The Peggy Lee Band
New Code

(Drip Audio)

Dire che è da quattro anni che aspettavamo l'uscita di questo album sarebbe un'esagerazione. Ma affermare che nel corso di questi anni ci siamo ritrovati spesso a interrogarci su quali sarebbero state le mosse successive di Peggy Lee (e, passato qualche tempo, su che fine avesse fatto il suo sestetto) è senz'altro vero. Giusto quattro anni fa, Worlds Apart - il terzo album per l'etichetta canadese Spool - ci aveva mostrato una musicista in netta crescita nelle sue molteplici vesti di strumentista, arrangiatrice e compositrice (diremmo le rispettive percentuali di successo fedelmente rappresentate dall'ordine dei ruoli). Se era evidente che il processo di crescita e maturazione della Lee non era ancora compiuto, era chiaro che tutto ciò di cui la musicista aveva bisogno era di lavorare, molto e con continuità. Cosa non facile.

Non sapremmo dire con certezza cosa Peggy Lee abbia fatto in questi quattro anni (una benedizione in termini di facilità di accesso, la Rete ci porta in dono una frammentazione di dimensioni tali da rendere ogni certezza un'ipotesi). Sappiamo però di due album (e qualche tour) realizzati quale componente del Gravitas Quartet, formazione dalla strumentazione para-cameristica (pianoforte, violoncello, fagotto e tromba) guidata da Wayne Horvitz: un musicista nei confronti del quale la Lee aveva mostrato in passato più di qualche affinità.

Pur non essendo (ancora) l'album che crediamo fermamente Peggy Lee abbia dentro di sé, New Code è definibile senza fatica come un buon lavoro. Riconoscibile già dalle prime note di violoncello, la musicista offre qui arrangiamenti ricchi di fantasia e colore. Pur non tutte memorabili, le composizioni ci dicono di una pluralità di approcci che è la benvenuta. Un'ora di durata è forse troppo perché l'ascoltatore non si trovi di tanto in tanto a distrarsi, ma con tutta evidenza qui l'intento era di mostrare l'intera gamma delle possibilità, anche strumentali.

La notizia è che il sestetto è adesso un ottetto: il sax tenore di Jon Bently e le chitarre di Ron Samworth (quest'ultimo già presente sul precedente lavoro) si affiancano al violoncello della Lee, alla batteria di Dylan van der Schyff, alla tromba e al flicorno di Brad Turner, al trombone di Jeremy Berkman, al basso elettrico di Andre Lachance e alle chitarre di Tony Wilson.

L'album è stato prodotto dalla Lee e da Dylan van der Schyff, con il secondo a occuparsi anche di missaggio ed editaggio. L'insieme è discretamente intellegibile. Forse per motivi di equilibrio sonoro dell'insieme, stavolta la batteria di van der Schyff ci ha ricordato non poco quella di Paul Motian, con bel lavoro di piatti e tamburi un po' arretrati. Il violoncello è quasi sempre ben udibile (ma avremmo dato un po' di volume in più ai gustosi contrappunti agli assolo del primo brano). Il sax tenore di Bentley ha un attacco spesso "aereo", da sax soprano. Scarsamente presente (di nuovo!) il basso elettrico. Gustosamente jazzati tromba, flicorno e trombone, con gran bel lavoro di Brad Turner e Jeremy Berkman. I due chitarristi si dividono i compiti: sul canale sinistro, Wilson fa un lavoro jazzisticamente "ortodosso", a destra Samworth spinge sul pedale della distorsione, à la Elliott Sharp.

Sette composizioni originali, due cover, e tre concise improvvisazioni: la varia Offshoot 1 è un trio chitarra, trombone e batteria, Offshoot 2 presenta un bel duo tromba-violoncello, Offshoot 3 affianca basso e tenore alla chitarra di Wilson, qui per una volta dall'aria quasi Bailey.

L'album si apre con una gustosa ripresa, ariosa e con echi squillanti, quasi mariachi, della dylaniana All I Really Want To Do: begli assolo - in successione: tromba, tenore, trombone, chitarra -, bel contrappunto del violoncello, batteria dinamica.

Unico brano di una certa lunghezza in un album che saggiamente predilige la durata contenuta, Preparations apre con una lenta assolvenza di circa 2' (piatti sfregati con l'arco, violoncello) per poi sfociare in un tema la cui atmosfera che ci ha ricordato non poco i President di Miracle Mile; un arpeggio chitarristico introduce a 7' 10" un bel tema per fiati.

Not A Wake Up Call si apre con violoncello, chitarra con armonici, lavoro d'arco, e un assolo di Samworth à la Elliott Sharp sostenuto da un arpeggio di Wilson e dai piatti e dai tamburi di van der Schyff. Fiati in assolvenza, chiusa con loop ed eco chitarristico che porta a...

... Floating Island, uno dei punti alti dell'album: frase melodica semplice (quasi una In A Silent Way maggiormente catatonica), melodia dall'unisono sfasato per tromba, trombone (con sordine) e chitarra.

Scribble Town ha un andamento jazzato, e una melodia spezzata che per un istante ci ha riportato alla mente la monkiana Epistrophy. Grintoso assolo di tenore, ben sorretto dai tamburi.

Tug ha un attacco "lirico", un bel violoncello, un'atmosfera ariosa e una tromba decisamente davisiana.

Walk Me Through ha una bella melodia per fiati, chiude con un solo jazzistico di chitarra.

Shifting Tide vede quale protagonista il tenore. Sottili cenni di bossa, e fa quasi venire alla mente l'Elton Dean più morbido dell'epoca Soft Machine.

Chiude bene una ripresa della Lost In The Stars di Kurt Weill: tromba in evidenza, poi violoncello e fiati a viaggiare in parallelo, trionfo della sordina, batteria essenziale.

Beppe Colli


© Beppe Colli 2009

CloudsandClocks.net | Feb. 9, 2009