The Aristocrats
Anfiteatro Hotel Fontane Bianche, Cassibile (SR), Italy
Oct. 14, 2012

All'incirca un mese fa, ci capita di ricevere l'itinerario del tour europeo degli Aristocrats. Diamo un'occhiata alle date, perché in fondo non si sa mai, ovviamente non molto fiduciosi che il trio possa suonare a una distanza abbastanza ravvicinata da consentirci di andarlo a sentire, ma - sorpresa delle sorprese - questa data c'è. Si cerca in Rete, si fanno un paio di telefonate, si manda qualche e-mail, si compra il biglietto, evviva. (In realtà abbiamo volutamente saltato un paio di passaggi, si vede che è destino che la vita non debba mai essere una cosa troppo semplice...)

Le nostre perplessità sul fatto che un trio come questo possa realmente suonare all'Anfiteatro dell'Hotel Fontane Bianche nella ridente località di Cassibile (SR) vengono fugate quando riusciamo a inserire il fatto nella cornice appropriata: il concerto è infatti organizzato dalla filiale locale di una scuola di musica nazionale, e l'evento va in tandem con una "clinic" pomeridiana tenuta dal chitarrista del trio, Guthrie Govan.

Ed è una "clinic" alla quale in fondo ci è dispiaciuto non avere assistito. Con impeccabile serietà professionale (incontrato alla reception, Bryan Beller - il bassista del gruppo - ci aveva detto che erano tutti stanchissimi a causa dell'ora tarda in cui si era tenuto il concerto della sera prima, in Sardegna) Govan si è presentato agli allievi e ha iniziato a inanellare aneddoti accompagnati da passaggi eseguiti in scioltezza, ma mentre ci godevamo degli arpeggi di brani contenuti su Abbey Road (ci riferiamo qui ovviamente all'album dei Beatles) ci siamo ricordati di non aver pagato per la "clinic" e ci siamo quindi allontanati dalla hall dell'albergo, luogo dove i suoni ci giungevano con chiarezza.

E mentre gironzolavamo in giardino ci è capitato di riflettere su come il diffondersi del "modello americano" del pagare per ottenere l'acquisizione di certe "abilità" (che in questo caso i detrattori del modello definiscono "l'acquisizione di capacità motorie") abbia favorito il formarsi di un "mondo parallelo" dove le leggi del consumo come attualmente impersonate dalla Top Forty sembrano sospese. E certo, altri problemi sorgono a rimpiazzare quelli di prima, da un'impostazione "ginnica" dello strumento (che d'altra parte è cosa più facilmente misurabile in senso "obbiettivo" di qualità di più aleatoria definizione quali la "creatività artistica") a quel meccanismo di remunerazione basato sull'endorsement che per funzionare da un punto di vista economico presuppone un seguito non esiguo, e quindi presumibilmente un'accentuazione dell'elemento ginnico di cui sopra, i giovani studenti essendo "non maturi" per definizione.

(Di alcuni interessanti "effetti collaterali" di questo meccanismo narra il batterista Bill Bruford nella sua stimolante autobiografia, non sorprendentemente intitolata The Autobiography, pubblicata nel 2009 dalla Jawbone Press.)

Ed è un mondo del quale chi scrive conosce poco o nulla, come ben testimoniato dal fatto che prima di ascoltare il recente album degli Aristocrats la nostra conoscenza di Govan era pari a zero, mentre quella del batterista del trio, Marco Minneman, si limitava alla sua collaborazione con Mike Keneally. Curiosamente, lo schema è risultato ribaltato nel corso di conversazioni casuali avvenute a ridosso del concerto, e anche qualche giorno prima, chiacchierando con vecchi amici chitarristi amanti della "fusion".

E a ben vedere, anche discutere su che tipo di musica sia contenuta nell'album degli Aristocrats è interessante. Diremmo "fusion" - il che è abbastanza sorprendente, visto che di regola a chi scrive la "fusion" piace poco, quando non giunge a ingenerare in noi sentimenti di ripulsa. (Ricordiamo ancora il giuramento fatto dopo aver assistito, una quindicina d'anni addietro, a tutti i concerti di una rassegna "fusion".) Ma a ben vedere il fatto è che le cose cambiano. Oggi per chi scrive quella degli Aristocrats è musica "rock", ma con tutta probabilità un fan del rock odierno contesterebbe con forza la nostra classificazione, troppe essendo le cose - i tempi dispari, i lunghi assolo, il tipo di intervalli adoperati, e ovviamente delle capacità esecutive assolutamente fuori dalla norma - che una volta erano tipiche del rock, o quanto meno di alcune delle sue correnti, ma che sono ormai pressoché scomparse dal panorama. Le conseguenze sono paradossali per gli Aristocrats, gruppo la cui musica contiene abbondanti tracce di "progressive" e persino di "metal", anche se il linguaggio armonico ci pare più "jazz" che "classico".

