Nellie McKay
Obligatory Villagers

(Hungry Mouse)

Se ben ricordiamo, è stato durante i primi giorni di agosto che abbiamo appreso dell'esistenza di un nuovo album di Nellie McKay. Titolo annunciato: Obligatory Villagers. Uscita prevista: la fine di settembre. Abbiamo quindi immediatamente proceduto a preordinare il tutto nel classico formato CD. L'album veniva offerto anche nel formato mp3 e su iTunes: è ovvio che optando per una di queste alternative la ricezione sarebbe stata senz'altro più celere (e ovviamente non potevamo sapere che uno sciopero delle Poste della Perfida Albione, effettuato nell'indimenticabile modalità detta "a gatto selvaggio", avrebbe ulteriormente ritardato la consegna del CD); ma è parimenti ovvio che la qualità sonora del lavoro, che davamo per scontata, sarebbe stata inevitabilmente penalizzata dalla compressione propria a questi formati. Prenotato l'album, si apriva il tempo delle riflessioni.

Poche e tiepide, le recensioni apparse immediatamente a ridosso dell'uscita di Obligatory Villagers non lasciavano ben sperare. La scarsezza numerica è comprensibile: l'esordio di Get Away From Me (2004), con la produzione prestigiosa di Geoff Emerick, era avvenuto sotto il segno della Sony, la cui macchina pubblicitaria si era mossa con prevedibile efficacia. E poi il personaggio c'era, la giovane età pure, gli slogan a effetto ("un incrocio tra Doris Day ed Eminem") erano lì belli e pronti. Ma l'album - validissimo - non aveva venduto come sperato. Pur inciso durante il contratto Sony, Pretty Little Head (2006) era poi uscito in una versione autogestita dalla stessa musicista. E' a questo punto che la McKay debutta a Broadway in un adattamento della celebre Threepenny Opera.

Se la scomparsa della Sony e dei facili "ganci" (diciannove anni si possono avere una volta sola), unitamente alle basse vendite, spiegava il minor numero di recensioni, rimaneva poco chiaro il tono tiepido di quelle apparse. Ci si lamentava della ridotta durata dell'album, poco sopra la mezz'ora: ben strano per un'artista che ci aveva abituato all'opulenza del doppio CD; ma non si era detto che gli album precedenti erano troppo lunghi e avrebbero senz'altro guadagnato da una bella sforbiciata? Ma innanzitutto: che strumentazione c'era sull'album? Qui il silenzio era pressoché totale: vedesse all'opera la Filarmonica di Berlino o un plotone di scacciapensieri, questo aspetto di Obligatory Villagers era destinato a rimanere un mistero fino al momento dell'ascolto diretto.

Anticipiamo le conclusioni: Obligatory Villagers è un ottimo album, che non sfigura affatto se paragonato ai suoi pur illustri predecessori e che illustra alla perfezione la nuova maturità raggiunta della McKay. Benissimo registrato, innanzitutto: forte ma dinamico, non ipercompresso né stancante; qui Kent Heckman ha fatto davvero un buon lavoro, rendendoci possibile apprezzare appieno le sfumature dell'ampliata strumentazione. Perché è questa la vera novità dell'album: prodotto da Nellie McKay e Robin Pappas (la madre), Obligatory Villagers vede la McKay arrangiare e orchestrare con sapienza le composizioni ricorrendo a una tavolozza strumentale ampia, stimolante e per lei nuova.

Un'occhiata agli strumenti? Marko Marcinko, batteria; Paul Rostock, basso e contrabbasso; Spencer Reed, chitarre; Ken Brader III, tromba e flicorno; Jim Daniels, trombone basso e tuba; Tom Hamilton, sax baritono e tenore; Nelson Hill, sax alto, clarinetto, flauto e tenore; David Liebman, sax soprano e tenore; Cameron MacManus, trombone; più le partecipazioni straordinarie di Phil Woods al sax alto e di Bob Dorough alla voce. E non dimentichiamo la sezione d'archi stranamente non accreditata (un quartetto d'archi è ben visibile sulla pagina sinistra della copertina interna del CD) ma chiaramente udibile sulle tracce 2, 6 e 8.

Basso e batteria si rivelano versatili, i fiati escono fuori bene sia in insieme che in assolo, la McKay arrangia benissimo, con i fiati nella parte bassa (trombone, tuba, baritono) e alta (tromba, clarinetto e soprano) sempre in un riuscito rapporto con la voce; la musicista ricorre più spesso del solito a xylofono, glockenspiel e campane, affiancandoli agli abituali piano e organo e inserendoli nel tutto con gusto ed efficacia. Come prevedibile, ritroviamo qui alcuni dei suoi vezzi - certe frasi discendenti di pianoforte, la bossa con flauto e chitarra classica con corde di nylon, certi modi vocali - ancora ben lontani dal diventare vizi.

