Zony Mash
Farewell Shows

(Kufala)

Tastierista e compositore di spiccata (e meticolosa) personalità, Wayne Horvitz acquista visibilità a metà degli anni ottanta quale parte di quella "Downtown Scene" newyorkese che vede attivi John Zorn, Bill Laswell, Bobby Previte, Elliott Sharp, Butch Morris e Fred Frith. Musicisti con i quali Horvitz ha ripetutamente intrecciato fertili rapporti di collaborazione, cosa avvenuta anche con il chitarrista Bill Frisell e con la pianista, compositrice e cantante Robin Holcomb.

Horvitz è tastierista elettrico ad alto tasso di riconoscibilità, si tratti del più classico Hammond B-3 come del Fender Rhodes, del DX7 della Yamaha (una tastiera di ardua programmabilità dalla quale fu forse l'unico insieme a Don Preston a ricavare un timbro sufficientemente individuale) o della Clavia Nord Lead, sintetizzatore ben presente su questa testimonianza concertistica ma curiosamente non accreditato in copertina (l'inconfondibile sagoma e il colore rosso sono facilmente visibili nelle foto). Ma Horvitz è anche un compositore estremamente personale, le cui melodie - mai aspre, o veramente ardue - nascondono un'estrema sofisticatezza.

Conoscemmo Horvitz grazie a quella preziosa fonte che a metà degli anni ottanta era il catalogo della newyorkese New Music Distribution Service. Non pochi gli album di quel periodo che reggono ancora bene, tra quelli reperibili sceglieremmo l'elettrico Dinner At Eight (1986) e l'omaggio "in the tradition" (ma tutt'altro che stanco e scolastico) intitolato Voodoo (1986), attribuito al Sonny Clark Memorial Quartet (e se è vero che è col tempo che la personalità di Horvitz venne fuori in tutte le sue sfaccettature è anche vero che tra questi due estremi stilistici sta un campo immenso, perfettamente padroneggiato).

Horvitz è anche un sideman estremamente versatile e dalle idee molto chiare - qui i riferimenti più comodi sono probabilmente i numerosi album incisi con il sassofonista John Zorn, da Naked City in avanti.

Semplice fornire ulteriori riferimenti, da Todos Santos (1988) - l'album accreditato a Horvitz/Morris/Previte che ha presentato per la prima volta le composizioni di Robin Holcomb - ai bei volumi incisi dal collettivo denominato New York Composers' Orchestra: l'album omonimo (1990), dove una spettacolare versione - a tratti quasi Grand Wazoo - della celeberrima Fever mostrava la stoffa dell'Horvitz arrangiatore; e First Program In Standard Time (1992).

Lo confessiamo: all'inizio degli anni novanta tifammo per Horvitz, pur consapevoli del fatto che una certa "mitezza" della sua misurata e meticolosissima cifra stilistica lo avrebbe penalizzato in un mondo mediatico (e l'ascoltatore?) che predilige tinte forti (e truculente?). Tifammo comunque per il contratto con la Elektra che produsse i due album dei President - Bring Yr Camera (1989) e il superbo Miracle Mile (1992) - e l'omonimo album di canzoni di Robin Holcomb (1990) dove Horvitz è abile strumentista e sensibile produttore. Album che rivelarono un altro aspetto della personalità del musicista (in fondo logico, considerata l'età anagrafica di Horvitz), laddove l'amore per il jazz d'avanguardia di tutte le epoche poteva andare benissimo a braccetto non solo con quello per il Davis elettrico e per i primi Weather Report ma anche con quello per i Grateful Dead, The Band e i concerti al Fillmore (non è certamente inutile riflettere sui collegamenti "parapsichedelici" tra certe pagine di Horvitz e alcune pagine kaiseriane, non ultime quelle dell'omaggio al Davis elettrico di Yo! Miles). Assenza di nostalgia, intendiamo.

