Behind The Glass - Top Record Producers Tell How They Craft The Hits
By Howard Massey

Miller Freeman Books, 2000
Backbeat Books, 2002

In tempi ormai lontani quella del produttore discografico era una figura circondata da un alone di mistero che si caratterizzava innanzitutto per indeterminatezza di funzioni. Non è certamente d'aiuto il fatto che il ruolo sia tra quelli che più si prestano a essere interpretati in modi decisamente eterogenei in relazione al retroterra formativo del produttore, alla tipologia dell'artista prodotto e alle specifiche caratteristiche del singolo progetto. Per certi versi le cose sembrano oggi mutate - in sede di recensione discografica non è più fatto raro leggere il nome del produttore e vedere discusso il suo contributo al lavoro - ma a ben considerare permangono non pochi motivi di perplessità. C'è chi continua a ritenere che la funzione principale del produttore sia quella di miracolare personaggi dotati di scarse o inesistenti qualità artistiche (le Britney Spears e Jennifer Lopez o le innumerevoli "boys band"), affermazione il cui logico corollario è che un artista vero non necessiterebbe di alcun produttore. Permane la vecchia dicotomia tra "autentico" e "artificioso", in ultimo coniugata in chiave "lo-fi", che vorrebbe i classici del rock quali album spensieratamente naïve - e qui basta rimandare all'elaboratissimo lavoro di Chris Thomas su Never Mind The Bollocks dei Sex Pistols o, per rimanere al libro di Massey, a quanto detto dal produttore Craig Leon a proposito dell'incisione di Ramones ('76). In parallelo, l'eterno equivoco in base al quale conoscere biografia e motivazioni di un artista ci illuminerebbe sui prodotti della sua arte mentre seguire il procedere delle scelte (cosiddette) "tecniche" che li hanno resi ciò che essi effettivamente sono non sarebbe che una perdita di tempo: proprio il modo di procedere più diffuso sulla quasi totalità delle riviste musicali e fattore che ben spiega il proliferare di volumi contenenti testimonianze biografiche sui musicisti a fronte dell'esiguità di titoli contraddistinti dall'approccio di Massey.

E in effetti chi volesse oggi familiarizzarsi con l'argomento (o approfondirlo) non si troverebbe certo in una situazione di imbarazzo per eccesso di offerta. L'unico titolo attualmente in catalogo dovrebbe essere il bel lavoro di Mark Cunningham intitolato Good Vibrations - A History Of Record Production (pubblicato dalla Sanctuary nel 1996 e immediatamente esaurito, è stato poi ristampato nel 1999): un volume dai molti pregi - chiarezza dell'esposizione, ricchezza del numero di aneddoti, ampiezza del periodo esaminato, varietà di stili musicali considerati - a fronte di un unico difetto, che immaginiamo di natura essenzialmente "logistica": il suo focalizzarsi quasi esclusivamente sulla scena inglese a spese di quella statunitense.

Produttore e tecnico del suono oltre che giornalista, in Behind The Glass Howard Massey ha raccolto trentaquattro interviste ad altrettanti produttori di ambedue i lati dell'Atlantico, oltre a due frizzanti tavole rotonde con produttori attivi sulle due coste degli Stati Uniti (tutti i materiali erano già apparsi sulle riviste statunitensi Musician e EQ); ogni conversazione è preceduta da un piccolo ritratto dell'intervistato e seguita da una discografia selezionata.

Massey ha fortemente tematizzato le interviste, rivolgendo spesso le medesime domande a più interlocutori; la qual cosa gli ha consentito di ottenere un ventaglio estremamente ampio di opinioni sia a proposito di quesiti la cui natura è ritenuta più strettamente tecnica - analogico o digitale? quale il modo migliore di microfonare una batteria? come far sì che la voce "poggi" bene su una base musicale? - che su questioni più "aperte" quali: come decidere quando la realizzazione di un brano può considerarsi davvero ultimata? quali le conseguenze osservabili dell'avvento della registrazione casalinga? quali i difetti maggiori delle autoproduzioni? e l'artista, ha davvero sempre bisogno di un produttore?

