Billy Bang Group
Teatro Sangiorgi, Catania
Apr. 1, 2006

Se è vero che per un violino come quello di Billy Bang non sarebbe stato difficile acquisire visibilità in molti tempi e luoghi, pure corre l'obbligo di ricordare che alla fine degli anni settanta il numero dei violini che agivano in ambito jazz - con o senza la precisazione "d'avanguardia" - non era certo elevato. Curiosamente, complice un genere di grande popolarità quale il (cosiddetto) Progressive, l'opposto era avvenuto in ambito "rock" - e qui va ricordato che anche il violino di Jerry Goodman, una delle tre punte della celeberrima Mahavishnu Orchestra, proveniva da un gruppo rock (statunitense): i Flock. Com'è largamente noto, la grande eccezione jazzistica è costituita dal gruppo dei (cosiddetti) "chicagoani": musicisti che avevano (re)introdotto strumenti (e climi stilistici) che si situavano ben al di fuori di quanto ormai luogo comune già a partire dalla strumentazione; ed ecco quindi anche il violino di Leroy Jenkins.

Per chi scrive, Billy Bang si rivela a cavallo tra i settanta e gli ottanta grazie al lavoro discografico di due etichette italiane all'epoca provvidenziale rifugio di ottima musica, d'avanguardia e no: la Black Saint, dove incide lo String Trio Of New York, formazione che vedeva il violino di Billy Bang affiancato dalla chitarra di James Emery e dal contrabbasso di John Lindberg; e la Soul Note, etichetta per la quale Bang ha inciso dei bei lavori da titolare. Ma il suo violino è in grado di ben figurare anche in un ruolo da comprimario, tra i solchi di Memory Serves dei Material, sui palchi con l'Arkestra di Sun Ra e accanto alle percussioni di Kahil El'Zabar in un album poco conosciuto quale Another Kind Of Groove. E se pure a un certo punto lo abbiamo perso di vista, alla notizia di un suo concerto in città non c'è la minima esitazione: biglietti fatti.

Il repertorio che il sestetto esegue in questa occasione proviene in gran parte da un bell'album del 2001 intitolato Vietnam: the Aftermath, con (se ben ricordiamo) solo un brano (Reconciliation) tratto dall'ideale seguito di quattro anni più tardi, Vietnam: Reflections. Veterano della guerra del Vietnam, che ha combattuto giovanissimo e in compiti ad alto rischio, Bang ha alla fine provato a esorcizzare i suoi traumi componendo musiche che combinassero temi popolari vietnamiti con la per lui usuale cifra jazzistica; per inciderle ha chiamato accanto a sé dei musicisti che avevano in gran parte condiviso quelle drammatiche esperienze.

Accanto al violino di Bang, la formazione vede alcuni musicisti già presenti sull'album citato: la tromba essenziale di Ted Daniel (lo ricordiamo con Dewey Redman e Henry Threadgill); il piano elegante di John Hicks, ottimo sia in solo che quale elemento di raccordo; il contrabbasso elastico di Curtis Lundy; mentre la batteria, che su disco era suonata da Michael Carvin, è qui affidata a Newman Taylor Baker, sempre a suo agio nonostante la varietà dei climi; non immemore della lezione di John Coltrane, Salim Washington è al tenore e al flauto, strumenti che su disco erano stati rispettivamente suonati dal compianto Frank Lowe e da Sonny Fortune.

I temi influenzati dalla musica vietnamita suonano bene, e fortunatamente evitano del tutto l'effetto "colonna sonora". Pur perfettamente consapevole del free, la musica porta con sé evidenti tracce mingusiane, sia in certi momenti swinganti che in qualche tipico tema agrodolce - ed è un Mingus che appare sovente filtrato da una lente marca Art Ensemble Of Chicago. Yo! Ho Chi Minh Is In The House, Moments For The KIAMIA, Tunnel Rat, Fire In The Hole e la conclusiva Saigon Phunk costituiscono una bella sequenza: Bang suona i temi - spesso all'unisono con tromba e sassofono, e con l'apporto sottile e prezioso del pianoforte - e fa degli ottimi assolo; convincono i fiati, sempre coinvolgenti nonostante il linguaggio in sé non sia più in grado di dare sorprese; appropriata la ritmica.

Buona l'acustica, con due significative eccezioni: la prima è il pianoforte, missato davvero troppo basso (ma perché?); l'assolo è sempre nitido, ma va perduto quel sottile filo armonico perfettamente rinvenibile su disco; poi, c'era un po' troppo riverbero sul violino, e quel timbro dolente che è perfetto complemento dei climi ha talvolta rischiato di assumere un colore un po' retorico. Solo piccoli appunti, sia chiaro, per una bella serata.

Beppe Colli


© Beppe Colli 2006

CloudsandClocks.net | Apr. 14, 2006