More Songwriters On Songwriting
By Paul Zollo

Da Capo Press 2016, $22.99, £15.99, ppxiv-657

A un'occhiata frettolosa ciò che è implicito nell'espressione "Songwriters On Songwriting" potrebbe sembrare poca cosa, e cosa ci sarebbe di tanto speciale nell'avere chi scrive canzoni - musica e parole - discutere dell'oggetto della sua creazione?

Il fatto è che - questioni di competenza specifica a parte - quello che spesso passa per un discorso sulla creazione e sugli oggetti così creati non è che un ragionare vago su cose che con la musica hanno poco a che fare. Un intendimento in fondo banale - il ragionare di musica - finisce quindi per assumere un valore quasi dirompente, nel suo porre al centro della scena, sotto la luce dei riflettori, qualcosa che pur nella sua soggettività è possibile discutere in modo obiettivo nei suoi componenti: accordi, melodia, schemi di organizzazione del testo, esecuzione, arrangiamento, influenza (nelle due direzioni) e così via.

Ci imbattemmo una ventina d'anni fa nella seconda edizione di Songwriters On Songwriting, volume che a distanza di tanto tempo ci ostiniamo ancora a definire entusiasmante. Una quarta edizione ampliata edita nel 2003 è l'ultima di cui abbiamo notizia.

Il cast dei musicisti lì intervistati era decisamente fenomenale. Senza pretese di completezza  (facciamo un bel respiro): si partiva da Pete Seeger, Willie Dixon e Sammy Cahn e passando per Mose Allison e Tom Lehrer si arrivava a Bob Dylan, Pail Simon, Brian Wilson, Carole King, Jimmy Webb, Donovan, Burt Bacharach, Laura Nyro, Randy Newman, Van Dyke Parks, Frank Zappa, Leonard Cohen, Neil Young, Graham Nash, David Crosby, Todd Rundgren, Walter Becker, Rickie Lee Jones, David Byrne, Tom Petty, Richard Thompson, Los Lobos, Suzanne Vega, Bruce Hornsby.

Legittimo chiedersi se questo nuovo volume - chiariamo subito: non una nuova edizione di quello appena citato, ma il suo ideale seguito - possa essere all'altezza del suo tanto illustre predecessore. Il nuovo arrivato è senz'altro più "smilzo" - parola forse azzardata per un libro di 657 pagine - mentre il testo appare in caratteri tipografici più grandi e maggiormente spaziati, un gesto forse doveroso nei confronti della vista calante del suo (supposto) pubblico di boomer e dintorni?

Si potrebbe sostenere che la distanza che ci separa dal 2003 contraddistingue un "periodo di crisi" per quello che riguarda la canzone di qualità e le sue possibilità di sopravvivenza (una questione che può essere vista come un problema unico o come due problemi distinti). Ma va ricordato che spesso i "periodi di crisi" sono vissuti come tali al presente mentre si guarda indietro. Qualche anno dopo lo stesso periodo potrebbe essere considerato come "non troppo male, dopotutto", soprattutto qualora paragonato al nuovo "periodo di crisi" e così via.

Se per un attimo proviamo a vedere chi nel nuovo volume non c'è - tra breve si dirà chi c'è, ed è senz'altro un elenco entusiasmante - i nomi che vengono in mente sono quelli di Ani DiFranco (una produzione artistica decisamente ampia che è possibile affrontare da tre o quattro punti di vista diversi), Ben Folds e Regina Spektor (due concezioni originali e di spessore, un aspetto compositivo pianistico oggi raro), Fiona Apple (una personalità e una caratura artistica di spicco a dispetto di una produzione numericamente ridotta), qui menzionata nell'intervista a Elvis Costello; mentre tra le giovani leve citeremmo Diane Birch (artista di bella complessità).

Il problema comunque rimane, e non può essere eluso tanto facilmente. Sono "l'età d'oro del songwriting" e "l'età della melodia" definitivamente alle nostre spalle? (Si noti che nella nostra formulazione i due interrogativi tendono a coincidere ma per onestà va detto che non tutti condividono questo modo di categorizzare, massimamente oggi.)

E' una valutazione che era già stata esplicitamente espressa da Paul Simon in un'intervista contenuta nel volume precedente. Un ragionamento parallelo era stato argomentato da Randy Newman in svariate sedi, con la preponderanza del ritmo a danno dell'aspetto melodico e armonico quale motore primo del cambiamento.

Parlare di "Golden Age" implica di necessità conoscere quello che oggi viene prodotto (cosa che dovrebbe essere ovvia ma che all'atto pratico tale non è). Passo successivo, esaminare quei fattori che possono essere d'impedimento al nascere e al prosperare della "musica di qualità". E sono fattori che se da un lato possono essere considerati comuni ad altri ambiti del vivere dall'altro presentano aspetti specifici.

In ordine sparso possiamo dire del contrarsi della capacità di attenzione, dei cambiamenti avvenuti nell'ultimo trentennio nell'industria della musica, del ruolo prima crescente e poi preponderante dell'occhio da MTV in poi, della "Internet Revolution", del cambiamento del concetto di "proprietà" seguito all'era di Napster e del downloading, del "sovraccarico informativo" oggi comune, dell'abitudine ormai consolidata al multitasking.

