Lisa Germano
In The Maybe World

(Young God Records)

Un successo tanto tardivo (a circa trent'anni dalla scomparsa) e assolutamente inaspettato (già a partire dalle modalità, e laddove l'album preferito è ora l'introverso e scuro Pink Moon, e non più il policromo "capolavoro riconosciuto" Bryter Layter) quale quello arriso a Nick Drake è ovviamente in grado di dare la stura a una serie pressoché infinita di interrogativi, a partire da quelli riguardanti il mancato successo in vita. Fu la proverbiale timidezza? La scarsa propensione a suonare dal vivo? L'assenza di un appoggio radiofonico? Com'è agevole notare, le cause vengono sempre ricercate in fattori "esterni", rimossi i quali la musica non avrebbe più trovato alcun ostacolo a un ampio apprezzamento. E se pare certo che in vita Drake abbia venduto circa quattromila copie (cumulative) dei suoi tre album, oggi è decisamente comune vederne uno (e quasi sempre è Pink Moon) fare capolino fra i titoli più disparati (spesso si tratta solo di CD masterizzati; ma quel che conta davvero in questi casi sono cose quali il buon gusto e il gradimento, no?).

Ignoriamo quanto abbia venduto l'ottimo Excerpts From A Love Circus (1996); sappiamo però che l'ultimo album inciso da Lisa Germano per la 4AD, Slide (1998), ha venduto la risibile cifra di seimila copie; e questo nonostante una produzione, e una veste sonora, opera di Tchad Blake, che avevano reso il lavoro decisamente più accessibile. Non possediamo alcun dato a proposito di Lullaby For Liquid Pig (2003), dove l'autoproduzione a bassissimo budget non aveva impedito il raggiungimento di livelli artistici notevolissimi. L'augurio è che l'approdo all'etichetta di Michael Gira possa contribuire a eliminare almeno alcuni tra i famosi "ostacoli esterni". (Ma quelli "interni"?)

Se una dimensione estetica meriti l'appellativo di "classica" o di "monotona" è cosa che all'atto pratico è senz'altro da ascrivere alle preferenze di ciascuno. Senza voler per questo postulare affinità stilistiche, citeremmo un'estetica splendidamente immutabile nel tempo quale quella di Nico (un'altra artista che ha ricevuto lodi in misura incommensurabilmente maggiore delle magre vendite). Come per l'album precedente, anche qui la vera protagonista è la voce della Germano: al solito sommessa, al solito con un pronunciato effetto prossimità (forse la prossima volta sarà il caso di essere maggiormente parchi nell'impiego del compressore); la voce in primo piano, dunque: ma quell'aria dolente, e apparentemente dimessa, non faccia sfuggire la liricità non retorica delle melodie; e quella sensazione di uniformità non sia d'ostacolo alla percezione di quei piani vocali multipli, a tratti dialoganti tra loro.

Anche qui si tratta essenzialmente di un album solo. Non mancano i contributi esterni, non di rado alquanto sottili (la batteria di Joey Waronker, il contrabbasso di Sebastian Steinberg, le chitarre di Brady Michaels, Craig Ross e Johnny Marr), ma il grosso del lavoro strumentale è svolto come d'abitudine da tastiere sintetiche, pianoforte, chitarre e violino della Germano, che ha anche curato la realizzazione dell'album insieme a Jamie Candiloro. Stante la cifra stilistica complessiva, il lavoro vive nell'apprezzamento di particolari che a un ascolto distratto possono facilmente sfuggire: si veda quale buon esempio la voce che sale di tonalità sul finale di Moon In Hell, e la successiva coda strumentale per violini sovraincisi.

L'album pare trattare di situazioni "definitive" quali la fine nelle sue molteplici accezioni, ma l'apertura di The Day e la chiusura di After Monday ci dicono di un lavoro d'arte - con un'introduzione e un evidente senso di risoluzione - e non di un mero "diario dalla depressione". (I testi sono facilmente acciuffabili già con l'ascolto, ma sono anche riprodotti nel curato libretto.) Anche qui il lavoro funziona (o no) come un tutto; ciò nonostante, sono molte le cose che meritano di essere segnalate: Too Much Space e Moon In Hell vivono nella più classica dimensione della Germano, e in fondo è così per la narrazione di Golden Cities; maggiormente inusuale la cifra tesa di In The Land Of Fairies; senz'altro bella In The Maybe World, e di una bellezza decisamente accessibile anche Red Thread; il piano (e un suo cigolante pedale?) domina Except For The Ghost, che diremmo possedere un diverso respiro vocale.

Beppe Colli


© Beppe Colli 2006

CloudsandClocks.net | Aug. 17, 2006