Dati i nomi degli intervistati non mancano aneddoti e ghiotte prospettive "interne" sui materiali: impossibile non parlare dei Beatles con George Martin e Geoff Emerick (curiosissimo il John Lennon che canta in un microfono posto dentro una bottiglia piena d'acqua), dei Beach Boys con Brian Wilson, dei Pink Floyd con Alan Parson, di psicoacustica con Tony Visconti, di Bowie, Madonna e Chic con Nile Rodgers, del James Taylor registrato "in casa" con Frank Filipetti, dei Latin Playboys con Mitchell Froom; e anche le conversazioni che sulla carta si preannunciano meno interessanti - vedi la Celine Dion narrata da Humberto Gatica - offrono stimolanti motivi di riflessione. L'unica critica che si potrebbe forse rivolgere al volume riguarda il suo privilegiare ambiti stilistici definibili come mainstream - gli unici nomi in questo senso atipici sono quelli dell'ex Black Grape Danny Saber e, unica donna presente, di Sylvia Massy Shivy (Tool, System Of A Down); ed è un vero peccato non trovare il nome di Roger Nichols, che avrebbe sicuramente avuto tante cose interessanti da dire a proposito degli album degli Steely Dan; ma un secondo volume di interviste, che ci si augura di non lontana pubblicazione, dovrebbe ampliare il quadro.

Sottesa a buona parte degli interventi, una forte concettualizzazione dei problemi che spesso dà luogo a osservazioni di grande interesse - vedi Mitchell Froom a proposito della tendenziale scomparsa dei "dialetti" tecnici in seguito all'uniformarsi planetario delle apparecchiature o alcune cose dette da George Massenburg. Ed è proprio la qualità della riflessione - il "perché" sotteso alle decisioni - l'aspetto del libro che non dovrebbe mancare di interessare non pochi tra quanti, al di fuori di ruoli professionali, ascoltano musica con le giuste dosi di intelligenza e passione. Che - non occorrono occhiali speciali per notarlo - è certamente nozione tutt'altro che univoca.

Avevamo letto il libro in occasione della sua prima pubblicazione. Lo abbiamo riletto alcuni giorni fa, e se il nostro giudizio per ciò che concerne la sua qualità intrinseca è rimasto immutato è stato non poco sorprendente accorgersi di come certe questioni rimaste sullo sfondo in occasione della prima lettura siano adesso passate in primo piano: perplessità alle quali è impossibile dare una risposta ultima ma sulle quali non è inutile ragionare.

Un punto di vista che crediamo diffuso potrebbe suonare pressappoco così: "Posto che ciò che contraddistingue una buona produzione è fattore soggetto alle valutazioni più varie, ragionarci troppo è una perdita di tempo a meno che non si abbiano motivi professionali per farlo; infatti, nel momento stesso in cui una produzione "funziona" - cioè a dire, sortisce l'effetto desiderato - possiamo senz'altro dire che essa ha assolto pienamente il suo compito". La questione cruciale è qui: "in quanto tempo?" E' questo il fattore invisibile sotteso a un dibattito che spesso si definisce come bloccato dentro i confini delle valutazioni soggettive - e quindi indecidibile per definizione - ma che potrebbe contribuire a fornire un primo ancoraggio al problema e a disinnescare la famosa "obiezione a Meltzer": quella secondo la quale è solo l'essere sentimentalmente legati a un'età biografica ormai trascorsa che ci impedisce di vedere quanto di buono c'è in tanto di nuovo.

Chiariamo subito: non è di "stili" che qui si discute. Ma di una "piattezza", di una mancanza di tridimensionalità, di una carenza di elementi capaci di emergere alla distanza, di rivelarsi pienamente nel tempo. Un insieme di sensazioni che, complice la giovinezza del mezzo - da cui le insufficienze tecniche rese evidenti da tante ristampe di album storici - è stato inizialmente agevole attribuire al digitale. Ma che la frequentazione di molta produzione recente ci consente di riassumere nella formula "tutto e subito": massimo gradimento immediato con minimo sforzo.

Un tassello importante ci viene fornito dalle cifre riguardanti le vendite di apparecchiature hi-fi, decisamente crollate se si eccettua la fascia di prodotti ad altissimo prezzo: un fatto che prescinde dai contesti nazionali (basta osservare i cambiamenti avvenuti nelle riviste di alta fedeltà, tramutatesi in pubblicazioni largamente dedicate all'home video) e dal reddito disponibile. La fruizione della musica quale occupazione esclusiva è abitudine ormai rara, sostituita da un ascolto che avviene spesso tramite computer o sistemi ad alta trasportabilità quali i riproduttori di file Mp3, con ovvie conseguenze (culturali) di "impermanenza". Che le caratteristiche di una produzione tesa a conquistare i favori di un ascolto distratto debbano forzatamente mutare è solo conseguenza. Da qui - e non da un supposto nostalgico rimpianto per il beatlesiano Sgt. Pepper - il discorso può iniziare.

Beppe Colli


© Beppe Colli 2003

CloudsandClocks.net | Jan. 3, 2003