Hail
Hello Debris

(ReR)

Fu all'incirca a metà degli anni ottanta - un periodo in cui il rock, almeno per come noi lo intendevamo, sembrava essersi ridotto a un panorama dove le idee si erano drammaticamente ristrette - che quasi per caso ci capitò di ascoltare un collettivo denominato Thinking Plague, da Denver, Colorado. Anche se l'omonimo album di esordio pareva contenere cose pregevoli e velleitarie in quasi ugual misura, pure - complice la desertificazione di cui sopra - ci accostammo in un certo qual modo fiduciosi al seguito della storia, Moonsongs (i due album sono poi stati ristampati in un unico CD sotto il titolo di Early Plague Years). Moonsongs quasi premiava la fiducia accordata: la bizzarra miscela - dal sapore che diremmo inconfondibilmente statunitense - di elementi "prog/RIO" e asperità/asciuttezze più decisamente "new-wavers" convinceva, anche se non completamente. Alcuni anni dopo il gruppo avrebbe pubblicato quello che a oggi rimane forse il lavoro più riuscito: In This Life (1989).

Fu sugli album dei Thinking Plague che incontrammo Bob Drake e Susanne Lewis: il primo era bassista e batterista (e all'occorrenza percussionista, tastierista, chitarrista e violinista), oltre che competente "uomo di studio"; ma era stata la seconda, con la sua vocalità decisamente personale (e fatalmente destinata a polarizzare i pareri degli ascoltatori), l'elemento maggiormente caratterizzante. Acquistammo Turn Of The Screw (1991), esordio su CD della coppia Drake e Lewis sotto il nome di Hail (diamo le coordinate: comprata in sottoscrizione, la nostra copia portava il numero 19 su un totale di 75). In realtà la relazione musicale tra i due risaliva al 1980. E c'erano già stati altri due album, Venus Handcuffs e Gipsy Cat And Gypsy Bird. Ma noi non lo sapevamo.

Dire che Turn Of The Screw risultò essere un album il cui ascolto ci lasciò perplessi sarebbe il più classico degli understatement; in realtà lo odiammo come poche altre volte ci è capitato di fare. La Lewis aveva composto tutti i pezzi, li aveva cantati e aveva suonato chitarra, tastiere e altre cose sparse. Drake aveva suonato tutto il suonabile, e curato la parte tecnica. La cosa curiosa erano le proporzioni tra gli elementi e il loro piazzamento nello spazio: per cui la voce della Lewis, piazzata al centro e molto arretrata, andava "scoperta" in una selva strumentale che aveva il basso e la batteria ad alto volume e in primo piano. Ma una volta fatta la fatica la considerazione che veniva spontanea era: perché scomodarsi? Le melodie erano "generiche", le parti vocali - che sembravano registrate come se la Lewis non avesse mai indossato una cuffia - assolutamente insopportabili.

Ragion per cui decidemmo di ignorare il CD successivo, Kirk (1993), anche se la presenza di Dave Kerman alla batteria ci tentava non poco. E ora ci troviamo con Hello Debris - il nuovo CD degli Hail a distanza di tanto tempo - nel nostro lettore CD.

Hello Debris ripropone uno scenario già noto: pezzi della Lewis, arrangiamento e produzione degli Hail; anche stavolta Drake ha curato la parte tecnica e il missaggio. La prima cosa che si nota ascoltando il CD è il modo bizzarro in cui sono disposti gli elementi: sovente la coppia basso/batteria (Drake) è posizionata "tutto a destra/tutto a sinistra", e lo stesso non di rado vale per chitarra e tastiere (Lewis); la qual cosa fornisce all'album una strana patina molto "anni sessanta". La seconda è che la Lewis è molto cresciuta come autrice, sia in qualità che in varietà: abbiamo un pezzo che con adattamenti minimi sarebbe una perfetta "chanson Française" - o un inedito da Letters Home dei News From Babel (I Don't Know); un quasi-Garbage (Street Life); una tipica ballad chitarristica (Debris); melodie a sviluppo "fratturato" (Hello 2 e Hello 1); una piacevole bossa (Rio Cherry); una bella melodia tout court (The Poets - ma perché è così breve?); un brano dall'andamento non poco marziale (City Song); una Thinking Plague "formato tascabile" (New Skyline); e una "quasi After Dinner" (House In San Mateo). Anche le melodie - più interessanti che in passato - mostrano un'accresciuta familiarità con la tastiera. Mentre le parti vocali non soffrono degli antichi difetti.

Parte del successo di Hello Debris è senz'altro imputabile alla sua durata: diciotto pezzi in quaranta minuti, laddove l'ora di Turn Of The Screw lasciava spossati (un sapore "vinilico" è dato anche dalla pausa lunga situata dopo il pezzo otto). Ma questo è il tipo di album in cui le melodie sono solo una parte della storia: spostamenti nello spazio e mutare degli ambienti risultano altrettanto decisivi, e rivelano un'estetica di tipo "artificiale" che ha molto in comune con generi musicali che sembrano lontanissimi se restiamo alle melodie. Partendo dai suoni "piccoli" di I Don't Know il CD chiude con la triade "ampia" di New Skyline, House In San Mateo e Come To Stay. E avendo ascoltato Hello Debris più e più volte, ben al di là del "dovere critico", eravamo quasi pronti a concludere che il CD era "un successo incondizionato".

(E poi cos'è successo?)

Poi è successo che - dovendo ancora familiarizzarci appieno con le nuove casse acquistate non molto tempo fa - abbiamo messo sul piatto la seconda facciata di un LP registrato (su otto piste) nel 1971: un ascolto piacevole e coinvolgente, ma nulla di trascendentale. Poi, giusto perché ne avevamo il tempo, abbiamo deciso di riascoltare Hello Debris. La differenza di percezione tra il prima e il dopo ci ha lasciato assolutamente sconcertati.

(E quindi?)

Non è facile giungere a una conclusione univoca. Se presa in modo "autonomo", la resa estetica di Hello Debris risulta essere tecnicamente ingegnosa ed esteticamente soddisfacente. Ma se "relativizzata", può apparire quale il tentativo di far rendere al massimo i materiali che si hanno a portata di mano (si intenda: non molto).

Beppe Colli


© Beppe Colli 2006

CloudsandClocks.net | Nov. 10, 2006