L'Anfiteatro di cui sopra è una sala dal soffitto basso situata sotto l'albergo. Più larga che profonda, all'incirca quattrocento posti. Presenti, diremmo in quantità sufficiente a riempire pressappoco mezza sala. Palco sufficientemente alto da consentire una visione chiara dei musicisti, piedi esclusi. Spettatori tutti logicamente piuttosto giovani, anche se non mancano dei quasi-trentenni e un paio di genitori.

In sede di recensione, parlando dell'album avevamo detto di "una 'versione idealizzata' di un concerto", e la cosa è stata confermata dal concerto stesso. Quello che vorremmo qui sottolineare è quell'aspetto "moderno" da "sala di incisione" presente nella musica del trio per come eseguita dal vivo, con le sezioni dei brani - sovente diverse per stile - "vestite" da suoni e tecniche esecutive parecchio diversi. E diremmo questo aspetto polistilistico delle composizioni che trova il suo corrispettivo sonoro grazie alle apparecchiature che la "scienza acustica" ci mette a disposizione tramite il commercio l'elemento che più separa questa "fusion" (?) da quella precedente, dove chitarre elettriche spesso semiacustiche, amplificatori in fondo educati e un paio di pedali aggiungevano tutt'al più un po' di colore a un'esplorazione del tema basata essenzialmente su scale classicamente "jazz".

L'elemento principale per il successo della musica del trio è il chitarrista Guthrie Govan. Minnemann e Beller, va da sé, sono una sezione ritmica versatile (il secondo è anche un ottimo autore), e va tenuto presente quel viaggiare "in parallelo" del bassista che rende tante situazioni più interessanti di quanto sarebbe lecito attendersi. Ma è la versatilità, innanzitutto del tocco, del chitarrista la qualità che rende - in concerto come su album - questa musica policroma, evitando con successo l'affiorare di quella noia che a noi è sempre parsa una caratteristica connaturata al "genere".

Certo, anche stavolta ci è capitato di tanto in tanto di dare un'occhiata all'orologio, e a tratti la caratterizzazione "ad alto volume" della musica sembra tramutarsi in una gabbia - un brano come Flatlands di Beller, che sarebbe perfetto per i titoli di coda di un film, assume in questa cornice il sapore di un esperimento coraggioso. Va da sé che il pubblico applaude con grida di approvazione gli assolo maggiormente funambolici - uno schema di "ricompensa positiva" non esattamente privo di rischi per un musicista - a partire ovviamente da quello di batteria, dove ci è parso che il comportamento di Minnemann fosse fin troppo "realistico", quasi un Jon Hiseman del periodo Tempest. Intendiamoci, niente di scandaloso - basta ricordare gli assolo di violino di Ray Shulman in concerto - ma a tratti ci è parso che Minnemann sia già fin troppo dentro certi "meccanismi del consenso", come alcune battute di pessimo gusto, in verità molto apprezzate dal pubblico, ci sembrano dimostrare. Certo, poco è in grado di rivaleggiare con la celeberrima "foglia di fica" del Peter Gabriel dei concerto romano dei Genesis di Selling England By The Pound, ma crediamo non sia necessario condividere la visione austera della vita di un Robert Fripp per poter dire che certe battute sviliscono la musica suonata oltre che chi la suona.

Eravamo pronti a scommettere che il brano di apertura sarebbe stato lo stesso dell'album, la Boing!... I'm In The Back di Minnemann essendo brano allegro e comunicativo. Si apre invece con la Bad Asteroid di Govan, con l'alternarsi di timbri e situazioni già presenti sull'album. Segue una bella versione della Greasy Wheel di Beller già presente sugli album solisti del bassista Thanks In Advance e Wednesday Night Live. E' poi la volta di Boing!... I'm In The Back, in un'esecuzione sciolta che non delude le aspettative laddove sulla chitarra di Govan affiorano forse più che altrove ricordi beckiani. Si prosegue poi con l'elegante tango di Furtive Jack.

Da qualche parte del concerto crediamo sia stata eseguita Get It Like That - qui i nostri appunti sono carenti - con le sue abbondanti tracce di Narada Michael Walden e con un lungo assolo di batteria di cui s'è già detto.

Beller annuncia un cambio di passo e un po' di calma e il trio esegue Flatlands, bene. Musicalmente inconsistente come già sull'album, la Blues Fuckers di Minnemann è uno dei momenti accolti con maggiore calore dal pubblico. Gran bella esecuzione di I Want A Parrot di Govan, con varietà di momenti e un'ottima prestazione strumentale di Beller, la cui See You Next Tuesday viene qui meglio che sull'album.

Chiusura con "Hotel Kandisky" (il titolo non è questo, è un brano di Minnemann che non conosciamo), "Erotic Planet" di Govan (idem) e una esecuzione perfetta di Sweaty Knockers di Beller.

Beppe Colli


© Beppe Colli 2012

CloudsandClocks.net | Oct. 18, 2012