi materiali d'alta classifica. Se Our House, com'è largamente noto, registra la cronaca del rapporto di coabitazione con Joni Mitchell, è Teach Your Children - arricchito dalla steel guitar di sapore country di Jerry Garcia dei Grateful Dead - a costituire il momento più insolito, con il suo impegno concreto a cercare un "codice di comportamento" ("You who are on the road/Must have a code that you can live by") in un momento in cui le regole sembrano essere viste soprattutto come qualcosa da distruggere.

Ed è proprio Graham Nash - che, in quanto inglese, aveva una conoscenza di prima mano dell'esistenza delle classi sociali - a comporre un brano che già nei concerti che finiranno su Four Way Street (dove viene dedicata "al sindaco Daley") dimostra il suo valore di manifesto: Chicago, poi inclusa su Songs For Beginners. Nash continuerà nel tempo a scrivere brani semplici di grande "impegno civile", come ben dimostrato dalle canzoni poste in apertura e chiusura del già citato Graham Nash/David Crosby. Si ascoltino i groove della sezione ritmica, dove alla batteria troviamo il già quasi Jefferson Airplane Johnny Barbata: se il basso pigro di Chris Ethridge su Southbound Train, unitamente alla pedal steel di Jerry Garcia, fa da cornice a una narrazione che si vuole chiara, quello frenetico di Greg Reeves rende appropriatamente scoppiettante l'atmosfera di Immigration Man.


Ignoriamo quanti lettori conoscano oggi il nome di Mary Ann Vecchio. Siamo però pronti a scommettere che molti ne conoscono la figura senza saperlo. Mary Ann Vecchio è infatti il nome della ragazza - all'epoca quattordicenne - che vediamo inginocchiata e in lacrime in una celebre foto che poi vinse il premio Pulitzer. Era il 4 maggio del 1970, e la Guardia Nazionale dell'Ohio aveva appena fatto fuoco sugli studenti che manifestavano alla Kent State University. Le foto dell'avvenimento fecero il giro del mondo, impressionando innanzitutto gli americani (i cui figli, sia detto per inciso, frequentavano proprio università come quella).

Un'occhiata alle date. La sparatoria ha luogo il 4 maggio, e il 21 dello stesso mese Crosby, Stills, Nash & Young entrano in studio per registrare una nuova canzone scritta da Young, Ohio. Passano pochi giorni, e il nuovo singolo del quartetto (la cui Teach Your Children è ancora saldamente in classifica) viene pubblicato con sulla facciata B la Find The Cost Of Freedom di Stills. Testi in copertina ("Four dead in Ohio"), con un esplicito riferimento all'allora Presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon. E un classico che rimane tale ancora oggi.


Crediamo oggi sconosciuta ai più, quella denominata "Operation Intercept" fu un'operazione di polizia annunciata dal Presidente Nixon il 21 settembre del 1969 che provocò la quasi totale chiusura dei confini tra Stati Uniti e Messico. Lo scopo era quello di intercettare l'enorme quantità di marijuana che giungeva negli Stati Uniti in un periodo dell'anno considerato quello del raccolto.

Il lettore ne troverà ampie tracce nell'introduzione parlata che Johnny Kay degli Steppenwolf fa al brano intitolato Don't Step On The Grass, Sam nell'esecuzione contenuta su Steppenwolf Live. Ricordati oggi (quasi) esclusivamente per il brano Born To Be Wild, al tempo di Live gli Steppenwolf avevano da poco dato alle stampe quello che è forse il loro album migliore, Monster, dove Kay - un immigrato di origini tedesche di evidenti simpatie "labour" - aveva incluso brani dal sapore politico a tutto tondo: Monster, Draft Resister ("An American deserter/Who found peace on Swedish ground"), Power Play, Move Over - non dimenticando la pagina di commento sul valore terreno delle religioni contenuta su From Here To There Eventually.

Narrazione sulfurea anche per i Jefferson Airplane, che sul singolo intitolato Mexico, con eloquente illustrazione di copertina, presero il toro per le corna ("A donde esta la planta, mi amigo, del sol") con toni alquanto sbrigativi nei confronti di "Richard". Il tutto all'insegna di quella visione del "giornalismo in musica" che con tutta evidenza originava dal folk come "narrazione di classe".

Una storia che preghiamo il lettore di tener presente qualora gli capitasse di vedere il film del 1970 intitolato Woodstock. Se dietro la Freedom eseguita da Richie Havens ci sono il Gospel e il Blues, la I-Feel-Like-I'm-Fixing-To-Die Rag di Country Joe McDonald (detta anche il "F.U.C.K. cheer") ha ancora il calore dei comizi del sindacato.


