Roscoe Mitchell & The Note Factory
The Bad Guys

(Il Manifesto)

L'attesa pluriennale seguita a un annuncio di "imminente pubblicazione" ci aveva ormai fatto perdere ogni speranza di poter ascoltare questo CD, registrato dal vivo al festival "Jazz By The Sea" di Fano durante quel tour italiano dell'estate del 2000 che aveva visto Roscoe Mitchell affiancato dalla Note Factory, l'ampia formazione che lo stesso Mitchell ha definito "un ensemble di improvvisatori dalla gamma orchestrale". Diciamo subito che il risultato finale è senz'altro molto positivo, e in grado di poter ben figurare (almeno per ciò che riguarda l'aspetto strettamente musicale) accanto ad altri album di indubbio spessore già incisi dalla formazione, Nine To Get Ready (1999) e Song For My Sister (2002). Con in più il vantaggio di un prezzo da collana economica: 8 euro. Se la registrazione non avrà mai l'onore di ricevere la candidatura a un Grammy, pure essa risulta adeguata al godimento e alla comprensione della musica. Nessun prezzo, per quanto basso, può invece giustificare la sciatteria del libretto, straripante di errori di battitura, inesattezze (davvero Taborn di nome fa "Grig"?) e "cose così" (siamo proprio sicuri che il plurale inglese di "sax" sia "saxs"?), che non è difficile immaginare non passerebbero inosservati in caso di distribuzione all'estero.

Avevamo avuto occasione di vedere la Note Factory al festival di Roccella Jonica, il 26 agosto 2000: un concerto strepitoso. Qui la formazione è quasi la stessa, con qualche avvicendamento - ininfluente per il risultato finale - nella sezione ritmica e l'inconfondibile Leo Smith alla tromba, assente a Roccella. Ritroviamo i due bei brani composti da Stephen Rush: il simpatico e garbato beguine di Choro Poro Merilina, con in evidenza la chitarra di Spencer Barefield, e il funky trascinante di The Bad Guys, con un bell'assolo di Mitchell: due momenti "facili" - ma di alto livello - in grado di bilanciare quell'attenzione richiesta (ma indubbiamente ripagata) dalle composizioni del leader. Che non prevedono assolo: siamo infatti ben dentro quella concezione dell'improvvisazione come composizione di gruppo guidata "in the moment" in cui l'apporto del singolo è finalizzato alla logica e al risultato complessivo. Down In The Basement e la conclusiva That Would Be Fine (ma perché quella sfumatura? lo spazio sul CD c'era...) si situano nel solco della serie Cards, così caratterizzate da un respiro lento e dall'attenzione per il colore strumentale. La porzione indubbiamente più ostica (nemmeno a farlo apposta, quella peggio servita dalla registrazione) è quella centrale, occupata dai brani Oh, See How They Run To L.A. e Do That Dance Called The Tangler, che forse hanno davvero bisogno di essere ascoltate dal vivo per esprimere appieno la loro potenza; siamo decisamente dalle parti di The Flow Of Things - ed è curioso notare come timbro e prestazioni di Leo Smith forniscano ai due brani una coloritura che risulta schiettamente "free jazz".

Beppe Colli


© Beppe Colli 2003

CloudsandClocks.net | March 15, 2003