Hugh Hopper
Jazzloops

(Burning Shed)

L'annuncio della pubblicazione di un nuovo CD di Hugh Hopper ha destato in chi scrive una certa curiosità. Curiosità accresciuta dal titolo dell'album, Jazzloops. Il CD viene masterizzato su richiesta: paghi la somma, ti arriva il disco. Confezione (logicamente?) spartana, musicisti accreditati in modo molto sommario, come forse prevedibile data la natura del lavoro: presenti nomi ben noti (sono i soliti sospetti: Elton Dean, John Marshall, Robert Wyatt, Didier Malherbe), e altri che lo sono meno (Pierre-Olivier Govin, Kim Weemhoff).

Le coordinate del lavoro risulteranno ovviamente familiari a chi abbia almeno un po' di confidenza con l'ormai lunghissima carriera del bassista/compositore, che stavolta pare essersi alquanto divertito a rimescolare le carte. Fuzz bass e quelle inconfondibili progressioni melodiche rivelano immediatamente l'identità dell'autore di Afrik e Acloop, mentre altrove le cose sono decisamente più ambigue (e non è detto che ciò sia un male). L'atmosfera ripetitiva data dai loop ben si sposa a prestazioni strumentali (soprattutto sassofoni) decisamente più convenzionali; piace notare che il bersaglio viene centrato il più delle volte, mentre il pericolo del pastiche è fortunatamente evitato.

L'album risulta "corrente", ma tutt'altro che "à la mode". Se l'ascoltatore avvezzo a un ascolto distratto/di sottofondo non avrà di che lamentarsi (ci piace immaginare questo disco mentre regala "ambiente" a un locale trendy), Jazzloops è comunque ben in grado di accogliere un approccio più attento e maggiormente analitico.

A questo punto è "solo" un problema di marketing. Ricordiamo perfettamente la sensazione di sorpresa provata un paio di anni fa nell'accorgerci della pochezza di un album di Nils Potter Molvær (Solid Ether) che da più parti veniva segnalato come lavoro innovativo. Hopper ha il non piccolo merito di aver copiato se stesso.

Beppe Colli


© Beppe Colli 2003

CloudsandClocks.net | Feb. 10, 2003