Frank Zappa
Hot Rats

(Zappa Records)

Anche se forse qualcuno non sarà d'accordo (ma la cosa non costituisce certo un problema: come infatti recita un vecchio proverbio, "tutti hanno il diritto di avere la nostra opinione"), per chi scrive non sussistono dubbi: l'evento musicale dell'anno è senz'altro la ristampa, e la conseguente sistematizzazione, del catalogo zappiano, primo risultato visibile del raggiunto accordo tra la famiglia Zappa e il conglomerato Universal (e poi c'è tutto un capitolo "digitale", con i titoli resi disponibili su iTunes).

Trattasi di cinquantasei album, con ben ventuno (ma in realtà ventidue) rimasterizzazioni derivanti dai nastri master analogici originali, per un piano che prevede la pubblicazione per gruppi di titoli destinati ad apparire a intervalli estremamente ravvicinati: dodici album già pubblicati lo scorso luglio, altri dodici attesi tra pochi giorni, a fine agosto, e così via fino a novembre.

E mentre gli uffici stampa e i giornali (cartacei, ma non solo) sonnecchiavano nella calura estiva, era già viva in Rete la discussione a proposito dei titoli già distribuiti e di quelli di là da venire, con il prevedibile corollario di pareri (non di rado difformi) su quanto già ascoltato e il fiorire di ipotesi su quanto tra non molto ciascuno avrebbe avuto modo di testare sul proprio impianto.

Ragionando in senso obiettivo l'interesse è senz'altro giustificato: la coda della lunga questione concernente i diritti legali, i rapporti della famiglia Zappa con la Rykodisc (l'etichetta che aveva precedentemente curato il catalogo zappiano nella sua versione CD) e tutti gli aspetti collegati a cause e tribunali (tutte cose di cui nulla sappiamo) avevano avuto quale ovvia ma spiacevole conseguenza la sparizione di buona parte del catalogo dal mercato.

Ben diversa la questione concernente il "peso" dell'operazione (detto volgarmente: le vendite), quello di Zappa essendo ormai da lungo tempo un nome che solo di tanto in tanto fa capolino dalle nebbie di un passato dal sapore decisamente giurassico. Con l'aggravante di una cornice di consumo che oggi risponde in misura crescente a stimoli fantasmatici quali "il mito", lasciando Zappa (e, ovviamente, tutti quelli come lui) nella scomodissima posizione di chi può offrire "solo" quello per cui in tanti lo hanno amato: la musica (lo sappiamo che detta così suona un po' triste, ma questa - purtroppo - è la realtà).

Perché scegliere di trattare Hot Rats? Qui la faccenda è davvero molto semplice: perché questa è la prima volta che il missaggio dell'edizione originale in vinile compare su CD. Detto in altre parole, questo è con tutta probabilità un album che la maggior parte degli ascoltatori non avrà mai sentito prima d'ora. Detto in sintesi, trattasi di "capolavoro sconosciuto".

Chi scrive ricorda bene lo sconcerto provato nell'ascoltare la prima versione in CD, orribile e stravolta (da Zappa stesso, per tutta una serie di motivi che sarebbe troppo lungo e complesso discutere qui). Uno sconcerto reso ancora più acuto dalla circostanza di avere scelto proprio Hot Rats, un album che conoscevamo a memoria, quale guida pratica per l'acquisto del nostro primo lettore CD.

(La verità ci impone di dire che il missaggio qui contenuto dovrebbe essere già apparso in una versione limitata in vinile 200 gr. della Classic Records pubblicata tre anni or sono. Ma avendo solo visto, e mai ascoltato, solo una copia sigillata di quell'album dobbiamo di necessità tacere.)

Chi, volendo sapere qualcosa in più dell'album in questione, si trovasse a sfogliare vecchie riviste andrebbe incontro a più di una sorpresa, con alcuni a definire Hot Rats "il primo lavoro commerciale di Frank Zappa", altri a valutarlo come "il migliore mai inciso dal musicista" e altri ancora a dirlo (addirittura) "l'unico di buona qualità" del suo catalogo (i giudizi odierni - e qui è ovviamente complice "il senno di poi" - sono mediamente più articolati). E se la questione è davvero troppo complessa per essere analizzata in profondità come pure meriterebbe, qualcosa può essere detto.

