A proposito di
un articolo su
Robert Moog

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di Beppe Colli
Aug. 30, 2005



E' stato qualche mese fa che abbiamo casualmente appreso della grave malattia che aveva colpito un appena settantunenne Robert Moog. E dato che il messaggio - postato su un Forum che ospita solitamente interventi di tecnici e produttori - parlava apertamente di prognosi infausta, era naturale leggere di ricordi personali di tanti intervenuti la cui concezione della musica era stata in un modo o nell'altro modificata - fosse in veste di musicista che di semplice ascoltatore - dall'utilizzo di uno di quei sintetizzatori che portano il nome del loro inventore. Un'identificazione divenuta alla fine degli anni sessanta tanto stretta da rendere il nome Moog equivalente generico di sintetizzatore, proprio come al tempo in cui l'espressione "basso Fender" era entrata nell'uso comune quale sinonimo di "basso elettrico"; lo stesso Robert Moog amava ricordare, non poco divertito, la foto su due pagine apparsa su un giornale, laddove la pagina sinistra recava l'indicazione "Il compositore" e quella destra "e il suo Moog" - ma lo strumento mostrato era un ARP!, all'epoca principale concorrente del Moog.

Naturalmente, dato che il nome, il lavoro, l'importanza e l'influenza di Robert Moog sono stati discussi per decenni, anche al di fuori delle sedi istituzionali, non c'era molto da aggiungere se non rimandare a qualche articolo o libro. (Una svelta introduzione di agevole reperibilità è l'articolo di Frank Houston apparso sul giornale in rete denominato Salon in data 25 aprile 2000.) Del tutto diverso, ovviamente, il caso della stampa (cosiddetta) non specializzata.


Nonostante sapessimo già, ci è molto dispiaciuto, sfogliando il quotidiano la Repubblica del 23 agosto, trovare un articolo che annunciava la morte di Moog (Addio a Robert Moog, l'uomo che cambiò la musica, a firma Ernesto Assante). Prima di cominciare a leggerlo abbiamo inspirato forte e contato fino a dieci: è fin troppo facile infatti dimenticare che la funzione informativa di un quotidiano non è certo quella di spiegare al lettore la differenza che passa tra un filtro a quattro poli e uno a due poli o tra due diversi tipi di inviluppo. Una spiegazione chiara seppur non troppo approfondita, alcuni esempi caratterizzanti: questo è quanto di solito ci aspettiamo. Abbiamo quindi cominciato a leggere.

"(...) il Moog, monofonico e estremamente ingombrante, ma in grado di produrre suoni in maniera completamente nuova. Suoni che cambiarono rapidamente la faccia della musica popolare, segnando dischi come Abbey Road dei Beatles, Who's Next degli Who, Beggar's Banquet dei Rolling Stones, Pet Sounds dei Beach Boys." Ora, se è pacificamente ovvio che ognuno di noi tiene inconsapevolmente in serbo una lista di quelli che sono (ovviamente!) i migliori esempi dell'uso del Moog, pure la scelta dei quattro titoli citati ci è parsa discretamente perversa. Pubblicato nel 1966, Pet Sounds è anteriore a quella che è con tutta evidenza la data spartiacque in termini di utilizzo: il 1968, anno di pubblicazione dell'album (che creò tutta un'industria) Switched-On Bach di Walter (poi Wendy) Carlos. Diverso è il caso degli altri tre album citati: Abbey Road (1969) presenta in qualche brano il classico Moog modulare, ma non è certo il Moog lo strumento che lo caratterizza. Who's Next (1971) presenta un evidente e decisamente caratterizzante uso dei sintetizzatori - nessuno dei quali è però un Moog! Come indicato anche in copertina, all'epoca Townshend usava prevalentemente i sintetizzatori statunitensi della ARP (si ascolti la celeberrima Baba O'Riley) e filtrava l'organo nel VCS3 (un sintetizzatore Made in UK ai tempi usatissimo da gruppi inglesi e tedeschi - e qui da noi da Franco Battiato - soprattutto in virtù del basso costo e della configurazione in patch bay: Eno docet): e qui basta citare la famosissima introduzione di Won't Get Fooled Again. Lascia altrettanto perplessi l'inclusione di Beggars Banquet (1968), pregevole album dagli stilemi rock/blues/country/gospel che non può però certamente dirsi essere segnato dai suoni di cui si sta dicendo! (Per chi ama spaccare il capello in quattro: posto che tra i dischi del gruppo inglese Beggars Banquet è forse il più omertoso in termini di accreditamenti, c'è chi asserisce che un sintetizzatore è presente sul solo Jig-Saw Puzzle, brano che in origine chiudeva la prima facciata, suonato dal bassista Bill Wyman; ma c'è chi sostiene di aver ascoltato nastri "grezzi" dell'album che dimostrano come il suono sia in realtà prodotto da un organo Hammond, suonato dal pianista Nicky Hopkins.)


