The Great British Recording Studios
By Howard Massey

Hal Leonard Books 2015, $34.99, ppxiv-357

A dispetto di una più che discreta familiarità con gli articoli da lui scritti nel corso di più di un decennio - articoli concernenti in gran parte argomenti "tecnici" quali modalità di registrazione e programmazione di sintetizzatori in FM apparsi su riviste quali le statunitensi Keyboard, Musician, e EQ - dobbiamo confessare che la prima volta che il nome di Howard Massey ci colpì davvero fu in occasione della strepitosa intervista fatta al celeberrimo produttore George Martin apparsa quale storia di copertina del numero del febbraio 1999 della rivista Musician. Tecnicamente preparato (ma questo lo sapevamo già), in quell'occasione Massey si rivelava anche perfettamente in grado di condurre un'intervista stimolante e ricca di spunti di interesse a proposito di un argomento - com'è ovvio, il fuoco era spesso rivolto al lavoro di Martin con i Beatles - che in fin dei conti tutti conosciamo abbastanza bene.

Quella conversazione andò poi a confluire nel bel volume di interviste apparso di lì a poco intitolato Behind The Glass - Top Record Producers Tell How They Craft The Hits. L'aria che spirava era di fiduciosa creatività, ed era ancora possibile vedere la chiusura di Musician, avvenuta due mesi dopo la pubblicazione dell'intervista a Martin, come un incidente di percorso riguardante una specifica testata in ragione di motivi particolari.

A quel tempo ci capitò di conversare via e-mail con Massey - avevamo recensito ambedue le edizioni di Behind The Glass - e fummo colpiti dal suo atteggiamento decisamente cordiale e alquanto fiducioso in un'industria che ancora reggeva.

Ovviamente nessuno avrebbe potuto prevedere il fenomeno Napster con tutto quel che ne è seguito. Ed è quindi una crisi sistemica, e non un problema settoriale, a fare da sfondo alle interviste contenute nel secondo volume di Behind The Glass, apparso in chiusura di decennio. Solo logico nutrire seri dubbi a proposito della possibilità di leggere un terzo volume.

Suo malgrado, la pubblicazione di The Great British Recording Studios - un'opera intesa quale celebrazione della creatività e dei suoni prodotti in un luogo specifico in un preciso lasso di tempo - assume lo spiacevole sapore di un'orazione funebre nei riguardi di un colossale lavoro che appare destinato a interrompersi per "strangolamento finanziario".

Non sappiamo se quanto stiamo per dire susciterà l'ilarità del lettore, ma ci sentiremmo di dire che la spettacolare veste grafica del volume - centinaia di foto, molte delle quali inedite, di case e palazzi, strade, interni, vestiti e apparecchiature, tutte assemblate con gusto su carta di ottima qualità - consente di vedere il lavoro anche come una sottosezione della "storia del costume" di Londra e dintorni: una foto recente della storica Denmark Street scattata nel 2013 (è a pag. 233) appare subito antica alla luce dell'annuncio che ne prevede la distruzione totale per motivi immobiliari già a partire del gennaio 2015 - con echi dell'album dei Kinks intitolato Maswell Hillbillies citato nel volume nel capitolo dedicato allo studio Morgan.

Opera per certi versi colossale, The Great British Recording Studios è stato realizzato con la piena collaborazione della "Association Of Professional Recording Services". L'apparato iconografico beneficia di foto d'epoca, diagrammi, disegni di piante degli studi, riproduzioni di brochure pubblicitarie e altro ancora. Un centinaio di aneddoti spesso riguardanti album di grande notorietà - qui viene riconosciuto il debito nei confronti di storiche riviste quali Studio Sound, Sound On Sound e MIX - appaiono sotto la scritta Stories From The Studio. Completano il volume un ottimo glossario, una bibliografia, e un indice esaustivo e ben organizzato.

Posto che c'è quasi tutto, ci ha stupito la mancanza del Command Studio (citato di sfuggita), dove i King Crimson registrarono due album. Abbiamo notato un John Congas che ci siamo chiesti se fosse il John Kongos a noi noto. Una sola la svista da noi individuata: il chitarrista dei Free Paul Kossoff ne diventa il bassista a pag. 282, per ritornarne chitarrista ma perdere una esse a pag. 298.

Di nazionalità statunitense, Massey ha però un'antica familiarità con la scena musicale inglese. Trasferitosi nel Regno Unito negli anni settanta, Massey fu dapprima attivo come musicista, per entrare a far parte dello studio Pathway nel 1979 e iniziare così una carriera in qualità di tecnico e produttore comprendente una lunga militanza nello studio Trident.

