The Aristocrats
The Aristocrats

(Boing!)

Eravamo curiosi di ascoltare l'album di esordio degli Aristocrats (a proposito: il nome deriva da uno sketch comico che ci dicono notissimo negli Stati Uniti, tanto da avere originato un film), sorta di "supergruppo" comprendente un trio di indiscussi virtuosi: (in ordine alfabetico) Bryan Beller al basso, Guthrie Govan alla chitarra e Marco Minnemann alla batteria. Com'è ovvio, "prodigiose capacità tecniche" possono benissimo costituire la colonna sonora di una noia mortale, soprattutto nei generi in cui - a differenza, poniamo, della techno - lungi dall'essere un "elemento costitutivo", la monotonia è un sottoprodotto non intenzionale ("monotonia: mancanza di varietà e interesse; ripetizione noiosa, routine"). E se c'è un genere a nostro avviso sommamente esposto al pericolo della monotonia, quello è la fusion.

Siamo quindi contenti di poter dire che, a dispetto delle suddette capacità tecniche, l'album risulta piacevole e interessante, con punte di indiscussa eccellenza. Un po' diseguale, ma con tre compositori in azione c'era da aspettarselo. Album dal suono nitido e pieno di colori, registrato, missato e masterizzato in modo eccellente (il che deve avere avuto un certo costo; cosa ancora più lodevole oggi che - lontani i tempi sia di Blow By Blow che di Surfing With The Alien - un suono strumentale come questo non è certo in grado di irrompere nei Top 40).

L'inizio e la fine dell'album sono in grado di funzionare egregiamente da dimostrazione della qualità e della varietà della musica qui contenuta.

In apertura, Boing!... I'm In The Back, di Minnemann, apre rock e cadenzata, con il basso di Beller con wha-wha (un effetto che è ormai diventato una delle sue firme strumentali), un temino quasi da "beat group" degli anni sessanta e più di un cenno al clima del secondo tema (chitarristico) di El Becko; ci sono sorprese nel volume, un frenetico aroma quasi zappiano, un bell'assolo di chitarra su un tempo rallentato, di nuovo il basso con wha-wha, doppia cassa in evidenza, di nuovo il tema beckiano e chiusa. Non male in 4'59"!

Posta in chiusura, Flatlands di Beller ha un po' la funzione che aveva View sull'album omonimo: un momento di pace dopo tanto pandemonio. Bel tema melodico lento, semplice e "circolare", con limpida sequenza d'accordi, performance misurata di Beller e Minnemann e splendido assolo di Govan, sciolto, con tono pulitissimo e fraseggio "nudo", per un brano che sarebbe perfetto per i titoli di coda di un film.

Ma chi è questa gente? Buona domanda. Dei tre, Beller è l'unico con il quale possiamo dire di avere una certa confidenza, essenzialmente per gli album incisi con Mike Keneally e per la sua buona produzione solista; mentre ci è del tutto ignota una parte non piccola di quello che deve avergli dato la fama maggiore, in primis gli album con Steve Vai. Di Minnemann conosciamo solo la collaborazione con Keneally, a onta di un curriculum non certo breve o trascurabile. Con una certa vergogna dobbiamo ammettere che questa è la prima volta che leggiamo il nome di Guthrie Govan - che è stato da poco sulla copertina di Guitar Player! E se la tavolozza degli altri due è qui bene o male quella a noi già nota, Govan è stato una rivelazione. Fra tante cose possibili - è un ottimo autore, e uno strumentista di versatilità non comune in grado di suonare tutto con appropriatezza - scegliamo di sottolineare la pulizia e l'estrema intelleggibilità del suo attacco, chiaro anche nei più rauchi momenti "rock".

L'album privilegia l'interscambio fra i tre, con una presenza strumentale che non sottolinea quella sovraincisione di cui pure fa (parco) uso. E' la "versione idealizzata" di un concerto, e funziona benissimo così.

Durante l'ascolto (due settimane tra cuffia e casse) ci siamo sorpresi a pensare che quest'album potrebbe intelligentemente riaprire l'eterna querelle: chi è più schiavo della tecnica, chi ne ha molta o chi ne ha poca?

Una veloce occhiata ai pezzi.

Scritto da Beller, Sweaty Knockers mette insieme con disinvoltura un riff non poco zeppeliano e una melodia di stampo "fusion". Ottimi assolo di chitarra, basso (di nuovo con wha-wha), e pirotecnici fuochi d'artificio batteristici sul finale.

Bad Asteroid è un contributo di Govan. Bello swingato, agile charleston (hi-hat), e un tema "fusion" che la nostra (poca) competenza in materia ci fa riferire alla fine degli anni settanta - un po' Larry Carlton, un po' Eric Gale. L'architettura del pezzo è però interessante: il tema viene ripetuto con tono e volume alla Van Halen, "squeaks" dei pick-up compresi; poi un passaggio chitarristico che suona quasi come un arpeggio di Mini-Moog, un assolo quasi metal, una parte melodica "swing" con wha-wha, una parte pulita alla Joe Pass, poi di nuovo lo swing con wha-wha, poi il tema "fusion", l'arpeggio Mini-Moog, e il fraseggio "Van Halen" a chiudere. Da notare come il tutto suoni coerente, e gli accostamenti non forzati.

Get It Like That è un altro contributo di Minnemann, con tema chitarristico "fusion" e una propulsione batteristica che ci ha ricordato non poco Narada Michael Walden. Con Beller in sottofondo, l'assolo di chitarra ci ha ricordato un vecchio George Benson, qui sorretto (ma forse sarebbe meglio dire "sopraffatto") da Simon Phillips. Di nuovo fuochi d'artificio di Minnemann, e in finale un momento "metal" assurdo, che sembra quasi appiccicato a forza tanto per avere una fine.

Govan è l'autore di Furtive Jack, dall'elegante tema latino (un tango?) che suonerebbe appropriato sia per big band che per un'orchestrina mariachi. Il tema ha uno sciolto sviluppo, seguito da un assolo di basso fretless, con uso di accordi, e bel "rimshot" batteristico. Assolo di chitarra un po' Jeff Beck, si torna poi all'elegante tema di cui sopra.

Ultima composizione di Govan, I Want A Parrot alterna momenti "rock" ad altri più melodici, con ottimo lavoro bassistico di Beller, un eccellente assolo di chitarra e una entusiasmante performance batteristica di Minnemann.

Qui l'album cala un po' di tono. La già nota See You Next Tuesday di Beller, pur ottimamente eseguita, giunti a questo punto suona un po' ridondante (la vediamo perfetta come bis concertistico). Aperta da un riff che ha un che di beefheartiano, la Blues Fuckers di Minnemann è senza dubbio il momento più debole dell'album, con una serie di frammenti accostati a forza che non producono un risultato minimamente coerente in quanto musica (qui ci sarà chi dissentirà, ma come ben sappiamo ognuno ha il diritto di avere la nostra opinione).

Flatlands è la bella chiusa di cui s'è già detto.

L'album è disponibile in vari formati: come digital download, quale CD fisico e con maglietta. La recensione è stata condotta avendo quale (ovvio) riferimento la versione in CD, ma senza maglietta.

Beppe Colli


© Beppe Colli 2011

CloudsandClocks.net | Oct. 11, 2011