Wolter Wierbos
3 Trombone Solos

(DolFijn Records)

Preceduta da rare eccezioni di natura prevalentemente episodica i cui intendimenti espliciti erano ancora privi della necessaria consapevolezza progettuale (non va ovviamente dimenticato che il pianoforte fa storia a sé), la moderna pratica del "solo" come campo di esplorazione di una grammatica musicale "autonoma" ha inizio con la pubblicazione dell'album di Anthony Braxton intitolato For Alto: correva l'anno 1968. Per tutta una serie di ragioni (che in quantità variabili vanno dall'estendersi della pratica del solo a contrabbassi, percussioni, trombe e tromboni agli ovvi motivi economici che in una cornice culturale ben disposta rendevano plausibili esibizioni solitarie in festival e concerti) gli anni settanta celebrano il trionfo del solo.

Molto diverso il quadro odierno. Se è plausibile che l'avvenuta elasticizzazione dei linguaggi e delle tecniche esecutive renda oggi meno urgente per i musicisti la pratica del solo, è ben possibile che (in una quadro di crescente penuria di fondi) sia la cornice di "evento" come qualità imprescindibile alla "buona riuscita" di un cartellone a fungere da principale elemento dissuasivo per il proliferare delle esibizioni in solo.

Questioni generali a parte, dobbiamo confessare che il motivo primo alla base del nostro non piccolo gradimento di 3 Trombone Solos (dando ovviamente per scontata l'ottima qualità della musica ivi contenuta) è il fatto che questa è la prima occasione che ci si presenta di poter ascoltare Wolter Wierbos in solo. E ciò nonostante la collezione discografica da noi posseduta lo veda elemento indispensabile per la buona riuscita di non pochi album (andando a memoria: i gruppi di Maarten Altena, la Berlin Contemporary Jazz Orchestra di Alexander von Schlippenbach, il quartetto di Frank Gratkowski e la Instant Composers Pool Orchestra di Misha Mengelberg).

3 Trombone Solos è l'album che Wierbos ha scelto per inaugurare una nuova etichetta personale autogestita. Le note di copertina (opera dello stesso Wierbos) dicono di una nuova maturità ("I try to achieve more with less") ottenuta grazie anche al suo "nuovo" strumento (un Conn Vocabell costruito nel 1933), più duro e ostinato: "Quel che ho perso in flessibilità l'ho guadagnato in qualità tonale e in proiezione" (di suono).

Professionalmente attivo sin dalla fine degli anni settanta, Wierbos ha rapidamente guadagnato in personalità, lasciandosi dietro quelle tracce di George Lewis e di Ray Anderson mentre rimanevano ben visibili (oltre a qualche borbottio di marca Roswell Rudd) i trombonisti della tradizione jazzistica, in primis ellingtoniana (e non c'è qui bell'e pronto un parallelo con Han Bennink?). Timbro decisamente riconoscibile, doti tecniche prodigiose, versatilità da premio. Non un leader naturale, ma un musicista che ha saputo essere se stesso sotto leader diversi, e molto esigenti.

3 Trombone Solos presenta tre lunghi brani ottimamente registrati da Malachi Ritscher (Chicago), Dylan van der Schyff (Portland) e Micha de Kanter (Amsterdam) tra l'ottobre del 2005 e l'agosto del 2006. Ottima dinamica, suono naturale.

Forse ispirato dal luogo dove è stato registrato, Chicago ha una partenza lenta e concentrata di matrice bluesistica che poi acquista swing (sembra quasi di poter ascoltare un ride che marca il tempo in sottofondo). Plunger, e a partire da 5' ca. un che di mingusiano. A partire da 8' ca. c'è un bell'episodio quasi "ambient" da sintetizzatore, dove Wierbos sfrutta da par suo i multiphonics. Poi è il suono del soffio del fiato nelle strumento a essere protagonista, poi a partire da 14' ca. un ritmo che ricorda non poco quelli tipici dello scratching. Si va verso la chiusura con borbottii e scoppiettii che non possono non ricordare la tromba "espansa" del compianto Lester Bowie.

Portland apre con un "drone" per multiphonics che sale progressivamente di intensità. A partire da 5' fa il suo gradito ingresso uno swing lirico dove pare quasi di scorgere non poche citazioni. Lenta esplorazione melodica, poi progressivamente concitata. Anche qui un momento (a 19' ca.) che vede protagonista il soffio nello strumento, si chiude con un'esplorazione tematica.

Amsterdam apre con sovracuti e qualcosa che sembra (ma ovviamente non è) un loop, poi si va nel registro della tromba. A partire da 4' ca. fa il suo ingresso un clima cool swing, quasi una big band tascabile. Cesura con applausi a 7', e una seconda parte "parallela": apertura concitata, loop, ruminare melodico, "tromba", poi "tuba" e un "loop di synth"; chiusa sorniona che rispecchia quella della prima parte.

Beppe Colli


© Beppe Colli 2009

CloudsandClocks.net | Oct. 10, 2009