Frank Zappa
Imaginary Diseases

(Zappa Records)

"Fin dai primissimi giorni dei Mothers (grosso modo il 1964) è stata mia intenzione formare una specie di orchestra elettrica - un'orchestra in grado di eseguire composizioni difficili con un'intensità di suono normalmente associata alla pop music."

Nel momento in cui queste dichiarazioni di Frank Zappa venivano pubblicate in forma cartacea (precisamente sul Volume 4, Numero 40, di Reprise Circular datato October 9, 1972), il sogno si era già tramutato in una splendida realtà denominata Grand Wazoo: una formazione di venti elementi (!) che aggiungeva una moltitudine di fiati e ottoni alla più usuale strumentazione rock. Durante il mese di settembre il Grand Wazoo aveva effettuato più di una mezza dozzina di date in Europa e negli Stati Uniti, con buoni riscontri di pubblico e di critica, suonando un repertorio in parte noto (ma ovviamente riarrangiato) e in parte inedito. La sola composizione nuova eseguita da una formazione assimilabile al Grand Wazoo che il pubblico aveva già modo di conoscere era Big Swifty, apparsa sul recente (ed eccellente) Waka/Jawaka; mentre l'album che avrebbe preso il titolo proprio dalla gigantesca formazione attendeva di essere pubblicato, e altre composizioni non avrebbero visto la luce che in tempi successivi.

Per dirla in modo estremamente succinto, il materiale apparso in vinile in quel 1972 accoppiava in modo efficace e maturo (ma trattandosi di Zappa va da sé, giusto?: niente "tentativi") sonorità e strategie che era giocoforza dire "jazz" e peculiarità melodiche e ritmiche del più inconfondibile stile zappiano. Certo non mancavano i precedenti, dallo strabordante quadro post-coltraniano di quella King Kong che riempiva la quarta facciata di Uncle Meat al molto acclamato Hot Rats, ma qui l'ammontare delle forze in campo consentiva un respiro totalmente diverso. Impossibile non notare il coesistere di modi da Big Band e una libertà espressiva senz'altro post-free (e poi, "appoggiare" un assolo di trombone "classico" sulle sabbie mobili dell'accompagnamento batteristico di Aynsley Dunbar...).

Va ricordato che questo splendido capitolo zappiano deve non poco della sua esistenza a una circostanza tutt'altro che lieta: le fratture riportate da Zappa in seguito alla caduta dal palco del londinese Rainbow Theatre (fu spinto giù) avvenuta il 10 dicembre del '71. Quindi ospedale, sedia a rotelle e ingessatura, e scioglimento della "vaudeville band" con Flo & Eddie.

E certo quelli erano altri tempi: nel dare un'occhiata alla documentazione di quell'epoca abbiamo trovato senza difficoltà più di una trentina di pagine di sole recensioni concertistiche del Grand Wazoo e del Petit Wazoo (Petit Wazoo? OK, solo un attimo di pazienza). Ma attenzione a non inforcare occhiali troppo rosa. Sentiamo cos'ha da dire in proposito Walter Becker durante un'intervista agli Steely Dan effettuata da David Breskin e apparsa su Musician magazine # 31 - March 1981 (Gaucho era stato appena pubblicato): "I concerti sono per i ragazzini. I concerti sono dove c'è il party. E' lì che vanno i ragazzini, chiunque suoni. Per esempio, a un certo punto facevamo da spalla a Frank Zappa, e lui aveva una formazione con all'incirca nove ottoni che nessuno sapeva come si chiamavano, un solista di sarouzaphone, un batterista che leggeva le partiture -  una cosa molto bizzarra - e non ne valeva la pena, ma il punto era: tutti erano lì e la sala era piena perché era lì che era il party, ed è lì che tutti andavano a farsi". (Robert Fripp non dirà cose troppo diverse a proposito dei concerti statunitensi dei King Crimson del '74.)

Effettuate le date con il Grand Wazoo nel settembre del '72, Zappa procedette a dimezzare la formazione per andare in tour nei mesi di ottobre, novembre e dicembre di quello stesso anno; il nuovo tentetto eseguì un repertorio molto vario, con un certo numero di brani cantati, un millimetrico lavoro di ensemble e generosi assolo da parte di tutti gli strumentisti. La formazione ridotta andò in giro sotto varie denominazioni, ma mai sotto quella di "Petit Wazoo"; ma è proprio questa la dicitura poi divenuta corrente e ufficiale tra i fan del musicista.

