Studio Stories
By David Simons

Backbeat Books 2004, $24.95, pp192

Le prime settimane del 2005 hanno mostrato il perennemente cangiante mondo del Pro Audio soggetto a cambiamenti ancora più veloci e repentini che per certi versi sembrano indicare un punto di non ritorno per la musica. Le prime notizie clamorose, a poche ore dall'inizio del nuovo anno, concernevano la chiusura dell'ultima fabbrica al mondo rimasta a fabbricare nastro analogico per uso professionale: quella situata a Opelika, di proprietà della Quantegy. E sebbene alla fine del mese scorso sia stato annunciato un avvenuto buy-out l'episodio mostra le precarie condizioni correnti di una tecnologia di registrazione che alcuni considerano ancora parte integrante della loro estetica sonora.

Ma le cose non si sono fermate lì. Per prima arriva, alla fine di gennaio, la notizia della chiusura degli studi losangelini Cello, senz'altro più celebri sotto le precedenti denominazioni di Oceanway e Western Recorders. Poi, la chiusura degli ugualmente famosi - e, pare, non soggetti a grossi problemi finanziari - Hit Factory a New York. I lettori possono facilmente immaginare gli accesi dibattiti che hanno avuto luogo su quei Forum dove questo genere di argomenti è oggetto di discussione.

Ma non è forse un peccato che questi argomenti siano di esclusiva pertinenza del "personale tecnico"? Certo, a giudicare con superficialità - grazie anche alla linea "la personalità è tutto" adottata dalla gran parte della stampa che si occupa di musica - questo è un genere di argomenti solitamente non considerato di grande importanza per il lettore tipico. Ma è stato appena qualche anno fa che ci è capitato di leggere un'intervista con Howie Gelb dei Giant Sand durante la quale il musicista statunitense sottolineava più volte l'importanza del "room sound": il "suono dell'ambiente". E non è stato il fattore chiamato "acoustic labelling" (va bene "impronta acustica"?) una parte importantissima del suono che era possibile ascoltare su album registrati in quei grandi, e gloriosi, studi che oggi sono per la maggior parte storia passata?

Studio Stories di David Simons (sottotitolo: How The Great New York Records Were Made: From Miles To Madonna, Sinatra To The Ramones) tratta di una fetta di quella storia. Com'è naturale, l'autore è perfettamente conscio dei tempi che cambiano - sulla copertina possiamo leggere che il libro "è per molti versi il ritratto di un mondo scomparso, spazzato via dal cambiamento tecnologico - ma un mondo dal quale possiamo ancora imparare tantissimo". Ovviamente molto di tutto ciò è decisamente soggettivo - e proprio come chi scrive non riesce a tollerare alcuna masterizzazione a 20 e a 24 bit di pressoché tutti i vecchi album, allo stesso modo è verosimile che un diciottenne troverà oltremodo fastidioso il fruscio residuo del nastro. A ogni modo il libro si legge bene, pur occupando una strana posizione: non è una storia (quasi generale) della registrazione e della produzione discografica come Good Vibrations di Mark Cunningham (pubblicato dalla Sanctuary nel 1996 e ristampato 1999) né uno schietto discorso tecnico come quello apparso su Behind The Glass - Top Record Producers Tell How They Craft The Hits di Howard Massey (Miller Freeman Books, 2000. Backbeat Books, 2002). Ma Simons ha scritto un buon libro, ricco di interviste e foto. Lo diremo lettura indispensabile sia per coloro i quali hanno familiarità con la parola Pultec che per chi non l'ha mai sentita nominare ma ascolta i dischi con la dovuta attenzione.

Nelle loro varie incarnazioni, i Columbia Studios giocano un ruolo decisivo in questa storia newyorkese (una mappa della Central New York City, 1962, con indicazione della locazione degli studi, apre il libro). Come pure molto importante è il ruolo giocato dal tecnico del suono Frank Laico, il cui lavoro è ampiamente discusso (lo stesso Laico viene intervistato per esteso). Leggiamo poi della "trasformazione rock" avvenuta alla Columbia (vedi Like A Rolling Stone di Dylan), con bella intervista a Roy Halee e una specifica discussione a proposito dell'incisione di brani di Simon & Garfunkel.

Incontriamo anche gli Atlantic Studios e Tom Dowd. Le "camere d'eco". Gli A&R Studios e Phil Ramone (e The Making Of Getz/Gilberto). Goffin & King. Le Shangri-Las. I Lovin' Spoonful (ottimo). Aretha Franklin (e un'intervista con Jerry Wexler e Arif Mardin che pur non essendo terribilmente rivelatrice - ma lo potrebbe? - si fa leggere con piacere). Un'intervista con il chitarrista e sessionman Al Gorgoni (un musicista che potremmo non aver mai sentito nominare ma che è decisamente probabile aver ascoltato senza saperlo). Stevie Wonder nel suo periodo Malcom Cecil/Robert Margouleff (c'è una bella intervista con Margouleff). C'è anche Ed Stasium che discute il suo lavoro con i Ramones, in particolare Rocket To Russia (e qui potrebbe esserci qualche piccola sorpresa per molti fan del gruppo).

Il grosso del libro finisce qui, alle soglie dell'era digitale, con giusto un'occhiata a Madonna. Ci sono due aggiunte degne di nota. La prima è uno sguardo a dei pezzi specifici (di Elvis Presley, Left Banke, Tommy James, Dick Haley, Ella Fitzgerald & The Duke Ellington Orchestra, Led Zeppelin, Dionne Warwick, Janis Ian, Talking Heads, Alice Cooper, Stevie Wonder) e ai luoghi dove sono stati registrati. E poi c'è qualcosa a proposito degli studi "fuori città" come i famosissimi Sigma Sound (a Philadelphia) e il Van Gelder Recording Studio (a Englewood Cliffs, NJ).

Beppe Colli


© Beppe Colli 2005

CloudsandClocks.net | April 5, 2005