The Microscopic Septet
Seven Men In Neckties: The History Of The Micros Vol. 1
Surrealistic Swing: The History Of The Micros Vol. 2

(Cuneiform)

"La mia intenzione era di comporre per una grossa formazione, di lavorare con gli arrangiamenti. Volevo provare a inserire delle idee moderne nel tipo di musica che amavo tanto: la musica di Duke Ellington, Fletcher Henderson e Don Redman. Ho pensato di iniziare con gli strumenti ad ancia e con la sezione ritmica, e di aggiungere gli ottoni in un secondo tempo. (Cosa che non è mai avvenuta.)" Chi parla è Phillip Johnston, sassofonista, compositore e leader de facto della formazione statunitense denominata Microscopic Septet; e pur nella sua estrema brevità, questa dichiarazione d'intenti (tratta dalle esaurienti note di copertina scritte dallo stesso Johnston a corredo di due doppi CD contenenti l'opera omnia del gruppo) può fungere perfettamente da prima approssimazione per descrivere la musica suonata. Se poi ci poniamo in una dimensione maggiormente coloristica vanno ugualmente bene i titoli scelti per queste due raccolte: "Sette uomini incravattati" e "Swing surrealista".

Va da sé che le cose non sono così semplici, come una frequentazione attenta di questa musica è agevolmente in grado di dimostrare. (Nessuna parentela con i Lounge Lizards, sia chiaro: se le cravatte possono forse avvicinare le due formazioni, la musica è tutt'altra cosa.) Sassofonista soprano dietro il quale non è difficile intravedere l'ombra di un Lacy monkiano (e, perché no, anche Dixieland), Johnston ebbe la fortuna di trovare dei musicisti in grado di comprendere la musica e di suonarla sì alla perfezione, ma anche in modo pertinente (è ovvio che le due cose dovrebbero sempre andare insieme; la realtà è un'altra); una formazione estremamente stabile, tra l'altro, nonostante il barometro commerciale non tendesse mai al bello. Joel Forrester era il pianista, e l'altro (fertile) compositore; dopo un periodo che vide la partecipazione di John Zorn (un paio di brani d'epoca sono collocati alla fine del primo CD del secondo volume, i completisti zorniani non si aspettino rivelazioni), il sax alto fu stabilmente suonato da Don Davis; c'erano poi Richard Dworkin alla batteria; David Hofstra al basso e alla tuba; Dave Sewelson al sax baritono; e i tre tenori susseguitisi nel tempo: John Hagen, Danny Nigro e Paul Shapiro.

Registrato dal vivo in studio a cavallo tra il 1982 e il 1983, Take The Z Train è l'album che diremmo meglio rappresentare quelli che leggiamo come gli intendimenti originari della formazione: è indubbiamente jazz, e di un tipo che negli anni ottanta doveva suonare decisamente strano e profondamente fuori tempo, laddove i fiati si muovono spesso in sezione e si accentua l'elemento "swing"; c'è però una varietà tematica, e una profonda consapevolezza del comporre inteso come "mettere insieme", che rende la musica tutt'altro che "revivalistica", e che per certi versi ne sottolinea il carattere consapevolmente "artificiale". La prima facciata è una bellissima sequenza: Chinese Twilight Zone, Wishful Thinking, Take The Z Train (di grande effetto la cesura a 4' 30"), Mr. Bradley Mr. Martin (cos'è, un ricordo di William Burroughs?). Non inferiore la seconda facciata, con Pack The Ermines, I Didn't Do It e la conclusiva A Strange Thought Entered My Mind, dove è agevole cogliere il mescolarsi degli stili. Dovendo citare solo un musicista, scegliamo Richard Dworkin: bellissime le sue ariose parti di batteria, in special modo coloriture e ritmi sui piatti.

Registrato nel novembre del 1984 al Mephisto di Rotterdam, in Olanda, e pubblicato l'anno successivo, Let's Flip vede la formazione continuare lungo la stessa vena dell'album d'esordio; ottima la prima facciata, dall'apertura di The Lobster Parade di Forrester (con una citazione di Hey Jude!) alla briosa chiusura di Let's Flip; forse più debole la seconda, laddove la Lazlo's Lament di Johnston va a parare in territori che diremmo non poco bleyani (nel senso di Carla) - e nessuno fa la Bley meglio della stessa Bley, giusto? Chiude un arrangiamento non poco originale della Johnny Come Lately di Strayhorn. Il CD ci regala l'equivalente di un altro album aggiuntivo contenente materiale tratto dallo stesso concerto, ed è materiale che posto a confronto con la porzione già pubblicata non sfigura affatto; segnaliamo la Women In Slow Motion di Forrester e quella Hofstra's Dilemma di Johnston successivamente entrata nel repertorio (concertistico e discografico) del suo Transparent Quartet.

