Alicia Hansen
Fractography

(self-released)

Cominciamo dalla fine? Un gran bell'album.

E crediamo di poter dire che difficilmente la nostra sorpresa avrebbe potuto essere maggiore, tanta è ormai l'abitudine a trovare nella cassetta delle lettere lavori scadenti, poco originali, fatti male, privi di ispirazione e di una vera ragion d'essere o tutto questo insieme. E speriamo che il lettore ci perdoni se ammetteremo di aver visto nella natura di uscita "in proprio" di questo CD nient'altro che un'aggravante ai nostri peggiori sospetti.

Certo è stato strano vedere che conoscevamo tutti i musicisti presenti sull'album, a eccezione della titolare. Abbiamo avuto modo di apprezzare il lavoro di Tommy Babin, basso, e di Skye Brooks, batteria, in molti contesti, spesso al di là dei meriti intrinseci della musica suonata (per Brooks il riferimento più prossimo in sede di recensione è l'album degli Inhabitants intitolato A Vacant Lot, del 2010). La violoncellista Peggy Lee è una delle nostre beniamine, e ci ha fatto molto piacere risentirla a due anni di distanza da quel New Code, pubblicato a nome The Peggy Lee Band, dove aveva ben figurato il chitarrista Ron Samworth, che qui ritroviamo.

Dopo un paio di ascolti decidevamo che il solo nome al quale ci sentivamo di poter affiancare Alicia Hansen era quello di Emily Bezar. In realtà ascolti prolungati (si intenda: quattro settimane) ci hanno aiutato a ridimensionare quella prima impressione, con la parziale eccezione del brano posto quasi in chiusura, If You Asked Me, laddove le voci multiple di una lenta ballad pianistica dalla sapiente costruzione melodica con una forte attenzione alla dinamica ci sembrano avere più di un punto di contatto con la musicista statunitense. Ma la Hansen, di Vancouver, segue un sentiero che non è difficile definire personale, dove influenze classiche (molte), jazzistiche (qualcosa), "Prog" (ma qui bisognerà distinguere la composizione dalla produzione - ci arriviamo tra un attimo), un'ottima padronanza della tastiera e non comuni mezzi vocali (ed è una bella voce che non ha bisogno di particolari filtri d'ascolto per essere apprezzata) producono una combinazione vincente.

Babin fa un buon lavoro, poco appariscente ma solido - far fare bella figura agli altri è da sempre il destino dei bassisti. Va meglio a Brooks, la cui batteria assume qui un ruolo orchestrale dai timbri ben giocati dalla produzione. La Lee e Samworth fanno una gran bella figura, sia in ensemble che in piccoli episodi in solo tutti da gustare. Le composizioni sono molto dense e articolate (ma non "difficili"!), con variazioni timbriche e di missaggio tali da ingannare la percezione dell'ascoltatore: non è certo una durata di trentacinque minuti per undici brani quella che soggettivamente ci appare!

Accostamenti curiosi? Alcoholic e Freighters potrebbero benissimo provenire da un ipotetico terzo album dei News From Babel. Mentre la conclusiva Fractograph, con il basso distorto di Cory Curtis in azione, potrebbe essere detta affine a momenti new waver statunitensi degli anni ottanta, una via di mezzo tra i Thinking Plague e gli Orthotonics (non è proprio vero - ma è il meglio che riusciamo a fare). Ignoriamo quale sia stato il peso della produzione (di Aaron Joyce, che ha curato anche gli arrangiamenti) e della parte tecnica strettamente intesa (Jesse Gander) nei climi strumentali. Se alla Hansen è accreditato il pianoforte, altri timbri abbondano: il "clavicembalo" di Under Hypnosis; l'Hammond B3 + Leslie chiaramente avvertibile su Apple Core e In Armies; il filtro modulato su Poison Tree; i piani elettrici - Wurlitzer? Fender Rhodes? Sintetici? - su Fractograph; curioso l'Hammond B3 su Clear Enough, che ci riporta alla mente Hugh Banton su A Plague Of Lighthouse Keepers dei Van Der Graaf Generator. Da segnalare strategie tipicamente "Prog" quali l'accelerazione del nastro (Clear Enough) e lo "splice" di nastro rovesciato di batteria (Fractograph) quali mezzi di giuntura.

Quanto detto finora non induca il lettore a credere Alicia Hansen un'ospite sul suo stesso album! Già dopo i primi ascolti è facile vedere come il disegno compositivo abbia una coerenza invidiabile ben espressa dalle parti vocali, sovente multiple o corali. E una cifra unitaria non fa fatica ad apparire nonostante la varietà: il lettore provi ad accostare il brano iniziale - esitante, quasi sonnambulistico - a quella che è un'ideale "chiusura della facciata A", dall'andamento maestoso. Con apparente paradosso, Fractography potrebbe essere definito l'album di esordio di una musicista dalla lunga e varia esperienza.

Introdotta da quello che ci è parso un arpeggio di piano preparato, Under Hypnosis offre una melodia limpida e un bel crescendo, con buon violoncello. Alcoholic ha un andamento serrato, una batteria propulsiva, un bell'assolo di chitarra con contrappunto vocale. Homesickness è una gran bella ballad vocale a voci multiple con efficace accompagnamento "orchestrale". Livelli altissimi anche per Freighters, con grande varietà di timbri sul rullante e buon apporto di violoncello e chitarra. Apple Core offre una ballad pianistica in ¾ con melodia accattivante, voci multiple e un riuscito dialogo tra violoncello e pianoforte. La maestosa In Armies chiude un'ideale prima facciata: batteria suonata con le spazzole, cordiera, e "corale" a chiudere.

Poison Tree è multitematica, quasi una mini-opera guidata dal piano; bello l'episodio con due violoncelli contrapposti alle parti vocali della Hansen. Venendo subito dopo, Clear Enough suona apparentemente spoglia, ma è il prodotto di un bel gesto compositivo; particolarmente bella la voce solista. Norway è un'altra bella ballad pianistica con "fisarmonica" (un synth?) e un curiosissimo "splice" "techno" lento. If You Asked Me ci riporta alla Bezar, ed è la vera conclusione. Piccola pausa, e la già citata, e new waver, Fractograph porta a conclusione un lavoro riuscito, bizzarro, e - perché no - nuovo.

Beppe Colli


© Beppe Colli 2011

CloudsandClocks.net | Apr. 12, 2011