Hugh Hopper/Simon Picard/Steve Franklin/Charles Hayward
Numero D'Vol

(MoonJune)

Ci capita ancora, di tanto in tanto, di interrogarci sulle sorti del "suono di Canterbury": non la più chiara delle definizioni, lo sappiamo, a onta del non piccolo numero di ascoltatori pronti a pronunciare il fatidico "lo riconosco non appena lo sento". Un suono altamente comunicativo, e a suo modo "popolare", pur se ovviamente minoritario. E un'esperienza sonora ancora oggi in grado di affascinare perfino teenager e venti-e-qualcosa (abbiamo le prove). Si parla qui delle opere storiche, ovviamente, ché fin troppo spesso i tentativi di aggiornare la vicenda non hanno avuto altro esito che quello di rendere imbarazzante l'ascolto. Con il risultato di mutare la nostra curiosità in timore, mentre scorriamo i nomi dei partecipanti.

Hugh Hopper non è un nome bisognoso di presentazioni. Meno noti a chi scrive, Simon Picard (sax tenore) e Steve Franklin (tastiere) erano stati avvistati tempo addietro proprio su sponde hopperiane (Picard collabora con il gruppo di Phil Miller). Il nome "che non c'entra" è qui quello di Charles Hayward: che ci fa da queste parti?

Hayward è ovviamente conosciuto ai più in ragione della sua militanza nei This Heat. Chi scrive lo conobbe però nelle sue prodigiose capacità di "timekeeper assertivo ad alta intensità di colori" già nei Quiet Sun di Phil Manzanera, per poi apprezzarlo nel ben diverso contesto dei Camberwell Now. Un album solista di canzoni - Survive The Gesture - e una collaborazione con il Fred Frith di Keep The Dog, e poi ancora con Frith e Bill Laswell nella seconda edizione dei Massacre. Pur se da lontano, abbiamo seguito le gesta di Hayward; fermamente convinti, però, che il contesto "improvvisativo" non è quello che più gli si attaglia; e pur se coscienti del fatto che un gruppo "come quelli di una volta" - con un  suono riconoscibile, una personalità d'insieme e un rapporto non occasionale tra i musicisti - è oggi un'impresa economicamente insostenibile.

Charles Hayward: che ci fa da queste parti? Poi abbiamo ricordato che Hayward (così come Chris Cutler) aveva condiviso con Hopper l'avventura di Oh Moscow di Lindsay Cooper, pur non lasciando alcuna testimonianza tangibile (sull'album, pubblicato nel 1991, la batteria è suonata da Marilyn Mazur). Ulteriori indagini ci dicono di un gruppo chiamato Clear Frame, dove Hopper e Hayward suonano accanto a Lol Coxhil e Orphy Robinson.

L'inizio di Numero D'Vol - è proprio il brano omonimo - risulta discretamente spiazzante: soffiare di sax tenore, pianoforte, sintetizzatore, pulsazione dei tamburi (diremmo la cassa), "pedale" del synth, tenore discorsivo; poi entrano i piatti, e il basso, a spezzare la fissità dell'elemento elettronico, poi fraseggio di sax e piano. Il sax tenore - a tratti pare proprio di sentire l'ancia "strozzata" di Gary Windo - individua un'area tonale dentro la quale aggirarsi con fare meditabondo. Coda di piano, e piatti e rullante, e i "botti" di Hopper. Bello e strano, del tutto inatteso.

Segue On The Spot: aprono basso con fuzz, batteria, sintetizzatore. Poi gruppetti di note sul piano, che passano da un canale all'altro, a ricordarci fuggevolmente la softmachiniana Drop. Tempo cadenzato, poi basso e batteria in accelerazione, fraseggio di sax tenore... come un assolo jazz accompagnato dalla ritmica dei Can!

Fa seguito Earwigs Enter: ritmica "sferragliante", quasi techno, sintetizzatore, sassofono (di nuovo il ricordo di Gary Windo), synth in una minacciosa frase melodica discendente, groove.

Proviamo a individuare il filo del discorso come appare finora. Una ritmica "artificiale" dalle proporzioni "errate", piani mutevoli, ruoli e volumi cangianti, entusiasmante rimescolamento di carte. La batteria - ampia nello spazio stereo, varia nello spettro sonoro - crea un fronte su cui vanno a incastrarsi sassofono, pianoforte e sintetizzatore; il volume di piatti e tamburi consente a Hopper - ovviamente sempre puntuale nel creare riff e "perni" ritmici quando il caso lo richiede - di ritagliarsi un bel ruolo di coloritura in grado di svelare sfumature che diremmo a tratti inedite. C'è la consapevolezza di techno e musica "in the box", con plug-in e la mutazione spinta di quanto registrato. Ma sarebbe assurdo non ricordare la lezione del Teo Macero "artificiale" del Miles Davis elettrico.

Free Bee ha sax e piano "classici", ma ricontestualizzati dagli accenti di basso e batteria, qui a volume altissimo. Bel solo di piano.

Il charleston (hi-hat) fornisce la propulsione a Get That Tap, dove la batteria ha un battito "tribale" con lieve accenno di phasing, sax "ruminante" e (esattamente a 5') un sintetizzatore che esce da Soon Over Babaluma.

Bella Bootz, mentre Shovelfeet beneficia della pulsazione mobile della ritmica e offre un frenetico piano finale con ritmica in accelerato.

Bees Knees Man ha un giro di basso davvero ipnotico, un chiaro swing rullante/charleston (hi-hat), poi un bellissimo assolo di "organo" con basso e batteria ipnotici. Elegantissima la chiusa "cool", con rullante con cordiera, e le spazzole.

Inizio di basso "flamenco", e tenore "lirico", per Straight Away, dal bell'interscambio strumentale. Assolo di piano (che diremmo "montato") per Twilight. Bella e appropriata la chiusa di Some Other Time.

Cosa dire in chiusura di recensione? Senz'altro "sorpresa dell'anno". Una sorpresa che abbiamo cercato in tutti i modi di smontare ascoltando il CD nell'arco di una decina di giorni ben oltre il "dovere critico". Un album che continua a riservarci sorprese ancora al decimo ascolto.

Hopper - qui anche in veste di produttore ben coadiuvato da Julian Whitfield nel Delta Studio di Canterbury - ha davvero fatto centro. Sperando che i promoter abbiano il buon senso che è bello augurarsi che abbiano, e che il gruppo abbia il budget necessario a trasferire sul palco le proporzioni "sbagliate" ottenute nello studio d'incisione.

Auguriamo sinceramente trent'anni di guai a chi lo scaricasse "a gratis".

Beppe Colli


© Beppe Colli 2007

CloudsandClocks.net | Sept. 18, 2007