Lisa Germano
Lullaby For Liquid Pig

(Ineffable)

Se è vero che il concetto odierno di "cantautrice" è profondamente mutato dai tempi delle Joni Mitchell e delle Laura Nyro (che è estremamente difficile immaginare otterrebbero oggi la notorietà, l'influenza e il successo - anche in termini puramente commerciali - possibili negli anni sessanta e settanta) è pur vero che siamo rimasti discretamente colpiti nel leggere (su un bel profilo firmato da Julene Snyder e apparso lo scorso 1 aprile sul sito statunitense Salon.com) che il CD più recente di Lisa Germano, Slide (1998), pubblicato dalla 4AD, ha venduto nel mondo la risibile cifra di 6.000 copie. Certo, è una cifra che molti album della nostra discoteca personale non si sognerebbero nemmeno di raggiungere. Però il fatto ha davvero del paradossale, considerando che nel corso degli anni novanta la Germano ha pubblicato album sempre più curati e rifiniti, contraddistinti da un lavoro di produzione e di arrangiamento in grado di vestire (e arricchire) in modo estremamente pertinente la sua musicalità triste e dimessa. Cosa avvenuta con estremo successo su Excerpts From A Love Circus (1996) e Slide. E particolarmente su quest'ultimo, dove il sapiente lavoro di Tchad Blake aveva creato dei paesaggi sonori in grado di completare le canzoni della Germano in un modo che, mentre non ne diluiva l'impatto, le rendeva di fruibilità decisamente meno problematica.

Ragion per cui Lullaby For Liquid Pig deve necessariamente giocare la carta dell'autoproduzione a bassissimo budget, effettuata in casa su un sistema digitale Pro Tools. (Ma c'è poco da temere: il suono ha una grana sfocata che si direbbe il frutto deliberato della scelta di un sistema analogico "come ai vecchi tempi", scelta che - in tempi di lo-fi - potrebbe incontrare qualche favore in più tra il pubblico appassionato del cosiddetto indie-rock.)

Non inganni la lista dei collaboratori. L'album è essenzialmente giocato in prima persona, laddove i Johnny Marr, i Neil Finn e le Wendy Melvoin potrebbero essere quasi chiunque. Senz'altro più determinante l'apporto della batteria di Joey Waronker, che insieme al basso di Sebastian Steinberg fornisce una secca ossatura a parecchi brani (tutti i musicisti presenti sull'album hanno sovrainciso in proprio), mentre la Germano si occupa come al solito di pianoforte, tastiere, chitarre e violino.

L'album è monocromo e intenso in un modo che dovrebbe senz'altro scoraggiare qualunque ascoltatore di passaggio. Inutile segnalare canzoni particolari, perché è come un tutto che il CD funziona (o no), e come tale va quindi ascoltato. Trentasei minuti per dodici pezzi ci dicono di brani intesi come frammenti, dove anche i momenti più scanzonati o certe cadenze infantilmente cantilenanti assumono un che di sinistro. Un lavoro di grande - seppur necessariamente selettivo - fascino, da accostare idealmente a certe pagine di Syd Barrett o di Nick Drake. E che ci ricorda indirettamente quanto limitata sia divenuta da allora la tavolozza dei sentimenti che è ammissibile esprimere in musica in una società che privilegia il "feeling good", costi quel che costi.

Beppe Colli


© Beppe Colli 2003

CloudsandClocks.net | May 4, 2003