The Microscopic Septet
Friday the Thirteenth

(Cuneiform)

"You can never go wrong with a Motown tune" è frase che ricordiamo di aver letto più volte nel corso degli anni ottanta, quando un improvviso e drastico rimescolamento delle carte aveva suscitato in non pochi artisti più di qualche perplessità sul da farsi. E qui le vecchie canzoni della Motown - miscele perfette di accessibilità, raffinatezza, preziosismi strumentali e piccoli tocchi di "nostàlgia" - erano sembrate a molti la soluzione migliore per superare l'ostacolo. Da qui, "Cosa può andare storto se rifai un pezzo della Motown?".

E certo è uno strano parallelo, ma crediamo che a non pochi jazzisti i pezzi di Thelonious Monk debbano essere apparsi in una luce non troppo dissimile, soprattutto nel momento in cui - poco dopo la morte del pianista e compositore, avvenuta nel 1982 - i venti di un "nuovo classicismo" indussero più d'uno a cercare un'ancora di salvezza in un "passato glorioso". E cosa poteva andare storto, riprendendo quelle composizioni di agro e asciutto lirismo dall'incedere così angolare?

Moltissimo, in realtà - e anche nel caso della Motown. Ragion per cui vedere la frase "Play Monk" è per chi scrive motivo sufficiente per sollevare le braccia e dire "ora basta". E dopo tanto tempo diremmo che le rivisitazioni di Steve Lacy da un lato e dei vari organici della Instant Composers Pool guidati da Misha Mengelberg dall'altro costituiscono ancora esempi insuperati di "conversazione a distanza" con i materiali monkiani.

Monk è ovviamente tra i "padri spirituali" dei due compositori leader del Microscopic Septet, il sassofonista Phillip Johnston e il pianista Joel Forrester. Tracce indirette possono essere trovate con facilità nell'opera del gruppo, il rifacimento di Crepuscule With Nellie che appare sull'album Off Beat Glory (1986) essendo l'unica prova diretta. Quindi non è per ragioni di supposto opportunismo che abbiamo sollevato il sopracciglio nel trovarci di fronte le notizie riguardanti un album dei Microscopic Septet intitolato Friday the Thirteenth - The Micros Play Monk.

Primo album di "vecchio materiale inciso adesso", Lobster Leaps In (2008) non aveva mantenuto tutte le aspettative da noi riposte dopo la ristampa dell'opera omnia del gruppo, forse soprattutto a causa di circostanze concernenti l'incisione, che non era difficile supporre essere state decisamente lontane dall'ideale. Ma alla fine quello che vale è quello che si sente, quindi... Logica domanda: sarebbero state le "condizioni esterne" favorevoli all'incisione di un buon album?

Siamo felici di poter dire che la risposta è senz'altro positiva: registrato negli studi Systems II, a Brooklyn, con l'apporto tecnico dello stimato Jon Rosenberg, Friday The Thirteenth è un ottimo album.

Versatile e spumeggiante la sezione fiati: Phillip Johnston al sax soprano, Don Davis all'alto, Mike Hashim al tenore e (dobbiamo ammetterlo: il nostro preferito, accanto a Johnston) Dave Sewelson al baritono. Joel Forrester è ovviamente al piano. Alla batteria, Richard Dworkin è una vera gioia - il suo apporto decisivo richiede forse più di un ascolto per venire fuori, l'ascoltatore è pregato di tenerne conto. Lo stesso potrebbe essere detto del lavoro al contrabbasso di David Hofstra, che a tratti - soprattutto nel corso di qualche bell'assolo - ci è parso suonare come un incrocio tra Oscar Pettiford e Wilbur Ware. Il settetto funziona a meraviglia, in una ideale terra di mezzo tra Monk's Music e At Town Hall. Gli arrangiamenti sono azzeccati: è un Monk "à la Micro", ma senza forzature.

Due piccole perplessità di carattere soggettivo di cui ci fa piacere dire prima di entrare nel vivo della discussione. A parere di chi scrive l'album è troppo lungo, con due brani - Teo e We See, che non inseriremmo nel pur lungo elenco delle composizioni memorabili di Monk - ad allungare il brodo e allentare la tensione; dal vivo sarebbero senz'altro i benvenuti, qui non diremmo. A tratti gli "stacchi" tra varie sezioni dei pezzi ci sono parsi eccessivi; è quasi un corrispondente delle luci in un contesto teatrale o filmico, e quando funziona (vedi a 2' 22" di Friday The Thirteen) è fantastico; ma altrove (vedi le quattro sezioni timbriche di Gallop's Gallop) ci ha ricordato con troppa forza che stavamo ascoltando del materiale registrato. Ma, ripetiamo, sono solo considerazioni soggettive.