Il volume entra nel vivo con una lunga prefazione nella quale Massey fornisce uno sfondo storico e illustra diversità di approccio e di apparecchiature tecniche tra studi inglesi e americani, capitolo che non mancherà di interessare anche chi scrive di musica in modo non strettamente "tecnico". Il "focus" è ovviamente sulla produzione che va dagli anni cinquanta agli ottanta, ma attenzione: quando si riferisce alla "golden era" della pop music Massey non emette un giudizio di valore sulla qualità della musica di per sé, ma sulla "individualità" dei suoni come specifici a un ambito "tecnico" in un senso culturale. Una prospettiva che trova conforto in altri pareri citati nella prefazione e che rimanda all'introduzione scritta dal tecnico e produttore statunitense George Massenburg per il secondo volume di Behind The Glass.

Il volume è organizzato per capitoli distinti, con il primo ovviamente dedicato a quello che è lo studio di registrazione più famoso del mondo: gli studi EMI, oggi conosciuti come Abbey Road.

Ogni capitolo si articola lungo direttive comuni. Innanzitutto una breve storia, poi un elenco dei nomi dei collaboratori principali, una descrizione fisica dei luoghi, note sul trattamento acustico, dimensioni fisiche, illustrazione delle camere d'eco, poi un elenco accurato delle apparecchiature presenti in studio, suddiviso in mixer, monitor, registratori, microfoni, effetti. In chiusura, una trattazione delle principali innovazioni tecniche e una discografia selezionata di album rappresentativi (stupefacente notare che a nomi di studi che sembrano dire poco o nulla corrisponde una serie di album di ottima notorietà).

Dopo Abbey Road seguono sigle quali Decca (con un narratore come Derek Varnals), Philips, Pye, IBC, Lansdowne, Advision, Olympic (con testimonianze di George Chkiantz), Trident (con una citazione d'obbligo per il celeberrimo pianoforte e per i mixer prodotti dallo studio), AIR (con una sezione dedicata alla collaborazione tra lo studio e il celeberrimo inventore di mixer Rupert Neve), Sound Technique (con trattazione obbligata per i mixer da loro costruiti). Non manca un capitolo dedicato all'innovatore sonoro Joe Meek.

E poi ancora Wessex, Morgan, Chalk Farm, Apple, Island/Basing Street, Manor, Scorpio Sound, Chipping Norton, SARM, Roundhouse, RAK (storico studio che continua a prosperare ancora oggi con nomi quali Adele, Arctic Monkeys e Shakira), Good Earth (lo studio di Tony Visconti), Townhouse, Ridge Farm.

Non può ovviamente mancare un capitolo dedicato agli "studi mobili", molti dei quali senz'altro familiari al lettore. The Rolling Stones Mobile, The Pye Mobile, Ronnie Lane Mobile, The Manor Mobile(s), The Island Mobile, The RAK Mobile, The Maison Rouge Mobile (dei Jethro Tull).

Vale la pena di ribadire che le singole trattazioni beneficiano di interviste spesso esclusive.

I capitoli della serie Stories From The Studio sono quasi tutti interessanti, con trattazioni a volte decisamente specialistiche, ma a nostro avviso gli esempi che seguono meritano una lettura anche da parte di chi si ritiene "un semplice ascoltatore di musica".

Gli echi sincronizzati di Us And Them dei Pink Floyd creati da Alan Parsons (pag. 27). L'inizio e la fine dell'album dei Moody Blues intitolato On The Threshold Of A Dream, con "il suono della radiazione di fondo del Big Bang" (pag. 64). L'incisione dell'omonimo album dei Blind Faith, con particolare attenzione allo spezzone che va da 6' 41" a 6' 51' di Had To Cry Today. La parte batteristica di Whole Lotta Love dei Led Zeppelin (a pag. 159, mentre alle pagg. 170-71 nel capitolo sugli Olympic appare una discussione con foto della ripresa microfonica batteristica di Glyn Johns). La discussione intitolata Sex Pistols Deconstructed (pag. 246). L'incisione dell'album del "supergruppo" GO (pagg. 264-65). La trattazione del celeberrimo effetto sulla batteria di Phil Collins nel brano In The Air Tonight che appare con il titolo di The Drum Shot Heard Around The World (pag. 296). Il capitolo sull'incisione dell'album di John Martyn One World, effettuata con lo studio mobile della Island, intitolato The Making Of One World (pag. 324).

Quasi inutile precisare che quanto detto finora è poco più di un "indice dei contenuti", stilato però dopo attento esame. A questo punto il lettore ha tutti gli elementi necessari per decidere se passare all'azione o passare oltre.

Beppe Colli


© Beppe Colli 2016

CloudsandClocks.net | Mar. 3, 2016