Ian MacDonald:
un ricordo critico

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di Beppe Colli
Sept. 22, 2003



Erano le 7 del mattino di lunedì 25 agosto quando ci siamo connessi per l'ennesima volta a Rock's Back Pages, il giornale/archivio web diretto da Barney Hoskyns. Nel corso del weekend quel sito non era stato aggiornato - un fatto indubbiamente molto strano. Il nostro sollievo (per una mancata chiusura?) nel veder apparire la home page con i nuovi titoli era però immediatamente svanito nel leggere una scritta su fondo nero: "Revelations In The Head: Ian MacDonald 1948-2003".

Sembrava impossibile: non era poi trascorso molto tempo da quando, in seguito alla nostra recensione di The People's Music, la raccolta di suoi scritti di ancor fresca pubblicazione, Ian MacDonald aveva acconsentito a rispondere alle nostre domande. Ancora più strano leggere Barney Hoskyns che diceva di un suicidio, da collegarsi a un'antica depressione. A quel punto abbiamo cercato di saperne di più, riuscendo infine a scovare alcuni "obituaries" sulle edizioni in Rete di noti quotidiani inglesi: "He was found dead at his home in Gloucestershire on Thursday morning, having posted a note on the door to call the police."


Pur se il suo nome non era molto noto al di fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori (ma quale critico musicale, oggi, lo è?) MacDonald godeva di un certo credito all'interno del mondo della musica classica per aver scritto The New Shostakovich (1990); ma era ovviamente stimato soprattutto per il suo percettivo libro dedicato ai dischi dei Beatles: quel Revolution In The Head - The Beatles' Records And The 1960s tradotto anche in lingua italiana. Mancano, purtroppo, raccolte relative al lavoro svolto negli anni settanta sul settimanale inglese New Musical Express.

Come qualcuno ben sapeva, Ian MacDonald/MacCormick aveva anche collaborato ad alcuni album. Il fratello minore, Bill (gli affezionati fan di Robert Wyatt lo ricordano senz'altro come ottimo bassista sui due album dei Matching Mole), aveva fatto parte dei Quiet Sun insieme a un Phil Manzanera non ancora Roxy Music. E quando a metà degli anni settanta Manzanera aveva inciso alcuni album solo - si vedano Diamond Head, il Listen Now a nome Manzanera/801, e K-Scope - il nome di Ian MacDonald/MacCormick aveva fatto capolino nella lunga lista dei collaboratori. Un quotidiano ha citato anche Sub Rosa, l'album di canzoni inciso da MacDonald nel 1990 e del quale chi scrive ignorava totalmente l'esistenza.


Per motivi cronologico-geografici non sappiamo al momento cosa abbiano scritto testate inglesi quali Uncut (per la quale MacDonald svolgeva ultimamente la più intensa attività di collaborazione) e Mojo. Non è mancato qualche discreto tributo in Rete, cui si è affiancato qualche intervento assolutamente non necessario né opportuno. La prosa di MacDonald, così controllata e analitica, mai sudata anche nelle occasioni in cui la passione sottostante si indovinava bruciante (l'unico nome al quale potremmo accostarlo sotto questo aspetto è quello del critico jazz statunitense Francis Davis), non era certo in grado di suscitare le reazioni tipiche a un Lester Bangs. Al contrario di certi suoi giudizi. Quello che da ultimo veniva rimproverato a MacDonald è presto detto: l'essersi chiuso a riccio nel ricordo dei suoi Meravigliosi Anni Sessanta, del tutto sordo ai magnifici fermenti che seguirono. Il che è ovviamente una grossolana ipersemplificazione - basta scorrere l'indice della nuova raccolta per averne conferma; e va da sé che la recensione del doppio CD Machine Soul che appare nel volume sotto il titolo di Pulse Of The Machine ci dice di una frequentazione dei materiali trattati né occasionale né scarsamente percettiva (siamo sicuri che la stessa cosa possa dirsi delle folte schiere di "novisti"?). Ed è fin troppo prevedibile che per qualcuno le modalità di questa scomparsa si riverbereranno sul lavoro, proiettando luce biografica sulle acquisizioni critiche.

In realtà Ian MacDonald è stato forse l'unico critico "rock" che ha tentato di tracciare un quadro interpretativo globale dell'evoluzione della musica vista in relazione alla società in seno alla quale viene prodotta (esplicitamente nella lunga Introduzione a Revolution In The Head e nella Nota alla Cronologia posta in chiusura di quel volume, e inoltre in The People's Music, il lungo saggio che dà il titolo alla recente raccolta). Un tentativo "macro" ad altissimo rischio e, va da sé, non esente da punti deboli o perfettibili. Un tentativo, com'è ovvio, basato su giudizi di valore, ma che non crediamo alcuno si sia preso la briga di confutare su un terreno pertinente all'argomentazione d'origine. (D'altronde, se la maggior parte del tempo viene impiegata nell'ascolto/recensione di CD omaggio a ritmi da catena di montaggio resta davvero poco tempo da dedicare alla teorizzazione, giusto?) Un intervento colto in Rete sintetizzava così il pensiero del suo autore: "Ogni generazione crede che IL SUO New Musical Express sia stato il migliore, e ogni generazione perde il suo CUORE per la SUA strana nuova musica. (...) Un pezzo su un album degli Underworld può toccare qualche ragazzino oggi con la stessa devastante tenerezza e stranezza e verità di come un pezzo di Dylan fece per lui nel 1966...". Ma l'osservazione è assolutamente non pertinente, manca il bersaglio di un buon miglio e lascia del tutto insoluto il problema posto da MacDonald. Non è certo il gradimento soggettivo a essere in discussione! (Dato questo assunto di partenza, ci piacerebbe sapere su quali basi quello scrivente - che è Ian Penman, tra parentesi - si proverebbe a giustificare una sua eventuale ostilità critica per, diciamo, Cristina Aguileira, Britney Spears, i Train o Sting.)

Insomma, peggio che andar di notte.


© Beppe Colli 2003

CloudsandClocks.net | Sept. 22, 2003