Brilliant Corners inizia per solo piano, poi il famoso tema per ensemble. Qui il dialogo tra l'alto e il tenore in assolo ci è quasi parso fare riferimento agli assolo effettuati da Ernie Henry e Sonny Rollins nella celeberrima incisione del '56. Bello il successivo dialogo tra il baritono, a destra, e il soprano, a sinistra.

Friday the 13th ha un inizio percussivo e un tema per solo sax soprano, il tutto (ovviamente) suona non troppo lontano da Lacy. Si inseriscono con gradualità gli altri fiati, con bell'effetto di polifonia. A 2' 22" entrano piano, contrabbasso e batteria, con bel solo di piano a sfociare con naturalezza in una parte solista del contrabbasso.

Il tema di Gallop's Gallop ha qui un che di marziale, bandistico; è una decisione originale, ma da parte nostra continuiamo a preferire l'approccio svelto dell'incisione del '55 con Gigi Gryce, Percy Heath e Art Blakey. Seguono un bell'assolo di soprano, tra i migliori di Johnston su quest'album, un bel solo di piano e una riproposizione del tema, ora più sciolto.

Teo ha una bella esecuzione - Punk Monk!, dicono le note di copertina. Batteria incalzante, grintosissimo assolo di baritono.

Pannonica è eseguita alla perfezione. Tema perfetto affidato al soprano con sapiente contrappunto, poi il baritono. Breve assolo di piano, parte solista del contrabbasso con uno sfondo (di fiati sordinati - tromboni, trombe e clarinetti - in realtà inesistenti) che definiremmo senza esitazione "ellingtoniano". Assolo di soprano, poi esce il tenore. Ritorno del piano, transizione verso i "fiati sordinati", tema. Bello davvero, e complimenti a Joel Forrester, che lo ha arrangiato.

Evidence ha il classico tema angolare per pianoforte, ensemble all'unisono, assolo di soprano, poi di tenore, quest'ultimo con "spinta" di accordi del piano decisamente monkiani. Assolo di piano, bell'interscambio tra batteria ed ensemble, uscita di contrabbasso, tema.

We See vede il piano e i ritmi su un cha-cha-cha. Bell'assolo di sax alto sostenuto dalla ritmica, poi è il turno del contrabbasso. Momento in puro stile Micros, i fiati in "tutti" con il tempo che accelera. Si torna al cha-cha-cha, fine.

Off Minor ha il piano e i ritmi, e la tipica frase discendente per sax soprano. Swingante assolo di tenore ben sorretto dalla ritmica, bel duetto soprano-baritono, poi piano e ritmi.

Arrangiato da Bob Montalto, Bye-Ya, con il suo latineggiare, non è poi troppo lontano dalla versione fatta da Steve Sagle con Dr. John al piano contenuta sul celebre doppio prodotto da Hal Willner intitolato That's The Way I Feel Now (1984). Andamento brioso, assolo di baritono, duetto alto-pianoforte e soprano-tenore.

Worry Later ha il tema per ensemble, piano in solitudine, un ottimo duetto tra soprano e pianoforte. Assolo di contrabbasso, tema.

Misterioso ha un'aria decisamente "noir", e più di una traccia timbrica degli ensemble mingusiani. Assolo di baritono sostenuto dall'ensemble. Diremmo riconoscibilissima la penna del Johnston arrangiatore.

Epistrophy chiude bene, in brevità. Assolo di piano, baritono, ensemble con batteria, tema.

Il critico statunitense Peter Keepnews chiude le sue note di copertina (ma ci sono anche quelle, preziosissime, scritte dai due leader a illustrazione degli arrangiamenti) scrivendo "Non sappiamo dove stia andando il jazz, ma è certo che non sparirà". Da parte nostra siamo convinti che il jazz non sparirà, ma non saremmo altrettanto certi della sorte dei jazzisti.

Beppe Colli


© Beppe Colli 2010

CloudsandClocks.net | Oct. 7, 2010