A trentadue anni dal suo celeberrimo assolo su Doctor Wu degli Steely Dan (l'album è ovviamente Katy Lied), Phil Woods si inserisce bene su Politan. Ottimo dappertutto, David Liebman ha un bel momento al sax soprano in Galleon. Il versatile Nelson Hill fa un bel solo al sax alto su Testify e al sax tenore su Zombie. Nuova per noi, la voce di Bob Dorough riceve ampio spazio, in duetto e commento (e una ricerca in Rete ci dice che Borough è invece figura notissima negli Stati Uniti.)

Fermi restando i nomi già molto citati a proposito dei precedenti album, da Gershwin a Bernstein alle colonne sonore di tanti musical, diremo che stavolta la McKay ha vestito le sue belle melodie - nonché il suo proverbiale, e non di rado pungente, "sense of humour" - con colori strumentali che più che in passato l'avvicinano all'orchestra (durante l'ascolto di tanto in tanto ci sono venuti in mente Count Basie, il Van Dyke Parks di Tokyo Rose e la Carla Bley di Escalator Over The Hill - ma sia chiaro: sono solo riferimenti di comodo). E proprio la nuova densità del lavoro ci ha fatto considerare la durata ridotta quale scelta decisamente appropriata.

L'album inizia con un brano che funge quasi da introduzione e che per la McKay ha tanto l'aria di "business as usual": Mother Of Pearl è la classica composizione pianistica swing ben cantata e dall'accompagnamento essenziale (pianoforte, ukulele, basso e batteria, più voci di sottofondo - e assolo di tip-tap!) che rimanda alla I Wanna Get Married del primo album.

Ma il vero inizio è a nostro avviso la successiva Oversure (un gioco di parole con Overture?). Un brano denso e politematico, con archi, fiati e voci per un insieme di grande complessità. Bella uscita vocale di Bob Dorough nel secondo tema vocale, bella l'uscita del sax baritono.

Gin Rummy apre con voce rilassata, organo, batteria con le spazzole e contrabbasso per poi concedersi cadenze quasi rap con sottofondo di tromba sordinata; bella chiusa di fiati e glockenspiel che porta dritto a...

... Livin, pezzo brevissimo la cui funzione nell'economia dell'album appare essere soprattutto strutturale.

Identity Theft è una mossa classica: rappeggiante ma con musica che ondeggia tra il calypso e l'orchestrina mariachi, con (ovviamente) la tromba ben in evidenza. Il testo ci pare fitto di riferimenti, e siamo già orgogliosi di averne individuati due: la Yakety Yak scritta nel '58 da Leiber e Stoller per i Coasters, e la Folsom Prison Blues di Johnny Cash del '56 (i nostri colleghi statunitensi faranno senz'altro meglio). Bellissimo l'inciso "splice" di tre secondi da parte degli archi a fare inizio da 2' 06".

L'attacco marziale di Galleon ci ha riportato alla mente certe commedie musicali viste quando eravamo bambini, con bandierine agitate sulle portaerei e segretarie pronte all'azione negli uffici. Bella l'atmosfera generale, buon contributo vocale di Bob Dorough, sezione "disco" in levare, buon assolo di sax soprano di David Liebman, solo discreta l'uscita di chitarra.

Se il sax alto di Phil Woods è la star di Politan, vanno citate le voci: la McKay, Bob Dorough e Nancy Reed. Bossa con flauto e chitarra classica, il brano vede un elegante accompagnamento d'organo al solo di sax che ci ha riportato per un attimo alla mente Carla Bley. Molto bello anche il "call and response" finale di piano e sax alto.

Testify è brano complesso a onta della sua piacevolezza. Attacco massiccio di fiati, bello sviluppo melodico vocale, ottimo assolo di sax alto di Nelson Hill, una certa aria da musica "disco con archi" che già sappiamo cara alla McKay, un finale trascinante in stile "Broadway" che ci ha non poco ricordato la celeberrima Let The Sunshine In da Hair. Qui, con un arco che diremmo decisamente visibile, termina l'album iniziato con il pezzo 2.

Chiude il CD un bel blues intitolato Zombie: contrabbasso, batteria con le spazzole, piano elettrico Wurlitzer, organo (questo ci è sembrato davvero un classico Hammond B-3 con un cabinet Leslie 122), un bel sax tenore e una moltitudine di voci. Gran bella interpretazione vocale della McKay, che in tutto l'album ci è parsa ulteriormente cresciuta in sicurezza e agilità interpretativa.

Beppe Colli


© Beppe Colli 2007

CloudsandClocks.net | Oct. 18, 2007