L'unica pecca di questo glorioso periodo è l'assoluta assenza di documentazione ufficiale: niente di niente. E anche nel campo dei bootleg, il solo titolo citato riguardava un LP che riportava parte del concerto d'apertura del tour del Grand Wazoo avvenuto il 10 settembre del '72 all'Hollywood Bowl di Los Angeles. Rispondendo a una domanda sull'argomento nel corso di un'intervista effettuata molti anni dopo, Zappa affermerà che tutti i concerti del Grand Wazoo erano stati registrati in maniera professionale ma non hi-fi, e che quindi era senz'altro logico che altro materiale avesse la precedenza.

Il lettore può a questo punto ben immaginare la nostra sorpresa quando un paio di mesi fa - mentre eravamo intenti a cercare (invano) recensioni dell'appena pubblicato CD di assolo di chitarra denominato Trance-Fusion - abbiamo casualmente appreso dell'esistenza di un CD ufficiale dedicato al materiale del Petit Wazoo denominato Imaginary Diseases, pubblicato... da un anno! Qui certo sono molte le considerazioni che potrebbero essere fatte, e su tutte forse questa è la più significativa: mentre i primi album apparsi dopo la morte di Zappa (Civilization Phaze III, The Lost Episodes, Everything Is Healing Nicely) erano di ottima qualità, e potenzialmente degni di vasto interesse, lo stesso non pare possa essere affermato dei titoli apparsi successivamente (FZ:OZ, Halloween, Joe's Corsage, QuAUDIOPHILIAc, Joe's Domage, Joe's XMASage); e qui ognuno può agevolmente trarre le proprie conclusioni. Tenendo a portata di mano un potente antiulcera, potremmo formulare un'ipotesi accessoria: che questo non sia che un primo esempio delle conseguenze possibili della vastità della Rete, laddove tutto quanto è "di nicchia" diventa invisibile per effetto dell'eccesso di informazioni.

Questa la formazione del Petit Wazoo (e ovviamente anche quella che appare su Imaginary Diseases): Frank Zappa, chitarra, direzione e voce; Tony Duran, chitarra slide; Malcolm McNabb, tromba; Gary Barone, tromba e flicorno; Tom Malone, tromba, tuba, sassofono; Bruce Fowler, trombone; Glenn Ferris, trombone; Earle Dumler, oboe, sassofoni e contrabass sarrusophone; Dave Parlato, basso elettrico, Jim Gordon, batteria. All'epoca del Grand Wazoo era stato proprio il nome di Jim Gordon a lasciarci perplessi: avendo fatto l'abitudine allo stile poliritmico di Aynsley Dunbar, la pur sciolta linearità ascoltata su album di gruppi quali Mad Dogs And Englishmen di Joe Cocker, Derek And The Dominoes di Eric Clapton e Traffic ci appariva inadeguata all'immenso compito - anche se il divario abissale tra le prestazioni di Gordon e quelle di Jim Keltner sull'album di Jack Bruce Out Of The Storm avrebbe dovuto metterci sull'avviso. Qui anticipiamo solo che Gordon fa un figurone.

Da dove giungono, quindi, i materiali contenuti su Imaginary Diseases? A questo proposito le note di copertina sono chiare: tutte registrazioni dal vivo, niente sovraincisioni, missate da Zappa; suo anche il lavoro di editaggio. Joe Travers ha scelto e messo in sequenza quello che ascoltiamo. C'è qualcosa che ci pare troppo semplice in tutto questo, ma è discorso per un'eventuale altra volta. Diciamo invece subito di una confezione decisamente troppo spartana: niente foto del gruppo o altro, per un aspetto che diremmo punitivo, e tutt'altro che invitante. Lodi alla scelta del repertorio: invece dell'ennesima versione (per quanto con fiati) di pezzi noti, Travers ci dà in massima parte materiale inedito, e di ottima qualità. Decisamente accettabile la resa sonora.