Il fatto che John Lennon avesse intitolato Revolution una sua canzone (al tempo della sua prima pubblicazione, famosissima - facciata B del million seller Hey Jude - e molto vivacemente commentata) indusse "Speedy" Keen a cambiare il titolo della sua Revolution in Something In The Air. Sotto la sigla Thunderclap Newman la canzone fu un numero uno in quasi tutto il mondo, presenza perenne in colonne sonore a partire da The Magic Christian e The Strawberry Statement, soggetta a innumerevoli rifacimenti (non troppo indietro nel tempo, anche Tom Petty).

La morale di Street Fighting Man dei Rolling Stones - singolo nell'estate del '68 negli Stati Uniti e nell'Europa continentale - fu sottoposta a un esame al microscopio. Era o no la prova che il gruppo era formato da opportunisti che sfruttavano il clima del momento per ingraziarsi le schiere degli acquirenti di dischi? Era o no Mick Jagger il Ponzio Pilato della situazione?

Se consideriamo il suono della musica, il gruppo aveva già risposto tre anni prima, quando (I Can't Get No) Satisfaction era stato il singolo dell'estate del 1965. E anche We Love You, con il suo rumore di passi di secondini, di cancelli di ferro che sbattono, con la frase concitata del pianoforte di Nicky Hopkins a introdurre e il mellotron "arabo" di Brian Jones a chiudere parlava chiaro. Per non dire di Jumpin' Jack Flash.

Un suono "rivoluzionario" è tale per le orecchie di chi lo ascolta, e le convenzioni sonore mutano e rendono "innocuo" quello che prima sembrava la trasposizione fedele del fare fuoco e fiamme.

Difficile oggi credere al valore "civile" di un brano una volta celeberrimo quale The Sound Of Silence di Paul Simon, million seller in tutto il mondo. Laddove lo spirito "liberal", inclusivo, del Paul Simon "urbano" era espressione di qualcosa che entrava adesso (cioè a dire, allora) nel lessico di massa: "alienation". E non è un caso che sia un'aria Gospel a innestarsi in quella Bridge Over Troubled Water che precede di poco You've Got A Friend, vero e proprio inno della generazione dei boomer.


E' giunto il momento di chiudere l'album dei ricordi. Ma rivisitare quel tempo implica chiedersi perché le preoccupazioni di allora siano pressoché scomparse oggi. O almeno, così sembra se ascoltiamo la musica che emerge. E' ben possibile che i temi da noi evidenziati siano presenti in canzoni che non conosciamo perché "sotterranee". Ma il punto è proprio questo: che i brani da noi citati erano scritti e cantati da artisti che occupavano le vette commerciali della musica di massa.

Rivisitare le canzoni del passato mette di fronte al fatto evidente che "elementi" che un tempo non venivano neppure notati - la loro presenza facendo per così dire "parte del paesaggio" - saltano agli occhi perché siamo poco abituati a incontrarli nelle nuove canzoni: il paesaggio (in senso letterale), e i tratti individuali di posti, costumi e persone che rendevano quelle "cose" diverse da tutte le altre.

C'è poi il rapporto tra l'individuo e "gli altri", che un tempo si presentava sotto un segno di inclusione e a volte anche di "rappresentanza"; per contro, oggi si ha spesso la sensazione che il soggetto percepisca la propria esperienza come conclusa in se stessa.

Sembra avanzare quella che si è soliti chiamare "l'individualizzazione della società", con la dialettica "individuo-società" che vede il secondo termine ormai sbiadito in procinto di scomparire. Un'occhiata ai dati anagrafici non è di conforto, con la Annie Lennox attivista Greenpeace nata nel 1954 e il "punk terzomondista" Joe Strummer nato nel 1952. E se ci guardiamo indietro crediamo di vedere il movimento Red Wedge dei tempi della Thatcher quale esempio più recente di "attivismo in musica" su base di massa.

E' un interrogativo che già altri si erano posti al tempo della prima (!) "Guerra del Golfo": perché un conflitto di tale estensione non aveva trovato un contraltare in musica. Ci fu chi giustamente sottolineò la differenza esistente tra una guerra come quella del Vietnam, basata sulla leva, e una affidata in gran parte a un corpo professionale (e non erano ancora stati inventati i droni!). Si stenta però a credere che la "revolution" cantata da Gil Scott-Heron non trovi una rappresentazione artistica solida di natura collettiva neppure mentre si smantella il welfare state.


© Beppe Colli 2013

CloudsandClocks.net | Dec. 15, 2013