Musicista geniale e personalità che è pressoché obbligatorio definire "complessa e colorita", sin dall'apparire dell'album di esordio (Freak Out!) del gruppo (strambo fin dal nome, The Mothers Of Invention) di cui era la prima ragion d'essere, Frank Zappa si trovò a interpretare il personaggio di Campione della Controcultura. In più, nel mezzo di quelle innovazioni musicali e tecniche da lui ingegnosamente adottate - che se non gli erano esclusive erano però da lui indagate con una profondità che crediamo lecito dire non aveva pari - si annidava e saltava fuori una carica anti-sistema che nel panorama dell'epoca aveva pochi eguali. Il tutto con una evidente progressione dei risultati di studio - da Freak Out, 1966, a Uncle Meat, 1969 - frutto di una crescente padronanza dei mezzi tecnici, e una resa sul palco in grado di rendere leggendarie le esibizioni del gruppo sui due lati dell'oceano.

Che tipo di album è Hot Rats? E' - innanzitutto - un album solo strumentale (beh, quasi del tutto, ma in questo senso la breve - seppur memorabile - performance di Captain Beefheart su Willie The Pimp non muta i termini della questione). E qui va detto che erano state soprattutto le voci - timbro, senso e funzione - a costituire per la maggior parte degli ascoltatori dell'epoca l'ostacolo più arduo da superare per l'apprezzamento della musica del gruppo. Mentre erano stati "il messaggio" e "la dimensione sociale" a oscurare la caratura di quanto Zappa aveva musicalmente prodotto. C'è poi chi giudica "più semplice, meno profonda e innovativa" la musica del dopo Uncle Meat (che, com'è ovvio, non comprende album quali Weasels Ripped My Flesh e Burnt Weeny Sandwich, pubblicati dopo Hot Rats ma contenenti materiale inciso in precedenza), ma questa è faccenda del tutto diversa.

Avendo indossato il nostro (infallibile) "cappello dell'obiettività" definiremmo Hot Rats "un passo di lato", e non certo quel "passo indietro" che vorrebbero alcuni (e ricordiamo che - nonostante Lumpy Gravy - tutto il capitolo orchestrale è ancora di là da venire, con 200 Motels appena dietro l'angolo). Ma è un passo di lato pieno di innovazioni, come ci apprestiamo a illustrare.

Hot Rats è il primo album che consente di parlare di un "Frank Zappa chitarrista". Non che sugli album precedenti mancassero episodi in tal senso, alcuni dei quali molto belli e convincenti. Ma - e qui è possibile tracciare un parallelo con un altro chitarrista "poco appariscente", Robert Fripp, diventato agli occhi di tutti "un chitarrista" solo con il quinto album di studio dei King Crimson, Larks' Tongues In Aspic - è con Hot Rats che Zappa inizia a essere considerato come merita al di fuori di una cerchia ristretta di percettivi ascoltatori. Non è ancora la lava fusa che fuoriesce dalle casse che un album di poco posteriore, Chunga's Revenge (dove troverà posto la bellissima Twenty Small Cigars proveniente dalle session di Hot Rats), offrirà negli assolo di brani quali Transylvania Boogie e Chunga's Revenge. Ma è uno Zappa tecnicamente valido e compositivamente maturo nel suo ruolo chitarristico.

Sedici piste (le dense orchestrazioni di Uncle Meat si erano avvalse di un dodici piste), da cui una chiarezza timbrica e una disposizione dei suoni nello spazio che crediamo a quel tempo avessero ben pochi termini di paragone. Ne conseguono orchestrazioni nitide nei brani più ricchi da un punto di vista strumentale e una stupefacente resa sonora della batteria e delle percussioni. Va anche detto di timbri "misteriosi" che testimoniano di un lavoro di incisione che sfrutta le diverse velocità del nastro, nonché di tutto un lavoro di studio che è lì a dire che questo è un album rock.

Fatto ben poco usuale per un album di "rock", la formazione variabile, con tre batteristi diversi.

Unico superstite dei vecchi Mothers Of Invention, Ian Underwood suona l'insuonabile. E non è certo esagerato affermare che, se pure gli intricati arrangiamenti portano ben in evidenza la firma zappiana, questo è un album che non potrebbe reggersi senza Underwood, capace di eseguire materiali tanto diversi senza mai produrre una nota stilisticamente men che appropriata.

Posta in apertura, Peaches En Regalia è l'unica composizione strumentale zappiana ad aver goduto di una discreta fama. Sciolta introduzione, bel tema, assolo di Zappa dal sapore leggero, e una bella prestazione di Ron Selico, batteria, e Shuggy Otis, basso, perfetti nel sottolineare le componenti latine del pezzo. Sorprendenti le percussioni, anche velocizzate, di Zappa, che torna qui a ribadire il suo amore per questa famiglia di strumenti.