Va anche ricordato che - se pure è vero quanto asserito, che dai Beatles agli Stones a Dylan tutti gli artisti "rock" hanno sempre avuto un'immagine - oggi l'artista di successo è un personaggio la cui identità vede la musica come solo un componente tra molti quando non un accessorio e la cui sopravvivenza dipende da una molteplicità di sponsorizzazioni e connessioni commerciali di natura extra-musicale.

Ci accorgiamo adesso che, presi dai "massimi sistemi", non abbiamo speso una parola su Paul Zollo, autore di tutte le interviste. Come nel volume precedente, ottime capacità di comprensione del fatto "musica" - ricordiamo che Zollo è anche musicista e autore - unitamente alla scrupolosità con cui l'indagine della musica prodotta dall'artista precede le conversazioni fanno sì che quasi tutte le interviste offrano molteplici motivi di interesse. Quando le cose vanno meno bene - interviste sulla carta promettenti lasciano l'impressione di un'opportunità sprecata - è per motivi di tempo/voglia/chissacché da parte del musicista, ma sono solo rare occasioni.

Proviamo a dare qui di seguito un'idea di quello che il volume offre (è un elenco parziale).

Il volume precedente apriva una bella finestra sul passato, da Pete Seeger a Livingston and Evans a Sammy Cahn. Posto che il concetto di "passato" può essere declinato in vari modi, troviamo qui:

Marjorie Guthrie, un'intervista inedita del 1981 su Woody Guthrie.

Jerry Leiber e Mike Stoller, "the first independent record producers" autori di classici del rock'n'roll quali Hound Dog, Stand By Me, Jailhouse Rock, Spanish Harlem, Ruby Baby.

Richard Sherman, che con il fratello Robert è autore di una moltitudine di canzoni per la Disney, da Mary Poppins a Il libro della giungla.

Sheldon Harmick, autore di tanti show di Broadway, in primis Fiddler On The Roof.

Jeff Barry, compositore di successi degli anni sessanta quali River Deep Mountain High.

Kenny Gamble, ed è un'intervista entusiasmante a colui che in compagnia di Leon Huff è stato il creatore del Philly Sound.

Peter, Paul and Mary e il loro influente successo "folk".

Herbie Hancock, in una lunga conversazione sul jazz, Joni Mitchell e il "New Standard".

John Sebastian, a discutere dei tanti successi incisi con i Lovin' Spoonful, un'ottima occasione per ricordare tante belle canzoni di cui si ha oggi poca memoria.

Stephen Stills (l'unico dei "fab four" a mancare nel volume precedente), in un'intervista sorprendentemente lucida e ricca di particolari.

Paul Simon in una conversazione del 2011, come sempre analitica e profonda.

Brian Wilson del '95, un autore che si legge sempre con piacere.

Elvis Costello, intervistato nel 2015 al tempo della pubblicazione del suo volume Unfaithful Music & Disappearing Ink. Buffo ricordare che al momento del debutto un musicista dal ricco e vario retroterra veniva presentato come una specie di "selvaggio" (erano i tempi del punk).

Joe Jackson intervistato nel 2015 in una conversazione che discute il suo lavoro al tempo più recente, dedicato a Duke Ellington, e i suoi classici di sempre. E certo "Steely Dan was one of my big influences, I think, as a teenager" è frase che avrebbe sorpreso non pochi ai tempi "punk" che vedevano il nostro mettere sullo sfondo gli studi al Conservatorio.

Rickie Lee Jones in un'intervista che è il montaggio di due conversazioni avvenute nel 2011 e nel 2015.

Patti Smith, in una conversazione piacevole e varia.

Chrissie Hynde in quella che è senz'altro la conversazione più viva e partecipe di tutto il volume.

Aimee Mann, presentata in tutta la sua analiticità al tempo di Lost In Space.

James Taylor anno 2007, conversazione a tutto tondo dal modo di formare gli accordi ai meccanismi evolutivi della percezione.

Randy Newman del 2007, dall'orchestra ai testi, una gran bella intervista.

Jorge Calderon intervistato a proposito del suo rapporto di collaborazione con Warren Zevon.

Richard Thompson del 2009, ed è il solito entusiasmante conversare su scale chitarristiche, schemi metrici dei testi e tutto il resto.

Finita la lettura, sorge spontaneo un interrogativo: ci sarà mai un nuovo volume di Songwriters On Songwriting? Parrebbe la nostra usuale visione scura degli accadimenti umani (e a dire il vero non ci saremmo mai aspettati che un volume come questo potesse ancora essere dato alle stampe), ma è che ormai ci siamo abituati all'idea che il terzo volume di Behind The Glass di Howard Massey non ci sarà più.

Un problema riguarda l'esistenza di quello che ormai abbiamo cominciato a chiamare "libro di carta", e per certi versi a questo c'è rimedio: le interviste a Jeff Barry e a Joe Henry che compaiono in questo volume sono state registrate dal vivo per la serie Web chiamata Songwriters On Songwriting Live alla Songwriting School di Los Angeles.

Ma c'è anche - e in cima alla classifiche - il cambiamento dell'idea stessa di songwriting, da una canzone che nasce su chitarra e piano a una dimensione tecnica più simile alla musica concreta che all'autorato classico, con un lavoro collettivo, campionamenti inclusi, e nove autori per brano, per la realizzazione di una "collective creation".

Beppe Colli


© Beppe Colli 2018

CloudsandClocks.net | Jan. 1, 2018