Intervista a
Beppe Colli (2015)

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di Beppe Colli
Jan. 29, 2015



Sito non aggiornato da più di un mese e una serie di ipotesi e supposizioni in grado di rivaleggiare con i "rumors" sul Bob Dylan post incidente di motocicletta. Inevitabile andare a vedere...


E allora, che novità?

Alla fine di novembre, nel corso di un accertamento di routine assolutamente non correlato, è stata individuata una strana macchia "dall'aspetto davvero brutto" localizzata nel mio polmone sinistro. Il tutto lasciava ben poco spazio alle ambiguità - ovviamente nei limiti della scienza moderna.


Ma non hai l'aspetto di una persona malata!

E' perché sono sano - come accertato dopo un mese e mezzo di indagini estenuanti.


Phew... E come hai trascorso tutto quel tempo? Hai abbracciato la Fede? Ti è venuto in mente qualche brano tematicamente correlato quale, per esempio, No Time To Live dei Traffic?

Splendido brano. Ma no, niente di tutto questo. Per quanto riguarda l'aspetto pubblico la mia preoccupazione principale era che uno stato psichico non esattamente sereno potesse colorare il mio responso alla musica che avrei potuto recensire. Per fortuna l'editoriale del dodicesimo compleanno era già scritto, l'intervista a Peggy Lee era già fatta e da tradurre. Per il resto avrai notato che ho recensito due libri, cosa che rispetto a un album necessitava di un minore grado di empatia.


Epperò il sito non riparte.

Proprio così. Va da sé che in un mese e mezzo non mi è certo mancato il tempo per tracciare bilanci e rivedere priorità. Qui va detto che non tutto va sempre come previsto nella "ColliLand". Vedi quell'armadio? E' stato comprato con una certa urgenza più di anno fa allo scopo di dare una parvenza di ordine a una serie di LP sparsi un po' dappertutto e ancora da pulire, ascoltare e classificare. Come vedi l'armadio è ancora vuoto e gli LP sono sempre sparsi dovunque. Diciamo "la parte per il tutto", va bene?


Dispiacere?

Ovvio. Cose così non si fanno per caso, e in senso sentimentale interrompere costa. Ovviamente il sito resta pienamente accessibile, innanzitutto per un senso di rispetto nei confronti di musica e musicisti. E poi ci sono tanti link sparsi per il mondo che portano a interviste e recensioni che appaiono su Clouds and Clocks, e vedere la scritta "dead link" su Wikipedia è una delle cose che mi danno più fastidio.


Cosa ti mancherà di più?

Il senso della scoperta. Essere visibile mi ha dato la possibilità di ricevere materiali da parte di artisti la cui esistenza avrei altrimenti ignorato. Il che, se ci pensi, a fronte della miriade di fonti di informazione oggi disponibili, ha un che di paradossale.


Ma quel che dici non rende invece paradossale proprio la decisione di chiudere?

Certo che sì. Ma dodici anni sono dodici anni. Non dimenticare che, cadute le barriere produttive, oggi cercare cose di qualità somiglia pericolosamente a frugare in una discarica, e con il passare del tempo l'odore comincia a rimanerti dentro il naso.


Di cosa ti stai occupando al momento?

Di niente in particolare. Continuo a leggere il blog di Krugman e mi preparo ad aprire l'ombrello.


Ma se parliamo di musica, qual è la cosa sulla quale hai riflettuto di recente?

A dire il vero, la morte di Joe Cocker mi ha riportato alla mente un bel po' di cose.


A partire da Woodstock e dalla celeberrima versione di quel brano dei Beatles.

Ovvio, e da un punto di vista iconografico la cosa è inevitabile. Ma se ti vai a riascoltare il suo album di esordio vedrai che il brano d'apertura è una cover di Feelin' Alright dei Traffic. E che proprio questo brano è stato registrato per ultimo, in un posto completamente diverso - gli Stati Uniti invece dell'Inghilterra - con musicisti che non sono quelli che suonano sul resto dell'album. E' una versione "funk" con venature ritmiche alle quali non è estraneo un colore cubano (al basso c'è una fantastica Carol Kaye), ed è un arrangiamento che a quel tempo saltava fuori dalla radio. Quel che voglio dire è che per avere quel suono Joe Cocker è dovuto andare in America per suonare con dei musicisti americani.


Dove vuoi arrivare?

A quel tempo moltissima musica aveva caratteristiche "regionali". E la "coloritura" di quei ritmi e di quegli accordi era basata su tecniche esecutive che venivano trasmesse per via "orale". Da qualche parte ho una foto di Al Kooper con, mi pare, Otis Spann - se ben ricordo a quel tempo i Blues Project erano in tour con Muddy Waters, e Al Kooper offriva ogni giorno il pranzo a Otis Spann in cambio di "dritte" su ritmi e accordi. C'è un fondo di verità nella frase tante volte sbeffeggiata che recita "ai miei tempi alla radio c'era più varietà", anche se poi come ben sappiamo la frase è molto spesso solo la rappresentazione di un atteggiamento nostalgico per la propria gioventù ormai lontana. Ma a quel tempo se un musicista voleva sapere come veniva ottenuto un certo suono poteva solo congetturare, provare, ed eventualmente andare a vedere di persona. E i ritmi variavano tantissimo - l'ultima volta che ho visto una reimpostazione su scala di massa è stato quando con Bob Marley il reggae è diventato popolare, per i batteristi non era facile ripensare la gerarchia dei pezzi del loro strumento. E questo è un aspetto poco considerato - perché poco compreso, e ancor più oggi - di quello che mettiamo sotto il nome-ombrello di "sperimentazione".