Captain Beefheart alla voce, Don "Sugar Cane" Harris al violino (ma solo all'inizio e alla fine del brano, anche se note acute facilmente avvertibili - vedi a 6' ca. - ci dicono di una prestazione non utilizzata), Willie the Pimp è una matura meditazione sul blues da parte del Frank Zappa chitarrista, qui ottimamente coadiuvato dal basso di Max Bennett e dalla batteria di John Guerin. L'insieme è però molto lontano da quelle "blues jam" tanto comuni all'epoca, come testimoniato dal suo procedere "per episodi", con le timbriche chitarristiche a scongiurare quel potenziale senso di monotonia implicato dalla durata del brano.

Riuscita trasposizione di una composizione già eseguita dai Mothers, Son Of Mr. Green Genes fa ottimo uso delle notevoli capacità batteristiche di Paul Humphrey, strepitoso nel sottolineare i vari momenti, e della versatilità di Underwood a fiati e tastiere. Il Frank Zappa chitarrista dà il meglio di sé in una serie di episodi che vedono la chitarra agire all'interno di una cornice strumentale non poco varia e vivace.

Si volta facciata, ed è il contrabbasso di Bennett, unitamente alla batteria di Guerin e il pianoforte di Underwood, a introdurre la breve Little Umbrellas. Tema lirico memorabile, intricato sviluppo, contrabbasso e tema.

The Gumbo Variations salta letteralmente fuori dalle casse, riuscitissimo episodio dalla cifra funky. Sax tenore di Underwood (diciamo un mix di King Curtis e Sonny Rollins?), con bel tema e un frenetico assolo perfettamente sostenuto dalla batteria di Paul Humphrey e dal basso di Bennett. Poi è la volta del lungo assolo di violino di Sugar Cane Harris, con la batteria di Humphrey a raggiungere momenti di bellissima intesa. Breve assolo di Zappa alla chitarra con Underwood a sostenere con un classico Hammond più Leslie, riuscita transizione di basso e batteria, chiusa.

Basso elettrico, pianoforte, batteria e percussioni introducono la complessa It Must Be A Camel, la cui accurata orchestrazione vede i fiati di Underwood affiancati in un paio di momenti dal violino di Jean-Luc Ponty (ed è l'inizio di una collaborazione che di lì a poco darà quale ottimo primo frutto l'album a nome Ponty intitolato King Kong). Bel tema, riuscita orchestrazione, ottima performance di John Guerin, sottile prestazione di Zappa alla chitarra, poi splendido lavoro percussivo in solitudine di Guerin, ed è una chiusa strepitosa per un album perfetto.

(Ma come suona il CD? E' vero, c'è chi si limita a soffiare via la polvere da vecchie carte dove si leggono frasi come "il violino al sapore di lampone del fiero Canna da zucchero", ma a noi tocca lavorare.)

La trasposizione del nastro originale sul CD ha prodotto questa volta un risultato eccellente - "Transferred & Re-Mastered by Bernie Grundman". Il CD ha un volume decisamente notevole, ma è possibile alzare la manopola del volume sull'amplificatore senza avvertire la benché minima stanchezza. Forse - ma è quasi una questione di gusto - il basso elettrico è un po' troppo presente, ma il suono non "slabbra", se è chiaro il concetto. Stupefacente - e anche un po' strano - poter sentire tutta la batteria, con pelli e tamburi molto più presenti che sull'album originale (cosa che consente di apprezzare ancor di più la precisione di Guerin su It Must Be A Camel e la grinta funky di Paul Humphrey su The Gumbo Variations). Proprio la novità di una ritmica più grossa ci ha fatto interrogare a tratti su un possibile esito "hendrixiano" - ci riferiamo qui a quelle versioni in CD dove la batteria di Mitch Mitchell sembra quasi mortificare una chitarra diventata al confronto quasi esile - ma ascolti ripetuti hanno fugato questo timore.

C'è ovviamente da tenere in considerazione il fatto che abbiamo ascoltato la versione originale in vinile per quarantun anni (non sempre la stessa copia!, quella utilizzata stavolta per il confronto essendo una stampa Reprise UK, crediamo del 1973) e la nuova in CD per due settimane. Ma rimandare la recensione del CD di quarantun anni non ci è parso molto saggio...

Ed è venuto il momento di chiudere, e quindi di togliere il nostro (infallibile) cappello dell'obiettività. Fa quasi male riascoltare un album di questo standard di qualità e riflettere su quale mole di porcherie ci arriva sul tavolo. Altri tempi, altri standard, altri obiettivi, altra gente. Non sappiamo bene come chiudere, e allora Frank Zappa ci viene in soccorso prestandoci quella che chiamava "la mia umile maledizione": "possa la tua merda prendere vita, e baciarti".

Beppe Colli


© Beppe Colli 2012

CloudsandClocks.net | Aug. 19, 2012