Charles Mingus
Live In '64
(DVD-V)
(Jazz Icons)

Quella di Charles Mingus è sicuramente una delle figure più note, celebrate e ampiamente storicizzate del (cosiddetto) "jazz moderno". Personalissimo contrabbassista dalle prodigiose qualità tecniche, Mingus non fu certo meno personale e influente come compositore: se per certi versi si potrebbe parlare di un "Ellington modernizzato", fortissimo è qui l'aggancio al Gospel nero; e inoltre metodi "rivoluzionari" come la predilezione per l'oralità invece che per lo spartito; la compresenza di elementi (nel doppio senso: stilistico e umano) altamente eterogenei; la versatilità nell'utilizzare organici di ben diverse dimensioni; l'elasticità nell'essere leader valorizzando al contempo il contributo dei singoli; l'aggancio visibile alla tradizione nel mentre che si accoglievano alcune acquisizioni dell'allora nascente "Free Jazz". E se è vero che echi di Mingus sono affiorati spesso nella musica di Henry Threadgill e dell'Art Ensemble Of Chicago, è a Mingus - e non a Nino Rota - che è sempre andato il nostro pensiero ogniqualvolta abbiamo ascoltato quegli insiemi agrodolci con acidula tromba sordinata che contraddistinguevano un tempo la scrittura di Carla Bley.

Pressoché generale il consenso sulla discografia. Per cui, volendo stilare un elenco di "opere indispensabili" relative al "periodo migliore" (tagliando con l'accetta: il decennio 1955-'65), diremmo che chiunque (procedendo per cronologia) indicherebbe album quali Pithecanthropus Erectus, Tijuana Moods, Blues & Roots, Mingus Ah Um, Mingus At Antibes, Charles Mingus Presents Charles Mingus, Oh Yeah, The Black Saint And The Sinner Lady e Mingus Mingus Mingus Mingus Mingus, con l'appendice dei due bei volumi di metà anni Settanta Changes One e Changes Two.

Solo logico, quindi, che l'apparizione, lo scorso anno, del doppio album dal vivo Cornell 1964, pur se ovviamente accolta con interesse, curiosità, simpatia e favore critico, non abbia spinto nessuno a una impossibile "rivalutazione". "Solo" quattro stelle e mezza, insomma, laddove l'altrettanto stupefacente e inattesa comparsa, un paio d'anni prima, dell'album Thelonious Monk Quartet With John Coltrane At Carnegie Hall aveva aggiunto un tassello raro a un rapporto di cui esisteva scarsa documentazione.

La formazione mingusiana che aveva effettuato il tour europeo nel 1964 era stata infatti ampiamente documentata grazie anche a tutta una serie di bootleg (il nome che avevano gli "album illegali" prima che Internet rendesse la distinzione priva di senso). Registrato alla Cornell University, il doppio non dirà nulla di nuovo a chi già possegga, per esempio, i due volumi autorizzati apparsi su Enja. C'è una lunga Fables Of Faubus, la bella Orange Was The Colour Of Her Dress, Then Blue Silk, una riuscita versione di Take The "A" Train, la ben nota So Long Eric e la mezz'ora di Meditations, senz'altro una delle vette mingusiane. C'è il famoso sestetto che alcuni vorrebbero la migliore formazione live mai assemblata da Mingus (ma il quintetto di At Antibes, allora?): l'inseparabile batterista Dannie Richmond, il pianista Jaki Byard, il tenore di Clifford Jordan, la tromba di Johnny Coles e il sax alto, il flauto e il clarinetto basso di Eric Dolphy, che sulla copertina del CD ha l'onore di una menzione a parte; il che, pur se comprensibile - il linguaggio di Dolphy è decisamente più avanzato di quello degli altri fiatisti della formazione - non deve farci dimenticare che è anche nella compresenza del nuovo e dell'antico, del morbido e dell'aspro, che sta una parte del fascino della musica di Mingus.

Le belle qualità cui si è appena fatto cenno, unitamente a una registrazione ben più che dignitosa, ci avevano fatto pensare a Cornell 1964 come una perfetta introduzione all'opera di Mingus. Paradossalmente - dato che parliamo di un'opera anche visuale e che presenta un repertorio più ristretto - ci siamo trovati ad attribuire questa qualifica al DVD-V intitolato Live In '64 (che esso costituisca un acquisto pressoché obbligato sia per gli appassionati che per i proverbiali "completisti" è cosa che va da sé).

Buona resa audio e video, due ore piene di durata, Live In '64 presenta registrazioni effettuate da televisioni europee in tre diverse occasioni: il 12 aprile in Norvegia, il 13 in Svezia e il 19 in Belgio. Stranamente la successione degli eventi per come presentati non è quella cronologica (un ordine seguito invece dalle utili ed esaustive note di copertina di Rob Bowman). Perché diciamo stranamente? Perché il bel concerto di un'ora effettuato dalla formazione al completo in un teatro norvegese davanti a un folto pubblico è seguito da prove svedesi sul palco di un teatro vuoto ma preceduto da registrazioni effettuate in uno spoglio studio televisivo belga dove il gruppo è privo del trombettista Johnny Coles, crollato sul palco nel bel mezzo di un'esibizione e operato d'urgenza per un'ulcera perforata.

Gran bel concerto, quello norvegese, con i musicisti raggruppati al centro del palco. Apre una lunghissima So Long Eric dove un Doplhy scatenato al sax alto al momento del "double time" ha movenze concitate che rimandano senz'altro a Roscoe Mitchell; bella la performance di tutto il sestetto. Di appropriata sensibilità la resa di Orange Was The Color Of Her Dress, Then Blue Silk, con ottimi assolo di tromba, contrabbasso e pianoforte. Chiudono una breve Parkeriana e una riuscita esecuzione di Take The "A" Train. Se ognuno troverà nelle varie performance quanto più congeniale, quello che ci preme sottolineare è l'empatia tra i musicisti (bello vedere lo stupore che si dipinge sul volto di chi è intento ad ascoltare il collega in assolo) e il modo "in the moment" in cui Mingus dirige il gruppo.

Le prove svedesi offrono un un quadro interessante, con una più breve So Long Eric e una buona Meditations On Integration: qui il tema per flauto/piano/contrabbasso con l'arco e l'uso del clarinetto basso rimandano immediatamente a cose di Henry Threadgill/Art Ensemble Of Chicago; l'esecuzione - con un morbido assolo di Coles - è bella e sentita.

Privo del trombettista, il gruppo suona in uno studio belga: sulle prime l'aria pare un po' sonnolenta, ma So Long Eric (di nuovo in una versione breve) e una riuscita Peggy's Blue Skylight ben figurano. Quello che è stupefacente è la nuova versione di Meditations On Integration: la prima parte va in parallelo a quella già vista in precedenza, con l'ovvio aggiustamento dovuto all'assenza di Coles; ma la seconda parte, con echi di classica contemporanea e Mingus a strofinare la superficie del contrabbasso e a gettare oggetti sulla cordiera del pianoforte, è davvero un mondo a sé.

Beppe Colli


© Beppe Colli 2008

CloudsandClocks.net | Jan. 12, 2008