L'album si apre con un brano in assolvenza: suoni di voci, trombe e tromboni sordinati, batteria a scandire il tempo, battito di mani ritmico, voci del pubblico che all'unisono fanno AAAAAHH su un assolo di trombone; le note di copertina dicono Oddients, ma il pezzetto (appena 1'13") sembra un estratto da un'esecuzione del ben più lungo Little Dots, rititolato per l'occasione, in un momento di "audience participation time".

Netto stacco e si va su Rollo (3'21"). Anche qui, è certamente un estratto: il brano è infatti breve e interamente strumentale, proprio l'opposto dell'esecuzione tipica di quel tour. Apre una lirica melodia suonata (crediamo!) dal sarrusophone di Dumler, con ottimo contrappunto "zappiano" degli altri fiati: siamo dalle parti di 200 Motels. Bella orchestrazione, e arpeggio di fiati ben sostenuto dalla coppia basso/batteria.

Senz'altro meno ambiziosa, ma non per questo meno bella, Been To Kansas City In A Minor (10'15") è un blues lento e cadenzato: bell'assolo di tromba (Gary Barone?) con chitarra ritmica a scandire l'accompagnamento, buon assolo di chitarra di Tony Duran con frasi dalla divisione senz'altro più "regolare" rispetto allo stile zappiano, assolo di trombone (diremmo di Glenn Ferris) prima calmo poi progressivamente più "agitato", con gli altri fiati a sostenerlo, e assolo di Zappa, con "bending" chitarristici blues sul filo del feedback e uso magistrale del wha-wha.

Per ambizione di scrittura, varietà e bilanciamento delle componenti e felice inserimento dei singoli, la lunga Farther O'Blivion (16'02") è senz'altro il vertice dell'album. Tema complesso eseguito dal gruppo, frasi melodiche di Zappa, altro tema per fiati, insieme arioso, poi bell'assolo di tuba di Tom Malone che esplora gli estremi dello strumento. Segue il tema da Be-Bop Tango, con orchestrazione densa e bella tromba di Michael McNabb, e un inconfondibile assolo di trombone di Bruce Fowler, sostenuto da una ritmica "swing" e da fiati che aumentano di intensità avvolgendolo gradualmente. Bell'assolo di batteria di Gordon (cui sospettiamo non sia estraneo l'intervento di Zappa), con timbro nitido e secco e piatti squillanti. Chiude il tema di Cucamonga.

D.C. Boogie (13'27") apre con un arpeggio chitarristico e un accompagnamento cadenzato per poi svilupparsi in un clima quasi "raga rock", con le note di Zappa legate dal feedback. Assolo di chitarra concentrato che va poi a svilupparsi in un insieme concitato accostabile alla jam di Apostrophe', di cui può per certi versi essere considerato un'anticipazione. Segue un tipico "referendum" tra il pubblico a proposito di come debba finire il brano: boogie! Da cui assolo di slide di Duran, molto vicino a quello fatto su The Grand Wazoo (il brano), e chiusa di Zappa.

Imaginary Diseases (9'45") ha un bellissimo e grintoso attacco funky, cui fa seguito un tema per fiati a metà strada tra la colonna sonora di un western e quella di un film di polizia. Poi assolo di chitarra di Zappa, batteria spumeggiante, contrappunto dei fiati. Tutta la parte centrale ci ha molto ricordato Hot Rats, in particolar modo le Gumbo Variations: si ascolti l'accordo suonato in ritmica da Duran, il solo di Zappa, e il giro del basso di Parlato. Finale incandescente, di nuovo tema e chiusa.

Montreal (9'11") è un superbo assolo di chitarra su tempo medio-lento (che personalmente accosteremmo a una versione più lenta di quello che appare su The Orange County Lumber Truck), con attacchi bluesy e pennate di intensità variabile a sollecitare le valvole. Rilassato, con piatto ride di Gordon quasi ipnotico. Si inserisce Duran, senza banalizzare, e poi i fiati in contrappunto, con stacchi di tromba. Si chiude con una gioiosa fanfara in "double time".

Beppe Colli


© Beppe Colli 2007

CloudsandClocks.net | Feb. 22, 2007