Antony And The Johnsons
Mercati Generali, Catania
May 8, 2005

Confessiamo di non riuscire a ricordare l'ultima volta che abbiamo avuto modo di assistere a un lancio pubblicitario su scala pressoché planetaria quale quello che ha avuto come protagonista il newyorkese (per motivi di residenza) Antony; fatto ancora più strano, e quindi meritevole di attenzione, sol che si consideri la natura tutto sommato "indie" - e indiscutibilmente minoritaria - del personaggio. Com'è ormai ampiamente noto, a dare il "la" è stato Lou Reed, che lo ha voluto su disco e in tour e gli ha affidato due classici quali Perfect Day (il celeberrimo pezzo contenuto sull'album della svolta glamour-commerciale di Reed, Transformer) e Candy Says, il brano che apriva l'album "riflessivo" dei Velvet Underground (il terzo, e omonimo) e che porta inevitabilmente racchiusa dentro di sé tutta una mitologia. Seguono a ruota attestazioni di stima da parte di Laurie Anderson e Philip Glass, e poi di personaggi quali Devendra Banhart, Rufus Wainwright e Boy George, che accanto a Lou Reed doneranno preziosi cammei a I Am A Bird Now, secondo lavoro di lunga durata di Antony e quello che ne consacra a pieno diritto l'esistenza.

Non è certo parca di elogi la recensione di Rolling Stone firmata da David Fricke: quattro stelle su cinque (è il #967 datato 10 February 2005); Fricke parla di "una voce (...) nella quale Nina Simone, Morrissey e Joni Mitchell sembrano condividere lo stesso respiro". Stesso entusiasmo, ma lista dei nomi parzialmente mutata, per il lungo servizio apparso sull'anglosassone Mojo (#137, April 2005): "Laura Nyro, Marc Almond, Nina Simone e Donny Hathaway"; ed è ancora lo statunitense Fricke, qui in veste di "international cheerleader". Non è ovviamente da meno The Wire, dove Marc Masters (#254, April 2005) cita "David Bowie, Roxy Music e Lou Reed nel suo periodo Transformer e Berlin". Nomi ricorrenti a destra e a manca sono quelli di Judy Garland, Otis Redding, Nina Simone e Jeff Buckley. Preceduta da alcuni concerti piazzati strategicamente, giunge notizia di un tour europeo di tre mesi.

Tutto questo ha finito per destare in chi scrive più di qualche perplessità. Siamo ovviamente coscienti del fatto che la gran parte del pubblico è resa ormai "sorda" dalla sovrabbondanza di stimoli dai quali viene quotidianamente bombardata; da cui logicamente consegue che se lancio ha da essere è inevitabile che esso sia quanto più enfatico possibile. Ma può il lavoro di un artista sopravvivere a un carico di aspettazioni come quello derivante dall'elenco di nomi di cui sopra? A ciò si aggiungeva un altro fattore: la maggior parte degli articoli da noi letti (termine più comune: "androgyny") enfatizzava la natura del cantante, con un largo uso di tinte certo più consone alla "poetica" di un reality show. Sembrava talvolta di poter cogliere la felicità di quanti - assenti per motivi anagrafici all'epoca dei fatti - potevano finalmente adoperare per Antony quelle parole tanto a lungo pensate a proposito del Lou Reed "Vicious" e dello Ziggy che "played guitar".

Avuta conferma che il tour di Antony avrebbe toccato la nostra città ci siamo affrettati a procurarci un biglietto (dal costo decisamente accessibile: 11.50 euro prevendita inclusa; il concerto faceva parte di una rassegna finanziata da denaro pubblico). La prima sorpresa era che i 350 biglietti disponibili erano stati tutti venduti in prevendita; la seconda giungeva alle prime note del concerto: un suono nitido e cristallino (e vogliamo vedere se d'ora in poi qualcuno avrà ancora la faccia di dare la colpa di una pessima resa sonora alla tipologia fisica di una sala). Il pubblico presente è una curiosa miscela non priva di individui "trendy": l'hype ha evidentemente funzionato.

Assorbita la durezza del pavimento (yes: seduti per terra o in piedi) rivolgiamo la nostra attenzione alla formazione disposta sul palco: piano e voce del leader, basso elettrico, violino, violoncello e un chitarrista (acustico) che funge da secondo violino e da seconda voce. Che dire? Complice il suono, è facile cogliere immediatamente la qualità decisamente media (mediocre?) del tutto. La voce è versatile, e non male, ma certo molto al di sotto delle nostre (diremmo legittime) aspettative (Jeff Buckley?!?!). Neanche le composizioni sono poi troppo male, ma a dispetto di un approccio vocale cangiante dopo quattro/cinque brani comincia già ad affiorare una certa aria di omogeneità che diluisce quel minimo di tensione che bene o male si era creata (ed è qui che più di qualcuno abbandona la sala); le due cover eseguite, di Moondog e dei Current 93, mettono ancora più in risalto la cifra tutto sommato monocorde della musica che stiamo ascoltando. Ci risulta non poco curioso l'atteggiamento dello stesso Antony, che sembra risentire di trascorsi cabaret: i suoi siparietti parlati, ricchi di aneddoti e ambientazioni, sembrano rimandare alla commedia musicale, e il loro effetto inevitabile è quello di mettere "tra virgolette" le storie cantate, con un pronunciato "effetto distanza". Assolutamente disgraziato è il brano Water And Dust (o Dust And Water?), laddove il nostro gioca la carta furba dell'"audience participation time". In chiusura il punto più basso: la ripresa di Candy Says, con la seconda parte del brano contraddistinta da toni jazzati che diremmo pochissimo appropriati.

Il cronista annota: buona parte del pubblico quasi entusiasta, e successiva firma di autografi sui dischi messi in vendita.

Beppe Colli


© Beppe Colli 2005

CloudsandClocks.net | May 15, 2005