Jefferson Airplane
Thirty Seconds Over Winterland

(Iconoclassic)

Curioso trovarsi a riflettere sull'attualità odierna dei "gruppi della West Coast" statunitense a più di quarant'anni dai fatti, quando persino un fenomeno relativamente recente quale il (cosiddetto) Grunge è stato da tempo definitivamente consegnato alle nebbie di un indistinto "passato".

Innegabilmente deboli dal vivo, Byrds e Buffalo Springfield hanno nondimeno creato un suono fresco e personale, ben rappresentato da una (piccola) serie di album di studio (e da un bel po' di belle canzoni) perfettamente in grado di funzionare da perenne archetipo per chi voglia guardare in quella direzione.

Considerazione opposta per i Grateful Dead, grandi e mutevoli (e incostanti) dal vivo, ma spesso incapaci di tradurre uno spirito in belle canzoni. Divenuto leggenda e poi fenomeno culturale che è parte a pieno titolo del patrimonio americano almeno quanto il surf e la torta di mele, il gruppo vive oggi di una serie pressoché infinita di registrazioni dal vivo perfettamente in linea con "lo spirito della Rete".

Per più versi forse il meno "californiano" tra i gruppi californiani, i Doors sono spesso percepiti - per motivi che diremmo ben noti a tutti e che non è quindi il caso di ripetere - come al di là di ogni possibile discussione razionale. Restano comunque gli immacolati sei album di studio e la summa di Absolutely Live (e tre grandi strumentisti).

Una stampa schierata a fianco del mito di Arthur Lee ha duramente e costantemente tentato di togliere i Love dalla scomoda categoria dei "minori", con risultati che diremmo non molto convincenti (e se parliamo di gruppi "minori" in senso commerciale, in quanto a creatività e spirito innovativo i Love non sono certo paragonabili agli United States Of America di Joseph Byrd). Mentre resta curiosamente sempre in ombra uno dei gruppi più creativi e (peccato imperdonabile?) sottili degli anni sessanta: gli Spirit.

I Creedence Clearwater Revival sono davvero a tutti gli effetti un archetipo sotterraneo della "moderna musica popolare americana". Californiani le cui coordinate geografiche conducono più a Bakersfield che a Los Angeles o a San Francisco, sotto una patina di apparente uniformità (si chiama "stile") i Creedence racchiudono nei loro album migliori (quattro, tutti concepiti e incisi nel giro di meno di due anni) un'enorme quantità di generi. Impossibile non citare la cifra "politica" presente nella narrativa del leader (e autore) John Fogerty: un'impostazione "liberal" che se è culturalmente in linea con lo "spirito californiano" dell'epoca è quanto di più vicino a un punto di vista autenticamente "working class" la musica rock statunitense (californiana e no) abbia mai prodotto.

E certo è buffo riflettere su quanto il trascorrere del tempo abbia (non appianato, ma) reso indistinte differenze un tempo importanti. Come è buffo vedere il favore incondizionato oggi attribuito a un musicista come Johnny Cash, un tempo simbolo di quanto di più retrivo e (se la parola ha ancora un senso) nixoniano esisteva allora in America, laddove il mito del "ribelle" (the "outlaw") si incarna in un individualismo che è l'esatto contrario del collettivismo di stampo californiano.

(Pochi crederebbero che la partecipazione di Bob Dylan allo show televisivo di Johnny Cash, oggi considerata prova tangibile dell'ampiezza di orizzonti del padrone di casa, fu all'epoca vista come segno innegabile del fatto che Dylan fosse - letteralmente - impazzito.)

E che le linee culturali tracciate fossero all'epoca cosa molto seria è facilmente rinvenibile nell'atteggiamento dubbioso nutrito da molti musicisti "rock" nei confronti della musica "country", ché non solo di note si trattava. (Chi volesse una prova dell'atteggiamento quanto meno ambivalente nutrito da un fan della musica nera quale Mick Jagger nei confronti del country ha solo da ascoltare l'approccio vocale da lui adottato nell'affrontare le arie "country" del gruppo, a partire dalle strofe di Dead Flowers su Sticky Fingers.)

Tra i massimi protagonisti della "scena californiana" del periodo, i Jefferson Airplane soffrono (e non da oggi) di una curiosissima sottovalutazione, e ciò nonostante un buon numero di album di studio che non è azzardato dire eccellenti per qualità delle canzoni e coerenza dell'insieme (qui un pensiero va necessariamente al produttore Al Schmitt, che seppe ricondurre a unità coerente personalità decisamente eterogenee); una tenuta dal vivo a quei tempi senz'altro poco comune (ben rappresentata dall'album Bless Its Pointed Little Head); due hit epocali (uno dei quali, White Rabbit, vera icona (contro)culturale dell'epoca); una figura femminile di cantante e autrice (Grace Slick) ai tempi decisamente rara; un chitarrista (Jorma Kaukonen) di cui si può dire che ha inventato uno stile; e un bassista (Jack Casady) il cui lavoro armonicamente audace è in grado di ben figurare ancora oggi e il cui suono rimane uno dei più originali di tutta la storia del rock.