"Bob Moog, il primo grande erede delle intuizioni del futurista Luigi Russolo" è certo frase in grado di fare una certa impressione, soprattutto da quando Trevor Horn - per il tramite del trendista The Face e poi via via fino all'odierno The Wire - ha reso moneta corrente il nome di Russolo e del suo intonarumori. La frase corre però il rischio di ingenerare nel lettore non avvertito l'impressione di una terra desolata che si estende tra Russolo e Moog, mettendo in ombra il ricco retroterra accademico con il quale Robert Moog lavorò spesso in simbiosi, musicale se non strettamente tecnica; primo esempio fra tutti l'inviluppo ADSR, che come Moog ha dichiarato fu specificato da Vladimir Ussachevsky, presidente dello storico e illustre Columbia Princeton Electronic Music Center. La genialità - musicale e tecnica - di Moog fu quella di produrre un sintetizzatore modulare decisamente più "portatile", relativamente agevole da programmare ed economico ($10.000, circa un decimo) degli esemplari prevalentemente accademici fino allora esistenti; vanno poi aggiunte la personalità del filtro (la "voce") e la stabilità degli oscillatori. Altro che le "intuizioni" di Russolo!

L'articolo procede poi a elencare una serie di nomi, con alcune curiose imprecisioni e omissioni. Menzionato il disco di Walter Carlos del 1968, nessuna menzione viene fatta dell'utilizzatore primo delle apparecchiature elettroniche: l'industria cinematografica; motivo per cui, grazie a due nomi famosissimi come Paul Beaver e Bernie Krause, un innovativo Moog "losangelino" compare sul celebre Strange Days (1967), secondo album dei Doors. Non viene mai citato Isao Tomita, la cui popolarità per tutti gli anni settanta rivaleggiò con quella di Carlos. Stranamente non compare neanche il nome di Frank Zappa, che grazie all'uso fattone da Don Preston mostrò a molti un uso del Minimoog senz'altro diverso dalle coordinate emersoniane. Ma anche Emerson (che tra l'altro all'epoca non era certo una "star mondiale con Emerson, Lake & Palmer", visto che suonò per la prima volta il Moog proprio sull'omonimo disco di esordio del trio!), va detto, si prese i suoi bravi rischi (e forse ebbe i primi presentimenti del diluvio di là da venire nel momento in cui utilizzò il sequencer Moog su Brain Salad Surgery). Viene giustamente citato Stevie Wonder - ma stranamente non Malcom Cecil e Robert Margouleff, i due T.O.N.T.O. che lo introdussero ai modulari Moog e li programmarono per lui. C'è anche Herbie Hancock "che lo utilizzò con i suoi Headhunters per gettare le basi del jazz-rock"; però, anche qui, il disco Head Hunters non utilizza nessun sintetizzatore Moog ma: Fender Piano, Hohner Clavinet e due sintetizzatori della ARP (e a differenza di Stevie Wonder, Hancock non ebbe mai una vera "timbrica Moog"). Stranamente non vengono citati non diciamo un Chick Corea qualunque, ma neppure Joe Zawinul e quel Jan Hammer (!) che diede al Minimoog la sua voce solista "standard" capace di competere prima con la chitarra di John McLaughlin nella Mahavishnu Orchestra e poi di fungere da prototipo per mille tastieristi (e chitarristi) rock nello Spectrum di Billy Cobham. (En passant, riveduta e corretta con Yamaha DX7 quella di Jan Hammer fu una voce influente su scala planetaria grazie alla serie televisiva Miami Vice: com'è che nessuno si sporca mai le mani a ricordarla?)

Ci sarebbero diverse altre cose che appaiono decisamente discutibili, anche a voler considerare il fatto che rivolgersi a un pubblico che - per definizione - "non sa" può costringere a volte a tagliare le argomentazioni con l'accetta. Però pare del tutto assurdo sostenere che "Una intera generazione di ragazzi, negli anni Ottanta, seguendo le indicazioni di Moog, sostituì le chitarre prima con le tastiere elettroniche a basso costo e poi, oggi, con i computer (...)". Questo è un fatto sul quale ognuno può ovviamente esprimere le più diverse opinioni. Ma che queste fossero le indicazioni di Moog? La rivoluzione del chip economico, delle tastierine Casio e Yamaha da poco prezzo, non ha certo prodotto strumenti sofisticati, solo più economici e limitati. Mentre l'esito commercialmente fallimentare degli "alternate controllers" (spesso sofisticatissimi, e dagli esiti artisticamente fertili) ci dice di un utente impaziente che rinuncia a un intervento attivo in cambio di un'interfaccia semplice che gli consenta una lesta scelta tra un numero vasto ma predeterminato di opzioni. Come ebbe a dire lo stesso Moog intervistato da Robert L. Doerschuk sul mensile statunitense Keyboard (February 1995): "Una persona che prova soddisfazione a suonare la tromba non troverà soddisfacente suonare un suono di tromba su un campionatore, perché suonare la tromba è un atto espressivo e creativo mentre suonare un campionamento è solo suonare qualcosa fatto da qualcun altro." Basta?


© Beppe Colli 2005

CloudsandClocks.net | Aug. 30, 2005