Keith Emerson
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di Beppe Colli
Apr. 19, 2016



Un complesso mix di reazioni ha accolto, il mese scorso, la notizia della scomparsa di Keith Emerson. Un'occhiata alla data di nascita consentiva di collocare l'evento nella categoria "morti illustri", dicitura priva di quell'appellativo - "rock" - che solitamente segnala una scomparsa prematura dovuta a ben noti stili di vita. Una morte di tipo "normale", com'era stata in fondo anche quella di David Bowie, qualche mese prima.

Quasi immediatamente giungeva però la notizia ufficiale della causa della morte: suicidio per colpo d'arma da fuoco alla testa. Si aggiungevano di lì a poco notizie di una malattia potenzialmente invalidante che andava a sovrapporsi alle ben note vicende legate a problemi inerenti gli arti superiori. A questo punto il pensiero non poteva che andare alla morte di Robin Williams, ancora recente nel ricordo; e a quella di Philip Seymour Hoffman, anche se in questo caso la parola "suicidio" ha da essere presa con cautela, e in un senso esteso.

Forse era tempo di rispolverare il concetto di anomia. Di certo, la parola "depressione".

Se la memoria non ci gioca brutti scherzi, crediamo di avere letto per la prima volta la parola "Betabloccanti" ("Beta blockers") in relazione a Keith Emerson, all'epoca sofferente di crisi ipertensive dovute alla tensione conseguente al dover suonare sotto gli occhi di migliaia di persone frasi strumentalmente complesse alla velocità della luce.

Solo logico rileggere quanto scritto da Jimmy Webb - leggendario compositore di canzoni che sono parte della storia della musica moderna - nel bel libro dedicato alla composizione intitolato Tunesmith. Webb considera infatti il suicidio come il potenziale esito finale di una situazione di "rischio professionale" connaturata alla condizione di compositore.




E' una parte - quella che introduce il capitolo undicesimo, intitolato Living With It - che va letta per intero, dalla quale estrapoliamo due brevi passaggi: "Songwriters are particularly vulnerable prey for many diseases of the spirit. Their finely tuned emotional nature is a delicate engine, a high-performance racing type but not particularly efficient and prone to breakdowns and costly repairs." E subito dopo, parlando di depressione: "The effort involved in holding this monster at bay creates other vulnerabilities: the temptation to self-medicate along with the addictions that may follow, as well as related professional failures that may destroy a person's faith in their own future."

Lungo l'arco di alcuni decenni, la figura di Keith Emerson è stata per le riviste di tastiere l'equivalente di quello che la figura di Jimi Hendrix è stata per le riviste di chitarre. Ne fa fede la copertina dedicatagli dal mensile statunitense Keyboard allorquando sembrava che il musicista dovesse rassegnarsi ad abbandonare per sempre lo strumento. (E si noti che per Emerson il momento d'oro in termini commerciali era passato da un pezzo.)




Quasi buffo ricordarsi dell'importanza degli arti in un momento in cui sequencer, campionatori, computer e affini dominavano già da tempo il panorama musicale (mentre - forse per pigrizia, forse per incompetenza - non si rifletteva abbastanza su come un gruppo chitarra-basso-batteria-e-voce potesse produrre "l'apocalisse" sul palco: e dire che sarebbe bastato guardare sotto!).

La memoria restituiva quelle buffe liti dal sapore da derby calcistico su chi fosse più bravo, se Emerson o Wakeman.

Emerson se l'era cercata, quando l'abbandono del chitarrista aveva tramutato The Nice in un trio. E qui il paragone con Jimi Hendrix regge, dato un trio che è tutto il contrario del "trio di eguali" come erano i Cream. E mentre una miscela al tempo inedita dove Bach, Sibelius e Tchaikovsky andavano a braccetto di cover di Bob Dylan e Tim Hardin vedeva un Hammond L100 strapazzato e financo accoltellato a creare il necessario appoggio visivo.