Registrato e pubblicato nel 1986, Off Beat Glory è a parere di chi scrive il disco meno convincente del gruppo. Innanzitutto, il suono scelto (non sappiamo per quali motivi, e con quali intendimenti) fa suonare il disco come "un disco di jazz" qualunque: contrabbasso rotondo, piano pieno, batteria con tamburi grossi; non c'è nulla di veramente "sbagliato" nel materiale della prima facciata, ma (complice il suono) Brooklyn In The Fifties, Baghdad Blues e la ripresa della Crepuscule With Nellie di Monk suonano non poco scolastiche. Anche sulla seconda facciata il suono è quello, ma il materiale pare di gran lunga più creativo, dall'apertura di March Of The Video Reptiles di Forrester alle atmosfere tipicamente targate Johnston di I Saw You In Utah (Idaho), I Am The Police (dove a 30" sembra di ascoltare una frase di Monk arrangiata da Phillip Glass) alla chiusa di By You, Do You Mean You Or Me?

Registrato e pubblicato nel 1988, Beauty Based On Science (The Visit) è il primo CD registrato dai Microscopic Septet - e l'ultimo album prima del loro scioglimento, avvenuto quattro anni più tardi. Per certi versi è il loro album migliore accanto al primo, da cui diremmo che differisce considerevolmente. Sempre agevolmente distinguibili, le penne dei due leader sono adesso giunte a risultati alquanto diversi (e ci sarebbe piaciuto non poco conoscere il seguito della storia, all'interno del gruppo). Forrester offre dei begli episodi dall'accentuata ritmicità - Off Color, Come From Behind, Little Bobby, Lobster In The Limelight - e una melodia "circolare" in grado di entrare nella testa senza scampo quale The Visit. Diremmo che Johnston inizi qui a mostrare alcune di quelle che saranno le caratteristiche salienti nel suo lavoro successivo al gruppo: si vedano la quasi colonna sonora di Rocky's Heart (con bellissimo interludio sax tenore/pianoforte), il polistilismo di Infernal Garden Blues e di Waltz Of The Recently Punished Catholic School Boys, le atmosfere mingusiane/noir di The Dream Detective; originale la costruzione del brano finale, One Room Too Far Away, nel suo alternare momenti solo e lavoro di ensemble.

E' tutto? Quasi. C'è un brano inedito del '90, per un singolo 7" mai uscito. Ci sono tre versioni del tema - scritto da Forrester, ed eseguito dal gruppo - del programma radiofonico della National Public Radio intitolato Fresh Air: un tema di grande longevità che fa dei Microscopic Septet "il gruppo sconosciuto più ascoltato d'America". E poi ci sono foto e illustrazioni - ma davvero poca cosa, diremmo, per una "storia definitiva" (ma non c'erano recensioni e interviste? Ah, ci toccherà andare in Rete...).

"La posterità ricorderà i Microscopic Septet come uno dei migliori gruppi degli anni ottanta". Questa la citazione tratta da un articolo di Francis Davis posta (speranzosamente?) in apertura della biografia del gruppo che accompagna i due CD. Beh, come un gruppo viene ricordato dipende anche da chi scrive il pezzo commemorativo. Ma diremmo che quelle caratteristiche che - rapportate al contesto - hanno reso i Micros un gruppo "di seconda fila" (e magari di terza, e anche di quarta) non sono cambiate. Innanzitutto, i nomi delle etichette che ne hanno pubblicato gli album: Press Records, Osmosis Records, Stash Records; c'è bisogno di aggiungere altro? Poi, il carattere di "intelligent fun" di questa musica: non sappiamo quanto veramente diffuso fosse il "divertimento intelligente" all'epoca di Count Basie e Duke Ellington, ma è certo che al giorno d'oggi, di regola, il "divertimento" non è "intelligente", e ciò che è "intelligente" non può essere usato come "divertimento". Inoltre, se rivolto al pubblico prevalente nel jazz (numeri alla mano), lo stile dei Micros è "troppo sottile" e di difficile lettura; mentre per il pubblico "giovane" che si interessa di "rock sperimentale" e - come conseguenza - di jazz la musica dei Micros suona poco abrasiva - cioè a dire, molto vecchia. In questo senso ci sembra azzeccata la successiva scelta di Johnston di dedicarsi a colonne sonore per cinema e teatro: musica - all'occorrenza - intelligente, che però "non si sente".

Beppe Colli


© Beppe Colli 2006

CloudsandClocks.net | Oct. 9, 2006