Horvitz ha poi abbandonato New York per Seattle, che con i suoi teatri e le sue compagnie di danza è in grado di fornire un sostentamento dignitoso utile a evitare compromessi. Il che non vuol certo dire che questa sia oggi l'unica dimensione di Horvitz - tutt'altro! Il musicista ha infatti dato vita a formazioni quali Zony Mash, Pigpen, il 4+1 Ensemble, Ponga, Sweeter Than The Day, oltre a proseguire il fecondo rapporto di collaborazione con la Holcomb: è storia di oggi, e gli album si trovano. (Sia qui concesso citare la produzione del molto hopperiano Highspotparadox, a nome Hughscore, pubblicato nel 1997.)

Zony Mash è il nome del quartetto elettrico di Horvitz (il gruppo prende il nome da un brano dei Meters). Tre album di studio - Cold Spell (1997), Brand Spankin' New (1998) e Upper Egypt (2000), quest'ultimo un titolo che diremmo buona introduzione per chi non conosca il gruppo - e uno dal vivo, Live In Seattle (2002). Formazione swingante, con chitarra, basso e batteria ad affiancarsi alle tastiere del leader, e quartetto che molto verosimilmente si trova maggiormente a suo agio proprio nelle situazioni dal vivo. Benvenuto quindi questo doppio CD che documenta gli ultimi concerti della formazione, tenutisi a Seattle il 12 e il 13 dicembre del 2003. Buona registrazione, due ore e quaranta di durata e prezzo decisamente contenuto fanno perdonare l'assoluta mancanza di note di copertina (facilmente rintracciabili sul sito del musicista, e la cui lettura consiglieremmo senz'altro).

La musica è agile, non poco entertainer e molto più varia di quanto non si evidenzi a un ascolto distratto, anche se ci permettiamo di dissentire da quanto affermato dallo stesso Horvitz quando ha definito Zony Mash "la logica estensione di The President", formazione decisamente più ambiziosa (il problema è sicuramente più quello che è oggi possibile fare che un appannamento delle qualità del musicista).

Due temi di John Zorn (Sex Fiend e Triggerfingers) e qualche apporto compositivo del chitarrista Tim Young si affiancano alle composizioni di Horvitz. Se l'iniziale FYI è una buona introduzione, già la successiva Diggin Bones, di Young, mostra cose più interessanti e meno lineari che in superficie, certo decisamente lontane dalle jam-band. (In sede di intervista Horvitz è sembrato temere l'etichetta di "fusion"; ma se a tratti affiora - vedi Rip Off - è fusion nel senso in cui poteva esserlo l'estroversa Dinner Music di Carla Bley.) Easy presenta un'esecuzione di bella e sensibile delicatezza, Let's Get Mashed è tipicamente grintosa, Smiles un bel detour in altri climi, The Last Song offre un bel solo di sintetizzatore, I'm Sorry presenta tracce blues in misura superiore alla norma.

Il secondo CD inizia in modo non entusiasmante, con il medley Zony Mash/Slide By non al massimo delle potenzialità (l'album riflette le "umanissime" dinamiche di un concerto dal vivo, qui mantenute anche in quei momenti dove l'esecuzione non è di precisione millimetrica), poi arriva il funk di Rip Off seguito da quella Capricious Midnight che proviene dal repertorio di Sweeter Than The Day. Qui il CD decolla: diciotto minuti di Prudence RSVP, con il suo delicato profumo di Beatles, seguiti dall'agile Brand Spankin' New e da Spice Rack, estroverso momento conclusivo.

Non comune per agilità, appropriatezza e versatilità la prestazione della ritmica - Andy Roth (batteria) e Keith Lowe (basso elettrico e contrabbasso) - per tutta la durata del concerto. L'unico appunto che potrebbe essere rivolto al disco è che mancano quasi del tutto quei momenti trascendenti che i Phish riescono non troppo di rado a produrre. Ma è discorso complesso, che ci porterebbe lontano.

Beppe Colli


© Beppe Colli 2004

CloudsandClocks.net | May 9, 2004