Era l'era dei "progressive groups", nel senso dell'epoca di chi "allarga i confini", categoria dove i Family stavano accanto ai Patto e ai Curved Air.

Ricordiamo i nomi dei gruppi che davano largo spazio alle tastiere in funzione solista: Yes, Genesis, Pink Floyd, Gentle Giant, Deep Purple, King Crimson, Van Der Graaf Generator. Vedremo che tutti avevano anche una chitarra o un sassofono in funzione solista, con l'aggiunta in molti casi di parti vocali con indiscusso ruolo protagonista.


La copertina di Keyboard che recava il titolo di Jurassic Rock ospitava tre lunghe interviste ad altrettanti musicisti che in tempi e contesti diversi erano stati delle leggende dell'organo (superfluo qui aggiungere la parola Hammond): Al Kooper, Jon Lord e Felix Cavaliere. Quello che va qui sottolineato è che la parola "Jurassic" non va intesa nel senso di "tempo remoto" ma in quello di "tempo in cui le cose erano diverse". E quello che era diverso era il rapporto tra la prestazione strumentale intesa in senso fisico e il trascorrere del tempo nel momento dell'esecuzione (ricordiamo ancora lo stupore di musicisti invitati a una session di "real time playing").




Potremmo ovviamente allargare il discorso alla categoria di "sintetizzatore solista" che ha avuto quale indiscusso caposcuola Jan Hammer (e notare di passata che Emerson - solista prodigioso, e primo esempio "moderno" di assolo di Moog modulare eseguito in coda a Lucky Man, brano conclusivo dell'album di esordio di Emerson, Lake & Palmer - si situa "a lato" della categoria "lead synth" con rotella del pitch-bend in emulazione del "bending" chitarristico e tastiera "strap-on" indossata con inclinazioni "impossibili").

Si potrebbe discutere a lungo - e perfino litigare - sull'adeguatezza del metro "mi piace perché è bravo". Va però ricordato che "bravo" è concetto misurabile, pur se inadeguato, e quindi "adatto" a reggere l'argomento "mi piace perché è bravo". Passare - com'è avvenuto - a "è bravo perché mi piace" rende ogni dialogo impossibile.


Già decisamente notevole al tempo dei Nice (gruppo celebre ma "di non gran peso" dal punto di vista commerciale), l'influenza del Keith Emerson tastierista divenne gigantesca in seguito alla formazione di quella "macchina da guerra" che rispondeva al nome di Emerson, Lake & Palmer, gruppo tra i più celebri degli anni settanta (qui i Led Zeppelin potrebbero essere un buon metro di paragone).

Ma tutto finisce, e di certo nessuno si azzarderebbe a definire gli anni ottanta quale decennio "emersoniano".

Occorre però essere onesti, e non scegliere solo quegli esempi che portano sostegno alla propria tesi. Si potrebbero citare le tastiere dal sapore "minimale" di Greg Hawkes dei Cars e dichiarare vincente l'approccio "alla Kraftwerk". All'opposto, si potrebbe citare il lavoro tastieristico di Steve Porcaro dei Toto - con bel corredo di sintetizzatore modulare Polyfusion - come correlato a quel senso orchestrale multi-timbrico emersoniano che il progredire della tecnologia aveva reso di meno ardua realizzazione.







C'è un nome che ci piace citare: quello di Dave Stewart, che a partire dal trio degli Egg - una formazione sulla quale l'influenza dei Nice è visibile a occhio nudo - e lungo un tragitto che vede sigle quali Hatfield & The North, National Health, Bruford e Stewart & Gaskin è stato per un paio di decenni tastierista di spicco nel campo stilistico che per comodità denominiamo "canterburiano". Quando l'organo - guarda caso, un Hammond L100 - va in assolo il primo nome che viene in mente è quello di Mike Ratledge dei Soft Machine (si ascolti anche l'intervento solista suonato in qualità di ospite sull'album di Steve Hillage intitolato Fish Rising). Ma con l'allargamento ai sintetizzatori polifonici reso possibile da un minimo di tranquillità economica viene fuori un gusto del colore orchestrale "sintetico" che dichiara con serenità le sue ascendenze (e già l'assolo di MiniMoog su Share It, da The Rotters' Club, aveva mostrato una verve para-emersoniana).