Anche begli impasti vocali, laddove le voci di Marty Balin e di Paul Kantner erano protagoniste accanto a quelle della Slick e di Kaukonen. E brani che se pur attingevano largamente alle tradizioni folk e blues evitavano il calligrafismo mentre li immergevano in combinazioni timbriche spesso audaci. Bello anche il capitolo testi, con quelli di Kantner a mettere in pratica la concezione di "giornalismo orale" tipica del folk di protesta e quelli di Kaukonen a incarnare il lato dell'esperienza personale tinto con i colori dell'apologo e dell'allegoria tipico del blues. Un capitolo a parte per i testi della Slick, a tratti contraddistinti da un cinismo e da un realismo di marca adulta all'epoca tutt'altro che comuni.

Finiti i sessanta, i Jefferson perdono Marty Balin, frontman del gruppo nei concerti dal vivo, e il batterista Spencer Dryden, il cui groove magro di natura jazzistica, forse giudicato inadeguato nell'epoca del batteristi dal suono tonante, era però a ben vedere l'elemento in grado di offrire la necessaria agilità a un gruppo il cui suono era sovente tutt'altro che snello. E' a questo punto che Kaukonen e Casady fondano la formazione a geometria variabile denominata Hot Tuna, destinata ad abbracciare la scena "jam" di marca rock-blues. Reclutato il batterista Joey Covington e, in condivisione con gli Hot Tuna, il violinista Papa John Creach (un vero personaggio), i Jefferson Airplane producono due album di pregio anche se decisamente eterogenei quali Bark e Long John Silver, per effettuare poi quello che sarà il loro ultimo tour. Nel frattempo (lo stimato e noto) John Barbata ha sostituito Covington.

Il gruppo è di fatto già sciolto quando nel 1973 viene pubblicato Thirty Seconds Over Winterland, uno smilzo album dal vivo registrato nel corso del tour effettuato l'estate precedente. Se ben ricordiamo, all'epoca della sua pubblicazione l'album convinse ma non entusiasmò, forse più per colpa dei tempi - molti i cambiamenti avvenuti, diremmo soprattutto in Europa, nei primi anni settanta - che per demeriti propri. Testimonianze audio di recente accessibilità ci hanno detto di una formazione tutt'altro che stanca intenta a suonare con convinzione e brio materiale tratto principalmente dai nuovi album unitamente a cose provenienti dal repertorio Hot Tuna: se la coerenza dell'insieme lascia un po' a desiderare, il risultato finale è decisamente notevole. Qui il miglior esemplare di cui abbiamo notizia è il doppio Last Flight, che (da note di copertina) riproduce integralmente l'ultimo concerto in assoluto della formazione, tenuto al Winterland: si ascoltano con piacere brani tutto sommato rari quali The Son Of Jesus e Aerie (Gang Of Eagles), quest'ultima con ottimo lavoro di Casady, ma un suono a metà strada tra lo scadente e l'orrido ne rende consigliabile l'ascolto solo ai fan più motivati.

Ben venga quindi la ristampa di Thirty Seconds Over Winterland, qui in una versione arricchita da inediti. Diciamo subito che il suono è quello, non eccelso ma tutt'altro che carente, dell'originale in vinile; solo un po' inferiore quello dei brani aggiunti; buono il lavoro di rimasterizzazione di Vic Anesini. Ben fatte e decisamente utili le note di copertina di Jeff Tamarkin, autore di quella che a tutt'oggi è l'unica biografia del gruppo: Got A Revolution! The Turbulent Flight Of Jefferson Airplane.

Quello che ai tempi ci colpì maggiormente fu la tanto diversa presenza sonora della sezione ritmica: John Barbata era un batterista forse più "affidabile" di Dryden, ma a parere di chi scrive il suo suono andava a impastare più del dovuto una zona centrale già affollata di suo; più "gommoso" e rotondo che in passato, il suono del basso di Jack Casady era semplicemente spettacolare (ci interrogammo a lungo, inutilmente, sulla identità dello strumento come da foto di retrocopertina: si trattava in realtà del primo basso Alembic in assoluto). Cantante aggiunto, l'ex bassista dei Quicksilver Messenger Service David Freiberg (destinato a rimanere a lungo nell'orbita del gruppo) aveva essenzialmente il compito di completare la miscela di voci ora priva di Balin.

La prima facciata dell'album si apriva con un brano di Kantner originariamente apparso solo su singolo (insieme alla sulfurea Mexico), Have You Seen The Saucers. Seguiva una snella e spigliata esecuzione di un brano "leggero" di Kaukonen già apparso su Bark, Feel So Good, qui in una versione lunga contraddistinta da un interplay strumentale che non è esagerato dire entusiasmante. Chiudeva una bella ripresa di uno degli indiscussi classici della formazione, Crown Of Creation.

Apertura della seconda facciata per When The Earth Moves Again, già primo brano di Bark. A seguire Milk Train, con bel violino di Papa John Creach, bella uscita solista di Kaukonen e una prestazione vocale grintosa da parte della Slick. Trial By Fire era il pigro brano così rappresentativo del suono Hot Tuna. A Twilight Double Leader, dal testo che diremmo opaco, il compito di chiudere, con fuochi d'artificio chitarristici.

I brani aggiunti confermano la buona impressione generale. Wooden Ships è buona anche se un po' incerta nella parte vocale. Long John Silver è eccellente, con carica massima. Buono l'inserto Hot Tuna di Come Back Baby. E' poi la benvenuta la rara Law Man, bel brano della Slick da Bark. Chiude un curioso medley, laddove la nota Volunteers è preceduta da un frammento di Diana, dall'album a nome Kantner e Slick intitolato Sunfighter.

Beppe Colli


© Beppe Colli 2009

CloudsandClocks.net | Dec. 1, 2009