Ma non ne verrebbe fuori un bellissimo articolo?

Ma scusa, a chi potrebbe interessare?


Guarda, mi sbaglierò ma credo che tra quelli che leggeranno la trascrizione di questo dialogo non saranno pochi a trovare interessante l'idea.

Dici? Mah, a me pare che inserita nel contesto di questa conversazione l'idea possa sembrare appetibile in astratto, ma avendo di fronte un titolo quale "L'importanza degli idiomi regionali per la musica degli anni sessanta" chiunque si affretterebbe a girare pagina.


Beh, magari non proprio con quel titolo...

Ovviamente non è solo un problema di titolo. La cosa presuppone la propensione a cercare pezzi in Rete, ascoltarli e confrontarli, cosa tutt'altro che facile quando i pezzi si ascoltano distrattamente solo mezza volta. E come sai benissimo, oggi l'unico posto dove la gente è felice di faticare è la palestra. E poi, non è indicativo il fatto di rubricare la cosa alla voce "fatica"? Quando si notavano le differenze tra Barriemore Barlow e Clive Bunker era perché piaceva ascoltare quella musica e non si potevano non notare quelle differenze, non era come fare i compiti!


Sempre quella nostalgia per gli anni sessanta e settanta!

Ma ci sono tanti meccanismi del mutamento che non sono (più) compresi! Per fare un esempio, antecedentemente all'esplosione delle discoteche in senso moderno - cioè a dire, quelle con i dischi - era tutto un pullulare di locali dove i gruppi suonavano.


Ma che cosa suonavano? Il Top 40! Sai che qualità!

Non pensare alla qualità. Pensa alla necessità di trovare gli accordi di un nuovo brano dei Beatles, o di dover trovare un suono che veniva da uno strumento che teoricamente era uguale al tuo ma che il tuo sembrava non possedere. O l'attenzione necessaria a trovare una parte di basso "sepolta" in un 45 giri.


Ma perché, oggi non è così?

Semplificando assai, oggi quattro amici a cui piacciono gli Slint decidono di comprare gli strumenti e imparano a suonare i pezzi di Spiderland. Dopo un anno li sanno suonare, e a quel punto compongono otto pezzi nello stile degli Slint. Poi fanno un CD e venti concerti gratis. E poi? Con quella tecnica posso fare solo quelle cose.


Ritorniamo al Top 40!

Ogni brano che entra nel Top 40 ti pone un problema diverso. Lascia perdere il gradimento. Torna ai sessanta. Se Samba Pa Ti di Santana entra in classifica ti tocca imparare come fare le note "tenute", se si tratta dei Chicago di 25 or 6 to 4 devi cercare di simulare i fiati con il Farfisa e correre a comprare un pedale wha-wha, per fare Come Together il batterista non deve perdere il tempo durante il passaggio sui tom, per fare Hotel California devi saper scandire il reggae, e possiamo arrivare fino ai Cars. Conservatorio a parte, da dove credi che vengano le forze che fanno esplodere il Prog? Keith Emerson accompagnava P.P. Arnold!


Ma mi pare che sullo sfondo ci sia anche qualche problema di mutamento sociale.

Dici riguardo alla decisione di chiudere? Beh, in effetti c'è. Forte di una millenaria sapienza orientale, un amico mi faceva notare che tanti comportamenti di cui mi lamento devono essere considerati parte dello sfondo. Ma a quel punto cade la motivazione a fare qualcosa. E' chiaro?


Peggio che andar di notte.

Se vuoi, la mia è una versione decisamente casalinga del concetto di "capitale sociale" nell'accezione di Putnam. Immagina una città con al centro una grande piazza, e al centro della piazza un enorme contenitore. Tutti quelli che passano mettono qualcosa dentro, e qualcosa prendono. Non è importante immaginare oggetti precisi - potrebbero essere cose, o comportamenti, o prodotti, o scritti, o informazioni, o forme d'arte... puoi vederlo in senso astratto - né è importante contabilizzare con precisione quanto ciascuno prende o dà. Se il contenitore è pieno tutto è OK. Però con il passare del tempo sempre meno gente mette qualcosa e sempre più gente prende qualcosa. Il contenitore diventa quindi mezzo vuoto. A quel punto chi prende - una categoria che in modo incrementale comprende individui che non mettono mai niente nel contenitore - tende a lamentarsi del fatto che il contenitore è sempre più vuoto, e accompagna la propria crescente rapacità dando calci al contenitore e sputandoci dentro. Il contenitore è sempre più vuoto, e chi prende tende sempre più a prendere delle cose solo perché può farlo, spesso gettandole per terra e calpestandole perché in realtà non sa che farsene. A questo punto partono gli insulti verso chi cerca di mettere ancora qualcosa nel contenitore, e per due ragioni: perché rapportata al vuoto la quantità immessa è troppo poca e perché le cose immesse non sono quello che chi prende si sente in diritto di trovare e prendere.


Non è una prospettiva allegra.

Ascoltiamoci l'introduzione di piano di Nicky Hopkins a Death Of A Clown dei Kinks.


© Beppe Colli 2015

CloudsandClocks.net | Jan. 29, 2015