A questo punto arrivò il Punk e fece piazza pulita. Questa la vulgata. Favole a parte, è qui che è obbligatorio porsi la domanda: quanto di quel cambiamento - il lettore conosce già la storia di scioglimenti, inaridimento, semplificazione e mutamento di intendimenti - ebbe natura esogena?

A distanza di quarant'anni, la "sopravvivenza dei dinosauri" è un dato di fatto - il lettore può guardarsi intorno aggiungendo nomi quali Elton John e Rolling Stones a quanto da noi citato (e oltre: come il lettore ricorda, una volta al mese Billy Joel - un nome che siamo forse inclini ad associare al latte scaduto - prende l'elicottero per andare dal tetto di casa a quello del Madison Square Garden, dove suona in cambio di $1.000.000 per poi far ritorno a casa giusto in tempo per la cena) - del tutto incompatibile con l'idea di "cambiamento epocale" quale contrabbandata in passato.

Il 1977 vede Emerson, Lake & Palmer chiudere con perdite da bancarotta - fatto che potrebbe in parte spiegare il paio di album assurdi che seguirono a Works, Vol. I - un tour sold out in ragione di spese colossali non ammortizzabili (forse il trio avrebbe potuto consultare per tempo qualcuno come Mick Jagger).

"I tempi" non erano così univoci. Per fare un esempio, nel 1975 viene pubblicato l'album di solo piano di Keith Jarrett intitolato The Köln Concert, che detiene il titolo di album jazz solo più venduto di tutti i tempi.

Quello che cambiò fu l'atteggiamento della stampa, che - e qui è bene tener presente la "guerra commerciale" tra testate Made in U.K. quali Melody Maker e New Musical Express - tagliò spazio a gruppi "non allineati" quali National Health e 801 uccidendoli nella culla. I vincitori furono la Disco e gli Abba, fino alla "ristrutturazione elettronica a 8bit" che portò in classifica i pupilli di Trevor Horn.

(Che qualcuno abbia ritenuto che togliere di mezzo la musica ispirata a Leoš Janáček e Modest Mussorgsky avrebbe aperto la strada a quella influenzata da Paul Hindemith e Olivier Messiaen dimostra quanto è facile sbagliare.)


Pilotare il passaggio tra i teatri e gli stadi non è stato facile per nessuno, e diremmo che solo i Pink Floyd e David Bowie abbiano al tempo saputo trovare la quadratura del cerchio (maiali esclusi). Dai cannoni che sparavano per davvero ai mostri di cartapesta, Emerson, Lake & Palmer erano e sono indifendibili (e che dire di quel piano rotante sospeso in aria?). C'era anche una debolezza costituzionale del trio, con la ritmica caratterizzante ma ingessata, marziale anche quando non necessario. Emerson aveva un solido retroterra jazz - piano: Brubeck, Monk, Evans; organo: Jack McDuff, Jimmy Smith, Brian Auger (Brian Auger, chi lo ricorda più?) - che rendeva il suo fraseggio elastico. Poi, certo, c'è il problema finanziario legato al nome (due su tre, $5.000, tutti e tre $25.000, o almeno così una volta ci fu detto con riferimento a Crosby, Stills & Nash).

Fonti autorevoli sostengono che - come per i Led Zeppelin - se i primi album di Emerson, Lake & Palmer sono i più celebri, i successivi sono i più solidi.

Ma l'album di esordio - un album che ai tempi non occorreva possedere per conoscere fino agli scricchiolii - coglie i tre in un momento in cui nulla è ancora certo e occorre ancora dimostrare qualcosa.


Keith Noel Emerson: musician. November 2nd 1944 – March 10th 2016


© Beppe Colli 2016

CloudsandClocks.net | Apr. 19, 2016